FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 11
luglio/settembre 2008

Generazioni

UN’ISOLA TRA SOGNO E VEGLIA
Su H, il nuovo romanzo di Andrea Ferrari

di Marco Testi



Il gioco delle vite è collegato, come ognuno sa, a quello degli amori. Ma la giostra dei talami è mossa da meccanismi tutt’altro che prevedibili e razionalizzabili, sembra dire oggi con il suo nuovo romanzo, Andrea Ferrari. A partire dal luogo in cui avvengono i fatti narrati, l’isola di H, che dà il titolo anche al romanzo. H è il nome-rappresentazione di un luogo diviso dal gioco delle maree e unito da battelli e poste, solo che queste sono misteriose, arcaiche, e per questo più intriganti e retrò poste pneumatiche. Attraversano sotterraneamente l’isola, come in superficie H è attraversata da lunari correnti empatiche che si servono delle generazioni per trasmettere una materia che si chiama sogni.
Perché in fondo, il sogno ha molto a che fare con l’incontro, e talvolta ci si trova impigliati un una zona franca, tra la veglia e il sonno, causata da interferenze nelle rigorosissime e ineludibili leggi del caso. In attesa della combinazione, della porta socchiusa, dell’apparizione.
All’inizio arrivano nell’isola gli esploratori arabi, curiosi di altri cieli e altri mari, e i portoghesi, poi la generazione dei grandi esploratori oceanici, e la temuta generazione dei politici, qui sotto specie di diplomatici inglesi e francesi, che si palleggiano l’isola. E poi di nuovo le generazioni – corsi e ricorsi - dei sognatori: stavolta non aspiranti ad altri luoghi, ma avventurieri, giocatori e bari, falsi cuochi e falsi pittori, aviatori e semplicemente sognatori da letto borghese che rimangono a metà strada tra sonno e veglia, e non sanno più svegliarsi, perché forse rappresentano un’ umanità che non sa più sognare.

La prima generazione di avventurieri, quelli che portano l’amore, e la vita, nell’isola è quella che ha combattuto la madre di tutte le sconfitte. Waterloo non sarà mai ricordata come la vittoria della coalizione, ma come la sconfitta di Napoleone. “Da che parte?” chiede la bella locandiera all’uomo che viene dal mare, intendendo la bandiera sotto la quale egli ha combattuto, per sentirsi rispondere “da quella giusta, quella che ha perso”.
È la generazione degli esteti, più che dei militari e dei politici, perché a dircela tutta, non è che Napoleone si sia attirato solo romantiche simpatie (chiedetelo agli Spagnoli, se non volete arrivare in Inghilterra o perfino in Russia): anzi, anche “da sinistra”, come si amava dire qualche anno fa, ha trovato chi ha avuto molto da ridire.
Ma tant’è: il mito foscoliano (anche il poeta di Zante trovò in un secondo momento da ridire sul futuro imperatore) del liberatore delle genti ha avuto un obiettivo consenso accresciuto dall’immaginario collettivo e dalla effettiva capacità di riflettere nel continente intero alcuni elementi scaturiti dalla rivoluzione dell’89, anche se mediati dal post-Termidoro.

Dopo la generazione degli avventurieri per ideali arriva quella degli avventurieri punto e basta, quelli che campano d’espedienti, ma non sanno neanche loro perché, e che hanno anche per questo facile successo sulle signore che continuano ad alternarsi sul banco della reception della pensione. Da questi amori nascono solo donne, le quali si somigliano tutte tanto da essere scambiata l’una per l’altra. Viene il sospetto che l’abusato tòpos dell’eterno femminino qui rientri dalla finestra della leggera fiaba, del racconto di fate: fate nel senso proprio del termine, manifestazioni apparenti di una stessa realtà apportatrice di vita e auto-riproduttrice.
All’isola le generazioni degli uomini arrivano in tutti i modi, per acqua e per cielo, come l’aviatore che si ritrova appeso con il suo paracadute all’insegna dell’albergo. E che presterà la sua opera per la creazione di Sibelle.
Sibelle sarà l’unica a mancare l’incontro con il proprio uomo, e da questo disguido emerge il continente di mezzo, il non-sonno e il non-veglia che intrappola il predestinato.
Tratto distintivo delle generazioni femminili è il colore degli occhi. Non la bellezza, non le forme, ma il liquido, iridescente gioco di acque e cieli riflessi negli occhi delle donne di H. Da apparentemente incongrue affermazioni degli uomini, che suggeriscono la non razionalità e la non programmabilità dell’esistenza, come quella del colore degli occhi di una delle signore-del-racconto che non si sposerebbe con quello della tappezzeria, nasce il meccanismo egli eterni incontri e delle mutazioni.

Sembra quasi che i particolari dell’esistenza, quelli che a tutta prima non possiedono chiavi di senso, nella narrativa di Ferrari subiscano una trasformazione, e passino da oggetti d’uso comune a messaggeri di altre sotterranee dimensioni di significato. Il responsabile di questa trasformazione è solo in parte la strategia narrativa, la fabula essenziale del racconto: in realtà a dare suggestione a questo mondo che rivela aspetti inquietanti sono le parole, che Ferrari recupera con fine cesellatura, ma senza leziosità: al di là di un compiacimento autoreferenziale che si coglie nella tessitura del discorso, sempre fluente ed insieme misurato, si avverte anche la capacità delle parole di assumere peso e qualità diverse, a seconda di come esse sono disposte nella frase.
Dopo le scorpacciate di oggettualità a tutti i costi, ecco di nuovo il suono, l’iconismo, la dinamica delle combinazioni verbali, il cui significato non dipende solo dal vocabolario comune, ma dalla capacità epifanica del suono, della musica, dell’allusività.

Andrea Ferrari sembra appartenere a quella schiera di scrittori che non desiderano colpire e stupire, ma affabulare. Non è però un raccontare tradizionale, almeno come lo si intende nella vulgata nostrana, basato sulle cose, sulle azioni e gli eventi. È il racconto di stati d’animo, che riesce tra i pochi a far parlare momenti fluidi della psiche: il dormiveglia, il sogno, la percezione aurorale del senso del destino.
H è in qualche modo un romanzo bergsoniano, nel senso che tenta di cogliere il fluire indistinto dell’esistenza al di là delle categorie meccanicistiche, e fortemente e laicamente spirituale, poiché esce al di fuori del determinismo e dal pan-materialismo per avvicinarsi semmai alla concezione vitalistica dell’universo: nulla accade per caso, e i particolari non sono oggetti privi di senso, ma parti che ci parlano di un tutto vitale che ogni cosa comprende e ad ogni cosa dà valore.


Andrea Ferrari, H, Fazi, 2008, pp. 157, euro 14,50




Andrea Ferrari è nato nel 1962 a Reggio Emilia ed è cresciuto a Torino, dove tutt’ora vive e lavora nel mondo dell’industria.
Ha pubblicato due romanzi, entrambi con Fazi, Passaggi di tempo e H.

 

 

 

 


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