FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 11 luglio/settembre 2008 Generazioni |
UN’ISOLA TRA SOGNO E VEGLIA di Marco Testi |
Il gioco delle vite è collegato, come ognuno sa, a quello degli amori. Ma la giostra dei talami è mossa da meccanismi tutt’altro che prevedibili e razionalizzabili, sembra dire oggi con il suo nuovo romanzo, Andrea Ferrari. A partire dal luogo in cui avvengono i fatti narrati, l’isola di H, che dà il titolo anche al romanzo. H è il nome-rappresentazione di un luogo diviso dal gioco delle maree e unito da battelli e poste, solo che queste sono misteriose, arcaiche, e per questo più intriganti e retrò poste pneumatiche. Attraversano sotterraneamente l’isola, come in superficie H è attraversata da lunari correnti empatiche che si servono delle generazioni per trasmettere una materia che si chiama sogni.
La prima generazione di avventurieri, quelli che portano l’amore, e la vita, nell’isola è quella che ha combattuto la madre di tutte le sconfitte. Waterloo non sarà mai ricordata come la vittoria della coalizione, ma come la sconfitta di Napoleone. “Da che parte?” chiede la bella locandiera all’uomo che viene dal mare, intendendo la bandiera sotto la quale egli ha combattuto, per sentirsi rispondere “da quella giusta, quella che ha perso”.
Dopo la generazione degli avventurieri per ideali arriva quella degli avventurieri punto e basta, quelli che campano d’espedienti, ma non sanno neanche loro perché, e che hanno anche per questo facile successo sulle signore che continuano ad alternarsi sul banco della reception della pensione. Da questi amori nascono solo donne, le quali si somigliano tutte tanto da essere scambiata l’una per l’altra. Viene il sospetto che l’abusato tòpos dell’eterno femminino qui rientri dalla finestra della leggera fiaba, del racconto di fate: fate nel senso proprio del termine, manifestazioni apparenti di una stessa realtà apportatrice di vita e auto-riproduttrice.
Sembra quasi che i particolari dell’esistenza, quelli che a tutta prima non possiedono chiavi di senso, nella narrativa di Ferrari subiscano una trasformazione, e passino da oggetti d’uso comune a messaggeri di altre sotterranee dimensioni di significato. Il responsabile di questa trasformazione è solo in parte la strategia narrativa, la fabula essenziale del racconto: in realtà a dare suggestione a questo mondo che rivela aspetti inquietanti sono le parole, che Ferrari recupera con fine cesellatura, ma senza leziosità: al di là di un compiacimento autoreferenziale che si coglie nella tessitura del discorso, sempre fluente ed insieme misurato, si avverte anche la capacità delle parole di assumere peso e qualità diverse, a seconda di come esse sono disposte nella frase.
Andrea Ferrari sembra appartenere a quella schiera di scrittori che non desiderano colpire e stupire, ma affabulare. Non è però un raccontare tradizionale, almeno come lo si intende nella vulgata nostrana, basato sulle cose, sulle azioni e gli eventi. È il racconto di stati d’animo, che riesce tra i pochi a far parlare momenti fluidi della psiche: il dormiveglia, il sogno, la percezione aurorale del senso del destino.
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Andrea Ferrari è nato nel 1962 a Reggio Emilia ed è cresciuto a Torino, dove tutt’ora vive e lavora nel mondo dell’industria.
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