FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 11 luglio/settembre 2008 Generazioni |
ORIGINI ED EREDITÀ DEL CRISTIANESIMO NEL ROMANZO di César Fredy Pongutá Puerto |
El signo del pez, (Il segno del pesce), del 19871, è il quarto romanzo pubblicato dal poeta e narratore colombiano Germán Espinosa, scomparso nell’ottobre del 2007. La sua produzione letteraria è considerata dalla critica internazionale una delle più importanti degli ultimi trent’anni in Ispano America. Il tema principale di questo romanzo sull’origine del cristianesimo è costituito dalla vita, la fortuna e la sventura di Paolo di Tarso, aspetti che lo scrittore ricostruisce con agili movimenti immaginari e interpretativi, che nutre e sostiene con una solida documentazione storica. Il libro è una prova di adesione a fondamentali concetti del cristianesimo, pur non mancando dubbi e contrasti.
Anni dopo, in un altro romanzo, La Balada del Pajarillo (2000), lo scrittore colombiano indaga sulle fonti dell’ispirazione dei creatori, e in questo caso l’arte è soprattutto una forma estetica per sentire le difficoltà che vivono i personaggi giorno dopo giorno. Il tema dell’esperienza spirituale occupa un interesse speciale nei suoi ultimi romanzi, come Ruben Darío y la sacerdotiza de Amon (2003), ma mescolato con aspetti esoterici, cosa che segna una netta distanza con i dogmi delle religioni. Ne El signo del pez, al contrario, è chiara l’intenzione di prendere in esame un momento fondamentale della cultura universale. Parlare dell’origine e della formazione della religione di Cristo, fa sì che per ubicazione e coerenza storica la componente latinoamericana scompaia come elemento di riferimento. Questa assenza locale obbedisce a una profonda comprensione dell’ispanismo, visto che il cristianesimo costituisce un parametro determinante nella storia del nuovo continente. Questa è già una valida particolarità letteraria del romanzo dove la descrizione regionalista e referenziale cede il passo alla ricerca di quello che identifica la propria cultura, la stessa al quale appartiene lo scrittore. Pertanto si può dire che il romanzo El signo del pez integri vari aspetti del “romanzo storico”, di cui la critica letteraria considera Espinoza un maestro (nonostante il rifiuto che lo scrittore fa nei confronti di questa catalogazione).2 El signo del pez è una narrazione che pone in gioco la coscienza storica e politica dell’America Latina, dove tuttavia i dati della storia sono assunti con la dinamica dell’immaginazione, dato che i fatti storici della cultura universale non si presentano con intenzionalità didattico-educativa, ma essi stessi costituiscono una base fondamentale del racconto.3
Si possono individuare alcuni aspetti utili per tracciare un percorso di comprensione e spiegazione della strategia testuale che determina il romanzo. Tra questi c’è la descrizione e la funzione delle differenti città che animano il tragitto di Paolo, come nel caso di Gerusalemme, Tarso, Roma, Atene, Alessandria e Pergamo. Allo stesso modo è possibile effettuare una ricerca sul modo in cui Saulo si va appropriando e va aggiustando le complesse idee filosofiche dell’epoca per configurare la religione che egli stesso sta contribuendo a diffondere nel mondo.
Per la presente riflessione su El signo del pez andiamo a fare riferimento a un tema che può aiutare per comprendere meglio il romanzo. Parliamo del modo in cui Paolo di Tarso, all’interno del suo ampio progetto di cristianizzare gli elleni, prende in esame il concetto dell’Anima, che sarà decisivo per l’estensione e il radicamento del cristianesimo in tutte le sfere universali. Occorre dire che inizialmente Saulo considera di grande importanza convertire gli elleni, lo reputa un fattore decisivo e urgente agli inizi della diffusione religiosa del cristianesimo.
Un altro contatto ugualmente importante gli capita con Diofanto, cittadino della strana città di Pergamo, dove l’alto livello di cultura e pensiero si mescola con pratiche esoteriche e riti di sacrificio. Diofanto gli fa conoscere non solo il valore del corpo ma lo aiuta anche a valorizzare l’importanza dell’osservazione nella conoscenza, e questi saranno elementi che risulteranno fondamentali per la conformazione della religione cristiana.
Questa particolare svolta dei fatti narrati, viene annunciata dall’autore nell’avvertenza preliminare al romanzo, “Alla fine dell’avventura ci aspetta una non convenzionale ma ammissibile proposta”.
Il concetto di anima è di origine greca e non ebrea. Inizialmente si considerò come un principio vitale e dopo fu assunto come una coscienza individuale e personale, divenendo l’idea fondamentale all’interno della storia spirituale occidentale. È proprio il concetto greco quello che Espinosa riprende nel suo romanzo. Il concetto di anima, chiave a sua volta per introdurre gli elleni nel cristianesimo, è inteso come personalità morale e intellettuale, come centro pensante e della volontà, ed è specialmente presente nel linguaggio di Socrate. Per alcuni studiosi il concetto costituisce addirittura il principale apporto di Socrate al pensiero occidentale.5 Ma se questo concetto successivamente costituisce l’identità del cristianesimo, allo stesso tempo genera conflitto nella vita personale dei cristiani. L’anima, che in Socrate costituisce più che mistero una realtà della coscienza, entra in contrapposizione con il concetto del corpo sviluppato da Platone.
La narrazione lo evidenzia nella storia d’amore che si nasconde tra il personaggio femminile di Aspalata e Saulo di Tarso. Lei lo ha sempre accompagnato, ha sempre voluto dargli uno stimolo, ascoltarlo, dargli fiducia in se stesso, fino al punto di rinunciare a lui per il bene dell’umanità. Aspalata è una greca per niente ingenua e crede sempre che la tendenza religiosa di Saulo sia una prova della sua immaturità intellettuale, però gli riconosce il suo talento e per questo lo mette in contatto con gli intellettuali di Tarso e di Atene. È lei che lo stimola ad approfondire la sua conoscenza perchè vuole vederlo convertito in uno dei filosofi che meditano nelle accademie. Lei non vuole che sia un profeta, che si sacrifichi per l’umanità sotto idee religiose, non vuole che mediti nelle sinagoghe, lo vuole fra gli intellettuali laici; ma davanti alla risposta negativa di Saulo, lei lo accompagna senza rimproveri, gli è vicina nella sua formazione personale senza condividerla: interrogandolo, accogliendolo, ascoltandolo e sostenendolo.
1ESPINOSA, Germán, El signo de pez, Punto de Lectura, Bogota, 1987. (le citazioni dal romanzo corrispondono a questa edizione). 2ESPINOSA, G., En epílogo necesario, in Sinfonía desde el nuevo mundo. Citato da Sarah González de Mojica, Los cortejos del diablo y la tejedora de coronas, in 6 Estudios sobre La Tejedora de Coronas, PUJ, Bogotá, 1992, p. 117. 3MONTILLA V., Claudia, La novela histórica: ¿mito y archivo? in “Texto. y contexto”, Bogotá, numero 28, 1995, pp: 47-66. 4PONGUTÁ, Fredy, La seducción del lector, in El signo del pez de G. Espinosa, conferenza tenuta all’Istituto Cervantes de Roma, in omaggio postumo allo scrittore; nel corso della conferenza furono analizzati alcuni aspetti della strategia testuale. 5SARRI, Francesco, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano, 1997. |
Da El signo del pez (Il segno del pesce)
Adesso, il ricordo di Aspalata occupava la solitudine del suo cuore. Nel resto del suo spirito, in cui Yahweh doveva dimorare come fitto fogliame, sperimentava spavento e angoscia. I suoi genitori lo guardavano ogni giorno con maggiore diffidenza. All’inizio, avevano ipotizzato che volesse diventare scriba (notaio) o forse rabbino, titolo onorifico che in Palestina corrispondeva confusamente a quello di magister romano o a quello di filosofo greco, con la differenza che il rabbino era soggetto ai limiti che imponeva la rigida interpretazione della Scrittura. Non essendo della stirpe degli Aaronidi non poteva aspirare alla carica di Sacerdote. La sua assiduità alla sinagoga, la sua inclinazione per gli studi biblici, sembravano indicare una sola direzione. Tuttavia passava lunghe ore nella bottega, fabbricando stuoie e tende da accampamento. Voleva rovinare la reputazione commerciale della famiglia? Non si era mai interessato al negozio di suo padre, che avrebbe dovuto ereditare in un indeterminato futuro. La sua ermetica introversione non permetteva saggiare il terreno attraverso il dialogo. Non era più un bambino, quello era certo. La sua inclinazione pietosa aveva ceduto campo a un melanconico raccoglimento in se stesso. Importava poco, essendo figlio unico, quello che avrebbe fatto dell’eredità, la Legge di Mosè lo obbligava solo a continuare a prendersi cura di sua madre, se suo padre fosse morto prima di lei. Quando si ricordavano che avrebbero approfittato del primo momento utile per presentare il problema al loro rampollo, i buoni negozianti erano molto lontani da supporre che Saulo era arrivato a concepire un’idea poco convenzionale perfino sulle relazioni familiari. Per lui, era giusto anteporre Yahweh all’amore filiale, di conseguenza sarebbe stato necessario tagliare i vincoli tra padri e figli con un decisivo colpo di forbici. Sarebbe stato lecito? Il suo cuore e la sua coscienza si sarebbero perdonati l’abbandonarli alle intemperie della vecchiaia? Ci pensava mentre accendevano la sua vista, seduto al rustico tavolo della sua stanza, le scintille intensamente rosse e gialle del caminetto. Che ne sarebbe stato, si domandava, di un conquistatore ingenito come Alessandro, se non avesse ereditato da Filippo una poderosa monarchia, che incoraggiò la sua ambizione di ellenizzare l’Asia? E per quale motivo la sua mente approdava fino a Alessandro di Macedonia? Non era forse anche questo un messaggio di Yahweh? Ah, sì, lungi dal trovare nei suoi familiari e nei suoi legami un impedimento, il macedone trovò nella fucina intellettuale di Aristotele, genio sistematico e costruttivo, il coraggio per quel formidabile proposito di portare il pensiero greco fino alle propaggini del Gange. Prima di lui nessuno aveva potuto, con tanta minuzia, programmare una battaglia. Nessuno dei suoi subalterni sapeva meglio di lui in quale luogo del combattimento era necessario un braccio forte per deciderlo. La sua formazione senza pari gli permetteva essere, a differenza dei vecchi generali che rimanevano in attesa di notizie sulla vittoria o sulla sconfitta delle loro battaglie, il proprio portavoce delle sue vittorie. Avrebbe potuto Saulo realizzare qualcosa di simile al servizio del Signore? Propagare fino ai confini della terra la gloria di Yahweh? Giudaizzare il mondo, come Alessandro ellenizzò l’Asia, affinché la luce del Tempio di Gerusalemme risplendesse indiscutibile sulla faccia della terra? Chi lo avrebbe potuto spalleggiare in un’impresa che, per di più, avrebbe dovuto implicare la revisione del dogma mosaico? Da dove sarebbe uscita la legione di pensatori necessaria per un proposito così ambizioso? In quale modo opporre l’apparente povertà della cultura ebrea alla prepotenza del pensiero grecoromano? Non era forse come cercare di introdurre a palazzo un mendicante coperto di stracci? Le mutevoli scintille del focolare sembrarono volergli ricordare, senza dubbio, che anche se Alessandro Bicorne di Macedonia aveva condotto fin oltre l’Indo e fino ai margini conosciuti del Nilo il seme di una cultura propria, i romani, invece, non avevano fatto altro che resistere nell’ellenizzazione del mondo, perché rendevano irrevocabile vassallaggio al passato greco. Il suo cervello soppesò l’idea all’inizio pigramente; ma d’improvviso, ingigantendola, la trasportò alla sua reale magnificenza. Era come una nuova illuminazione. Sì; per giudaizzare il mondo romano e far sì che l’unico Dio di Israele splendesse, indiscutibile, sull’intera faccia della terra occorreva avvalersi delle attrattive della cultura ancora dominante, quella ellenica, che continuava a mettere in proporzione l’avidità latina con sottigliezze intellettuali e sistemi filosofici. Atene, centro prodigioso dell’Ellade, doveva essere il punto principale d’attacco per ottenere quello che mai nessuna mente avrebbe neppure immaginato: l’accordo, e, successivamente, la fusione del pensiero filosofico e della verità rivelata; il difficile concerto tra l’unico Dio e i fedeli di quel genere di speculazione fantastica e pretenziosa che Cicerone aveva definito come la conoscenza delle cose divine e umane, così come delle loro cause e principi, e che alcuni allegramente consideravano come la scienza della felicità. |
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