FILI D'AQUILONE rivista d'immagini, idee e Poesia |
Numero 8 ottobre/dicembre 2007 Tracce d'Europa |
TRACCE D'EUROPA? di Armando Santarelli |
Tracce d'Europa?
Tracce d'Europa?
Tracce d'Europa?
Certo, oggi non siamo più il centro del mondo, e questo ci ha reso più insicuri, più fragili. Dopo millenni di supremazia, abbiamo perso il predominio economico e militare, soprattutto per effetto dell'ascesa degli Stati Uniti al rango di potenza planetaria. Ma più degli americani, più di ogni altro popolo della terra, sappiamo chi siamo. Nella cruda, ma realistica formulazione di Denis de Rougemont, abbiamo scoperto e influenzato tutti gli altri continenti, ma nessuno ha scoperto noi. Abbiamo dominato il mondo, ma nessuno ci ha mai dominati. Siamo sicuramente all'altezza delle difficili scelte che l'odierno assetto del mondo comporta, perché la nostra civiltà, nutritasi del pensiero greco, dei fondamenti morali della religione cristiana, di quella ragione laica che è alla base della democrazia liberale contemporanea, ci ha abituato alla riflessione, all'apertura verso la possibilità che la verità risieda altrove, alla rinuncia a imporre le proprie ragioni con la violenza e la sopraffazione. Nessuno nega il diritto all'esistenza di una pluralità di culture, e quindi di diversi modelli di organizzazione della convivenza civile. Né possiamo dirci certi di essere noi, gli europei, i più attrezzati a sostenere la sfida cruciale del nostro tempo, cioè l'incontro e l'integrazione con altre razze e culture. La terribile pagina del genocidio degli ebrei d'Europa sta lì ad ammonirci sulla labilità, anche per le società più avanzate, del confine fra civiltà e barbarie. Ma quale terra, al mondo, può vantare l'esperienza culturale, sociale, politica, il lungo cammino attraverso le istituzioni che ha contraddistinto la storia europea?
Chi, meglio di noi?
Fra le molte, indelebili tracce che l'Europa, e poi l'Occidente euroatlantico, hanno impresso nella storia umana, resta da dire di quella che è diventata, ormai, la più profonda, perché è alla base di ogni attuale mutamento sociale, politico, economico, e persino antropologico: la tecnica.
Come sostiene da tempo Emanuele Severino, lo scontro di civiltà che si profila non è quello fra Cristianesimo e Islam, fra Oriente e Occidente, ma quello fra passato e presente dell'Occidente, tra i valori del pensiero greco-cristiano e la tecnica.
Detto questo, sono convinto che il pensiero occidentale, che più di altri ha autorizzato la tecnica a dominare il mondo, saprà trovare i rimedi contro la fuga dell'esistenza verso il nichilismo e l'insensatezza generati dalla potenza e dalla pervasività dell'apparato tecnico.
A dispetto dei catastrofisti, di chi si sofferma solo sul lato edonistico e individualistico della nostra società, io vedo emergere nella vecchia Europa un nuovo bisogno di comunità e di cooperazione, di forme di vita associata dove incontrare e vivere i bisogni reali, quelli del dialogo, della giustizia, del pluralismo, del rispetto per l'ambiente, valori che non sono occidentali, ma che dovrebbero essere un diritto per tutti i cittadini del mondo. Come ha sottolineato di recente Andrzej Stasiuk, se sempre nuovi Paesi desiderano unirsi alla Comunità Europea, allora non è questione di benessere o dello standard di vita europeo. "Per cose del genere", scrive lo scrittore polacco, "la gente non va in prigione e non si mette sotto la canna dei fucili. Si tratta di qualcosa di più grande".
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