FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 11
luglio/settembre 2008

Generazioni

LA POESIA DI ELOY SÁNCHEZ ROSILLO

a cura di Pablo Luque Pinilla



 

La poesía (...) nos pone en contacto con los enigmas del vivir y nos anima a mirarlos de cerca, a meditar sobre ellos y a adoptar consecuentemente actitudes y conductas.

La poesia (...) ci mette in contatto con gli enigmi del vivere e ci spinge a guardarli da vicino, a meditare su di essi e ad assumere determinati atteggiamenti e comportamenti.


Eloy Sánchez Rosillo

(in Eloy Sánchez Rosillo, Poética y poesía. Eloy Sánchez Rosillo, Fundación Juan March, Madrid, 2005)


Eloy Sánchez Rosillo nasce nel 1948 a Murcia, città in cui risiede tuttora e in cui lavora come professore universitario di Letteratura Spagnola. La sua opera poetica, sviluppatasi negli ultimi trent’anni, comprende i seguenti volumi: Maneras de estar solo (1978), Páginas de un diario (1981), Elegías (1984), Autorretratos (1989; seconda edizione, 1989), la raccolta Las cosas como fueron, 1974-1988 (1992; seconda edizione, 1995), La vida (1996; nona edizione, 2007), la nuova raccolta Las cosas como fueron, 1974-2003 (2004), La certeza (2005) e l’antologia Confidencias (2006). La sua ultima fatica è attualmente in corso di stampa. È autore del saggio La fuerza del destino. Vida y poesía de Luis Cernuda (1992) e curatore di un’antologia del poeta Andrés Trapiello, El volador de cometas (2006). Come traduttore si è occupato della poesia di Giacomo Leopardi, mentre la sua stessa poesia è tradotta in diverse lingue.

Dopo una lunga tappa di formazione, prolungatasi quasi per una decina d’anni e i cui versi non ha mai voluto pubblicare, considerandoli una sorta di apprendistato, si è fatto conoscere con Maneras de estar solo, il suo primo libro di poesia con cui ha vinto il premio Adonais nel 1977. Nonostante, come il porta stesso afferma, l’Adonais sia stato l’unico concorso cui ha partecipato per iniziativa propria, successivamente ha ricevuto un altro premio, quello della Critica (2005), per il suo libro La certeza, a riprova del grande interesse e apprezzamento di cui gode la sua opera sia tra gli addetti ai lavori sia tra i lettori in generale.
La base metrica su cui poggia la poesia di Eloy Sánchez Rosillo è soprattutto il verso sciolto in composizioni in cui combinano settenari, endecasillabi e alessandrini. Ritroviamo anche poesie basate sull’assonanza, alcuni romances, poesie in prosa, in ottave, così come brevi composizioni di tre o quattro versi.

L’ampio spettro tematico della poesia di Sánchez Rosilo gravita attorno a due assi fondamentali che spesso convivono tra loro: l’elegia o lamento per quanto si porta via il tempo e la poesia innica o celebrativa, soprattutto a partire da La certeza. Di fatto, per il poeta murciano entrambe le prospettive appaiono come due punti di vista di uno stesso atteggiamento, la cui unica differenza è l’orizzonte temporale da cui s’intona un canto di amore profondo e commosso per la vita. Così, proprio come afferma lo stesso Sánchez Rosilo, «La poesia innica celebra la gioia di vivere e la bellezza del mondo presente, mentre la poesia elegiaca fa qualcosa di simile ma a posteriori, ossia quando quel che si vuole celebrare è già successo, in un passato più o meno remoto, da cui ne deriva il lamento e tono malinconico».1 In questo modo, i diversi motivi della sua poesia, come possono essere la perdita del padre, la casa dell’infanzia, i rapporti familiari, il mondo dell’amore e degli affetti, alcune città visitate, la natura, l’antichità e le questioni metapoetiche, divengono oggetto del suo canto più vero, della messa in scena di un autentico intreccio di visione poetica e bellezza esistenziale. Questo determina un modo di dire le cose particolarmente chiaro, inclinazione che è via via cresciuta di libro in libro, fino a dotare i propri versi di una nudità che non cede, comunque, di fronte alla tentazione del minimalismo, inteso nella sua peggiore accezione. Così, in Sánchez Rosillo, la poesia rifugge l’anoressia espressiva per esibire tutta la sua sensualità corporea. In questo modo si sviluppa un repertorio, come ha avuto modo di affermare Javier Díez de Revenga, di «complessa semplicità».2 Da qui ne derivano anche la naturalezza del linguaggio, l’equilibrato senso del ritmo, il respiro armonico e grave nell’interpretare una musica il cui suono è quello di un coro da cui emerge una voce dalla straordinaria profondità. Un insieme che quanto meno fa sobbalzare il nostro animo e che, nei suoi momenti migliori, ci colpisce per la sua verità, chiarezza e sincerità.

Per il resto, come la maggior parte degli studiosi riconoscono, ci troviamo di fronte a una poesia che si ricollega, tra gli altri, ad Antonio Machado e altri classici spagnoli, come San Juan de la Cruz o Juan Ramón Jiménez, e a Giacomo Leopardi. Tuttavia, come afferma Andrés Trapiello, se «Machado “canta quanto si perde” e Leopardi riesce a consolarci con il frutto della sua afflizione, Sánchez Rosillo, che con entrambi i poeti mantiene una frequentazione antica e profonda, fa sì che guardiamo alla nostra vita quotidiana, un po’ oscura, abitudinaria e solitaria, come origine di un lampo irripetibile».3 Si tratta, in definitiva, di una messa in scena poetica, nel momento attuale della poesia spagnola, al servizio della commozione, che si gioca tutta sull’intreccio argomentativo del poema e sulla sua pulsione che si fa canto, in una complessa unità in cui non vi sono concessioni all’esteriorità poetica gratuita, estranea al resto. Infatti, nella poesia di Eloy Sánchez Rosillo nulla può essere preso in modo isolato, poiché le diverse parti del suo ordito funzionano come una trama compatta che ci trasmette una particolare sensazione di unità e impossibile disgregazione. Curiosamente, questa poesia nasce e si sviluppa in un contesto, quello della generazione di cui si occupano le nostre proposte antologiche (cfr. Nuovi classici nella poesia spagnola contemporanea), in cui predominavano l’estetica dei novissimi, lo sperimentalismo e la poesia pura, manifestazioni tutte agli antipodi di tale poesia, a riprova del fatto che ci troviamo davanti a un poeta fedele alle proprie convinzioni, ai margini delle mode e dei consensi formali, che ha contribuito, insieme ad altri significativi autori, ad innescare un cambiamento profondo dei fondamenti poetici imperanti della sua generazione, cambiamento consolidato dai poeti della generazione successiva.


Bibliografia essenziale

  • SÁNCHEZ ROSILLO, Eloy: Las cosas como fueron (Poesía completa, 1974-2003), Barcelona, Tusquets Editores, 2004.
  • SÁNCHEZ ROSILLO, Eloy: Poética y poesía. Eloy Sánchez Rosillo, Madrid, Fundación Juan March, 2005.
  • TRAPIELLO, Andrés: Eloy Sánchez Rosillo. Confidencias, Sevilla, Renacimiento, 2006.
  • DIEZ DE REVENGA, Francisco Javier«Poesía y concepto de la poesía en Eloy Sánchez Rosillo», [on line]: in cprmurcia1.com <www.cprmurcia1.com/LITERATURA/Documentos/ESRDIEZDEREVENGA.doc> [ultima consultazione: giugno 2008].
  • Nel 2005 è stata pubblicata in Italia, a cura di Francesco Luti, l’antologia Il fulgore del lampo (1978-1996), Pagliai Polistampa, Firenze.

I testi qui sotto proposti sono stati pubblicati originariamente in castigliano da Tusquets Editores, S.A., Barcellona, Spagna.



1E. Sánchez Rosillo, op. cit., p. 32.

2Franciso Javier Diez de Revenga, «Poesía y concepto de la poesía en Eloy Sánchez Rosillo», [on line]: in cprmurcia1.com <www.cprmurcia1.com/LITERATURA/Documentos/ESRDIEZDEREVENGA.doc> [ultima consultazione: giugno 2008].

3Andrés Trapiello. «El fulgor de este tiempo. (Apuntes sobre Eloy Sánchez Rosillo)». In Eloy Sánchez Rosillo. Confidencias, Sevilla, Renacimiento, 2006, p.22.




POESIE DI ELOY SÁNCHEZ ROSILLO

a cura di Pablo Luque Pinilla
traduzione di Gloria Bazzocchi


EL ESPEJO

Me instalo frente a ti, miro tus ojos
y vigilo el espacio donde tu voz me busca.
Me estremece el dolor del encuentro imprevisto,
la sed con que te acercas al borde de mi sombra,
el hueco que descubres en la luz de este cuarto.
La soledad me arropa. Sólo en la noche existo.
Y nunca me detengo sobre el mismo minuto
en el que tú te apoyas para seguir llamándome.
Suéñame de otro modo. Sacude el saco triste
del idioma heredado. Relata a las palabras
las historias oscuras que sólo tú conoces;
diles cómo te asusta mi contraria presencia,
cuánta muerte te cuesta acariciar mi huida.
A veces, en el centro mismo de tu pregunta,
me reconozco y corro hacia otra oscuridad:
es amargo encontrar al final de un abrazo
mi propio grito erguido y mi propio deseo.
Por eso me divido, me desdoblo y me hundo
en heridas distintas: me da miedo encontrarte.
Tu sonido es el mío. Tu tristeza, tus ropas
saben a mí, y me escuece el recuerdo adherido
al tiempo conciliado, al tiempo único
en que la conjunción habitó nuestras sangres.

de Maneras de estar solo (1978)


LO SPECCHIO

Sto qui davanti a te, guardo i tuoi occhi
vigilo lo spazio in cui la tua voce mi cerca.
Mi emoziona il dolore dell’incontro imprevisto,
la sete con cui sfiori il bordo della mia ombra,
il vuoto che scopri nella luce della stanza.
Solitudine intorno. Solo di notte esisto.
E mai mi soffermo su quello stesso minuto
a cui tu ti appoggi per continuare a chiamarmi.
Sognami in un altro modo. Scuoti il sacco triste
della lingua ereditata. Narra alle parole
le storie tenebrose che solo tu conosci;
di’ come ti turba la mia contraria presenza,
quanta morte nell’accarezzare la mia fuga.
A volte, nel centro stesso della tua domanda,
mi riconosco e corro verso altra oscurità:
è amaro ritrovare alla fine di un abbraccio
il mio stesso grido e il mio stesso desiderio.
Per questo mi divido, mi sdoppio e m’immergo
in ferite diverse: mi fa paura incontrarti.
Il tuo suono è il mio. La tua tristezza, i tuoi vestiti
sanno di me, e mi brucia il ricordo attaccato
al tempo conciliato, al tempo unico
in cui la congiunzione abitò il nostro sangue.


EPITAFIO

Detened, caminantes, vuestros pasos.
Sabed que aquí reposa alguien que amara mucho
la hermosura del mundo: los árboles, los libros,
la música, el verano, las muchachas.
No preguntéis quién fue, ni desde cuándo
es ya silencio, olvido de las cosas.
En la tierra que cubre sus despojos
plácidamente descansad un rato.
Y proseguid después vuestro camino
bajo el propicio sol que en su noche os desea.

de Elegías (1984)


EPITAFFIO

Fermate, voi che andate, i vostri passi.
Sappiate che qui riposa uno che molto amò
la bellezza del mondo: gli alberi, i libri,
la musica, l’estate, le ragazze.
Non domandate chi fu, né da quando
è ormai silenzio, oblio delle cose.
Nella terra che copre le sue spoglie
quietamente riposate un momento.
E proseguite poi il vostro cammino
sotto il propizio sole che dalla sua notte auspica.


LA PLAYA

Nadie podrá quitarme -me digo- la ilusión
de soñar que ha existido esta mañana.
Se ha detenido el tiempo: oigo tu risa,
tus palabras de niño. Nunca he estado
tan conforme con todo, tan seguro
de mi alegría. Juegas junto al agua, y te ayudo
a recoger chapinas, a levantar castillos
de arena. Vas corriendo de un sitio para otro,
chapoteas, das gritos, te caes, corres de nuevo,
y luego te detienes a mi lado y me abrazas
y yo beso tus ojos, tus mejillas, tu pelo,
tu niñez jubilosa. El mar está
muy azul y muy plácido. A lo lejos,
algunas velas blancas. El sol deja
su oro violento en nuestra piel.
                                         Me digo
que es cierto este milagro, que es verdad
el inmóvil fluir de la quieta mañana,
la ilusión de soñar el remanso dulcísimo
en el que acontecemos como seres
dichosos de estar vivos, felices de estar juntos
y de habitar la luz.

                         Pero escucho, de pronto,
el ruido terrible y oscuro y velocísimo
que hace el tiempo al pasar, y la firmeza
de mi sueño se rompe; se hace añicos
-como un cristal muy frágil- la ilusión
de estar aquí, contigo, junto al agua.
El cielo se oscurece, el mar se agita.
Siento en mi sangre el vértigo espantoso
de la edad: en un instante, transcurren muchos años.
Y te veo crecer, y alejarte. Ya no eres
el niño que jugaba con su padre en la playa.
Eres un hombre ahora, y tú también comprendes
que no existió, ni existe, ni existirá este día,
la venturosa fábula de mis ojos mirándote,
la leyenda imposible de tu infancia.
Estás solo, y me buscas. Pero yo he muerto acaso.
Somos sombras de un sueño, niebla, palabras, nada.

de Autorretratos (1989)


LA SPIAGGIA

Nessuno potrà togliermi – credo – l’illusione
di sognare che è esistita questa mattina.
Si è fermato il tempo: sento il tuo ridere,
le tue parole di bambino. Mai sono stato
così in pace con tutto, così certo
della mia gioia. Giochi vicino all’acqua, ti aiuto
a raccoglier conchiglie, a costruire castelli
con la sabbia. Corri da un posto all’altro,
sguazzi, gridi, cadi, corri di nuovo,
quindi ti fermi accanto a me e mi abbracci
e io bacio i tuoi occhi, le tue guance, i tuoi capelli,
la tua infanzia gioiosa. Il mare è
molto azzurro e molto calmo. Lontano,
alcune vele bianche. Il sole lascia
il suo oro violento sulla nostra pelle.
                                               Credo
che è vero questo miracolo, certo
l’immobile fluire della quieta mattina,
l’illusione di sognare il ristagno dolcissimo
in cui accadiamo come creature
contente di esser vive, felici di stare insieme
e di abitare la luce.

                          Ma sento, d’un tratto,
il rumore terribile e oscuro e velocissimo
del tempo quando passa, e la fermezza
del mio sogno si rompe; va in frantumi
– come un cristallo molto fragile – l’illusione
di essere qui, con te, vicino all’acqua.
Il cielo si fa scuro, il mare si agita.
Sento nel mio sangue la vertigine tremenda
dell’età: in un istante trascorrono molti anni.
E ti vedo crescere, e andartene. Non sei più
il bimbo che giocava col padre sulla spiaggia.
Adesso sei un uomo, e anche tu capisci
che mai ci fu, né c’è, né ci sarà questo giorno,
la bella favola dei miei occhi che ti guardano,
la leggenda impossibile della tua infanzia.
Sei solo, e mi cerchi. Ma io sono morto, forse.
Siamo le ombre di un sogno, nebbia, parole, nulla.


EN MITAD DE LA NOCHE

En mitad de la noche me desperté. Y había
mucha luz en la casa. Oí, por el pasillo,
ir y venir de pasos apresurados, voces
tristes que lamentaban no sé qué, y, a lo lejos,
como un lento murmullo -diríase- de oraciones
entre llanto y gemidos susurradas. Sin duda,
algo extraño ocurría. Asustado, confuso,
llamé con insistencia a mi madre, mas nadie
acudió de momento. Porfié, y al fin vino
a mi cuarto, afligida, la sirvienta, y después
de acariciarme un poco y abrazarme, la pobre,
me dijo como pudo que mi padre había muerto,
que había muerto hacía un rato, de repente.
                                                           Contaba
siete años yo entonces y tenía mi padre,
cuando murió, la misma edad que tengo ahora.
Casi cuarenta años han pasado y aún
respiro aquella angustia. Mientras mi mano intenta
escribir estos versos, voy viviendo de nuevo
los momentos terribles de esa noche remota.
Mi madre está sentada en un sillón, llorando
con total desconsuelo junto al lecho en que yace
el cuerpo de mi padre. Yo me acerco y la beso;
le digo que no llore, que no llore. Su llanto,
en verdad, me conmueve más aún que el cadáver
-tan irreal, tan solo en su quietud- del hombre
que hasta ayer mismo era el centro de esta casa
y jugaba conmigo, con mi hermana y mi hermano.
La muerte transfigura, traza súbitamente
un enigma en su presa, y no reconocía
apenas a mi padre en aquellos despojos
misteriosos, herméticos.
                                 Entonces no lo supe.
Pero hoy sé que esas horas en que tomé conciencia
del tiempo y de la muerte arrasaron mi infancia:
dejé allí de ser niño.
                           La casa fue llenándose
poco a poco de gente. Familiares y amigos
daban con su presencia lugar a repetidas
escenas de dolor. La noche no avanzaba.
Parecía que nunca iba a llegar la aurora.

de La vida (1996)


A METÀ DELLA NOTTE

A metà della notte mi risvegliai. E c’era
molta luce in casa. Sentii, lungo il corridoio,
un andirivieni di passi affrettati, voci
tristi e dolenti per non so cosa, e, in lontananza,
come un lento mormorio – sembrava – di preghiere
tra pianto e gemiti sussurrate. Senza dubbio,
qualcosa di strano c’era. Turbato, confuso,
chiamai con insistenza mia madre, ma nessuno
accorse in mio aiuto. Mi ostinai e alla fine venne
nella mia stanza, afflitta, la domestica, e dopo
avermi accarezzato e abbracciato, poverina,
mi disse come poté che mio padre era morto,
che era morto da poco, all’improvviso.
                                                  Compivo
sette anni io allora e aveva mio padre,
quando morì, la mia stessa età di adesso.
Sono passati quarant’anni e ancora
respiro quell’angoscia. Mentre la mano cerca
di scrivere questi versi, rivivo i momenti
terribili di quella notte ormai lontana.
Mia madre è seduta su una poltrona, piangendo
con pieno sconforto vicino al letto in cui giace
il corpo di mio padre. Io m’avvicino e la bacio;
le dico che non pianga, che non pianga. Il suo pianto,
veramente, mi commuove ancor più del cadavere
– così irreale, così solo nella sua calma –
dell’uomo che fino a ieri era il centro della casa
e giocava con me, mia sorella e mio fratello.
La morte trasfigura, traccia subitamente
un enigma sulla sua preda, e non riuscivo
quasi a riconoscere mio padre in quelle spoglie
misteriose, ermetiche.
                             Allora non lo seppi.
Ma oggi so che quelle ore in cui presi coscienza
del tempo e della morte spezzarono l’infanzia:
smisi di esser bambino.
                              La casa andò riempiendosi
poco a poco di gente. Familiari e amici
davano luogo con la loro presenza a molte
scene di dolore. La notte non avanzava.
Sembrava che mai potesse arrivare l’aurora.


PRINCIPIO Y FIN

Puede ser que te digas: «El verano que viene
quiero volver a Italia», o: «El año que hoy empieza
tengo que aprovecharlo; con un poco de suerte
acabaré mi libro», y también: «Cuando crezca
mi hijo, ¿qué haré yo sin el don de su infancia?».
Pero el verano próximo, en verdad, ya ha pasado;
terminaste hace muchos años el libro aquel
en el que ahora trabajas; tu hijo se hizo un hombre
y siguió su camino, lejos de ti. Los días
que vendrán ya vinieron. Y luego cae la noche.
A la vez respiramos la luz y la ceniza.
Principio y fin habitan en el mismo relámpago.

de La vida (1996)


PRINCIPIO E FINE

Può darsi che tu dica: «L’estate che verrà
voglio tornare in Italia», o: «L’anno che oggi inizia
lo devo usare bene; con un po’ di fortuna
finirò il mio libro», e poi: «Quando crescerà
mio figlio, che farò senza il dono dell’infanzia?».
Ma l’estate prossima, veramente, è già passata;
hai terminato ormai da molti anni quel libro
su cui lavori ora; tuo figlio si è fatto uomo
seguendo la sua strada lontano da te. I giorni
che verranno già son venuti. E poi cade la notte.
Allo stesso tempo respiriamo luce e cenere.
Principio e fine abitano lo stesso lampo.


LAS CIGARRAS


Es increíble la tenacidad
que en estas tierras que ganó el verano
exhiben, incansables, las cigarras.
No dudan nunca, muestran una fe
en que su canto es lo mejor del mundo
que para sí quisieran cuantos tienen
cualquier convencimiento. Son criaturas
de laboriosidad indeclinable
(aunque no sé por qué suele decirse
precisamente todo lo contrario)
y hacen su hermoso oficio un día y otro
sin ningún mal humor, con alegría,
y sin la cabizbaja seriedad
de la que las hormigas, por ejemplo,
en obedientes filas se envanecen.
Le resultan al sol imprescindibles
para forjar imperios hegemónicos.
Y cuando cesa su crepitación
se derrumba de súbito el verano.

de La certeza (2005)


LE CICALE

È incredibile la tenacità
che in queste terre vinte dall’estate
mostrano, instancabili, le cicale.
Mai un dubbio, con una fede tale
che il loro canto è il migliore del mondo
che vorrebbero per sé tutti quelli
che hanno una certezza. Sono creature
dalla laboriosità ineludibile
(anche se non so perché si suol dire
esattamente tutto il contrario)
e fanno il loro dovere ogni giorno
senza nessun malumore, con gioia,
senza la pensierosa serietà
della quale le formiche, ad esempio,
in obbedienti fila vanno fiere.
Appaiono indispensabili al sole
per poter forgiare imperi egemonici.
E quando cessa il loro crepitare
viene meno di colpo anche l’estate.


NO SABER

Sólo la muerte dice con franqueza
-y no a quienes con ella se van: únicamente
a los que aquí se quedan tras su paso-
que algo se terminó. Todos los otros
sucesos y avatares esconden el secreto
de su final, que pasa inadvertido
al corazón y al ojo. Por fortuna, no hay
certidumbre del punto en que una cosa acaba:
conocer hasta el fin siempre es dolor.
Así teje la vida
los días y las noches del existir. Y en ese
piadoso no saber, en esa trama
de compasiva oscuridad,
no falta nunca el hilo luminoso
de la esperanza.

de La certeza (2005)


NON SAPERE

Solo la morte dice con franchezza
– e non a quelli che con lei vanno: unicamente
a chi rimane dopo il suo passare –
che qualcosa è finito. Tutti gli altri
fatti ed accadimenti nascondono il segreto
della loro stessa fine, inavvertita
al cuore e alla vista. Ma per fortuna non c’è
certezza sopra il punto in cui una cosa finisce:
conoscere sino alla fine sempre è dolore.
Così tesse la vita
i giorni e le notti dell’esistenza. E in quel
pietoso non sapere, in quella trama
di compassionevole oscurità,
non manca mai il filo luminoso
della speranza.


MISERICORDIA

Desde la tierra al aire y desde el agua al fuego,
y regresar mil veces desde el fuego a la tierra
y desde el aire al agua, combinando en mil formas
los elementos puros de la vida, de acuerdo
con el tenaz designio y el impulso de un orden.
Sin principio ni fin, indeclinablemente.
Y acatar el destino del ser, que se pronuncia
en un hombre, en un pájaro, un árbol o una piedra,
y allí respira y canta, allí crece o se abisma
un minuto, años, siglos, y luego se diluye
y brota de otro modo en otra parte, en otra
latitud del espíritu que determina el ritmo
de cuanto fue creado. Porque hay acabamiento
¿polvo, fragmento triste, mandato de la muerte?
sólo en las ilusorias y caducas presencias
que la materia finge y sin pausa abandona,
no en lo que indivisible y luminoso habita
la casa sosegada de lo eterno.

de Inédito


MISERICORDIA

Dalla terra all’aria e dall’acqua al fuoco,
e tornare mille volte dal fuoco alla terra,
e dall’aria all’acqua, combinando in mille forme
gli elementi puri della vita, in accordo
con il tenace disegno e l’impulso di un ordine.
Senza principio né fine, inevitabilmente.
E osservare il destino dell’essere, che appare
in un uomo, in un uccello, un albero o una pietra,
e lì respira e canta, lì cresce e s’inabissa
un minuto, anni, secoli, quindi si diluisce
per poi rinascere da un’altra parte, un’altra
latitudine dello spirito che determina
il ritmo della creazione. Perché la fine
– polvere, frammento triste, mandato di morte –
è solo nelle illusorie e caduche presenze
che la materia finge e senza pausa abbandona,
non in quel che indivisibile e luminoso abita
la casa quietata dell’eterno.



pablo.luque.pinilla@gmail.com
gloria.bazzocchi@unibo.it