FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

EMILIANO SBARAGLIA
I sogni e gli spari

di Alessio Brandolini



A trent'anni esatti di distanza sono molti i libri usciti sul fatidico "Movimento '77". Un anno cruciale per l'Italia, di svolta e di crisi, forse negativo, segnando la fine dei sogni nati con il '68 o, più precisamente, agli inizi degli anni '60. Poi tutto degenerò in violenza e si passò agli spari, e furono in molti a cadere, o a fuggire all'estero, o a finire in galera. Infatti il libro di Emiliano Sbaraglia s'intitola proprio così: I sogni e gli spari - Il '77 di chi non c'era (Azimut, 2006). Io c'ero, nel 1977, e all'Università di Roma ricordo tensione e paura, ma anche fermento e tante idee, la voglia di conoscere e di capire.
Ora tutto sembra più stazionario, come paralizzato, e via via si è formato un distacco spaventoso tra i giovani e la politica, tra i giovani e la realtà in cui vivono. Durante quell'anno, al contrario, che gran fermento! quante manifestazioni, lotte, idee, e poi l'esplosione delle radio private che allargano le piazze e le uniscono (le "radio libere", con Radio Alice nella Bologna di Marconi e, a Roma, Radio Città Futura e Radio Onda Rossa, e tante altre), la musica rock, i raduni a Milano a Parco Lambro, il movimento femminista che si rafforza, la fantasia un po' folle degli Indiani metropolitani, le centinaia di riviste (e non solo nelle grandi città), i fogli ciclostilali, i manifesti, i murales, "Lotta Continua", le nuove case editrici coraggiose e alternative, la "controinformazione"... ma anche - purtroppo - la droga, la violenza che lievita e si espande giorno dopo giorno, anche per via dell'enorme scollamento tra i partiti di sinistra e il Movimento del '77 che tante cose vorrebbe cambiare.

Chi non ricorda l'episodio di Lama cacciato dall'università di Roma il 17 febbraio 1977? Forse un modo ben studiato per tracciare un solco profondo tra gli studenti e gli operai, i lavoratori.
Un Pci che cresce e non dà frutti, come un albero gigantesco, ma sterile. Berlinguer che propone austerità e sacrifici, e il Movimento che non crede nell'alleanza tra sinistra e DC, tra sinistra e potere economico. Allora ci si sente molto delusi, ancor più che dopo il '68, politicamente orfani, si grida al tradimento, sui muri appaiono scritte del tipo "Enrico e Giulio uniti nella lotta". Rapidamente nascono e si moltiplicano gruppi e sottogruppi extraparlamentari, poi "la deriva armata", la P38, l'Autonomia, le BR. Gli spari contro i sogni, e quindi i tanti morti.

Forse i sogni si spengono perché crolla la speranza nel futuro. Si spara e si uccide senza pensare alle conseguenze, non per niente il Movimento del '77 si caratterizza per la sua estrema frammentarietà. Non a caso chi ammazza non si preoccupa più di tanto di finire anch'egli ammazzato, o di dover fuggire all'estero, o di finire in galera per trent'anni o il resto dei giorni. Poi le BR (già in azione nella primavera del 1970, a Milano) proveranno a mettere "ordine", a dare un progetto alla rivolta del Movimento, a unire gruppi e persone fino ad arrivare a compiere quel sequestro Moro che resta un caso unico in tutto il terrorismo occidentale, compresi quelli dell'Eta e dell'Ira.

Quello che non sono riuscito a capire del 1977, anno così importante per l'Italia, è come mai la fine di una utopia (la fantasia al potere, la rivoluzione democratica, le comuni ecc.) abbia generato un'altra utopia: quella di compiere una rivoluzione sociale e politica usando le armi. Cioè la violenza e la morte. Forse fu un colpo di coda (e di follia): la voglia di tenere in piedi comunque quel sogno, magari con gli spari. Che però non erano fuochi d'artificio.
Ecco, allora, la deriva armata, che come si sa coinvolse anche l'estremismo di destra e i servizi segreti (più o meno deviati, che potremmo definire "estremismo di stato"). La strategia del "colpo sul colpo". Il rapimento di Aldo Moro con l'eliminazione dei cinque uomini di scorta il 16 marzo 1978, lo stesso giorno della fiducia al IV governo Andreotti (il cosiddetto "governo delle astensioni"): un monocolore Dc che segna l'inizio di quel compromesso storico voluto da Moro, ma con ben altre intenzioni e svuotato di ogni intento davvero riformista, e il ritorno del Pci nell'area governativa dopo trent'anni di opposizione.
E poi, nel maggio dello stesso anno, il corpo dello statista ritrovato in via Caetani, tra via delle Botteghe oscure (sede Pci) e piazza del Gesù (sede Dc), lo stesso giorno dell'uccisione del giovane attivista di sinistra Peppino Impastato (ma la mafia era a conoscenza che il ritrovamento del corpo di Moro sarebbe avvenuto proprio quel giorno?). E la foto di Moro senza vita, con il capo reclino e la barba lunga, che fa il giro del mondo.
Dopo due anni, il 2 agosto 1980, la miscela di tritolo e T4 che fa saltare in aria la stazione di Bologna, con i suoi 85 morti e 200 feriti.
Sono tutti fatti collegati?
Mi piacerebbe che Emiliano Sbaraglia, così preciso e documentato e dotato di chiarezza espositiva, scrivesse un libro, dopo questo sul 1977, dedicato al 1978 o, meglio ancora al triennio degli anni bui della Repubblica italiana, quello che va dal 1978 al 1980.

Allora: dopo i sogni gli spari.
E dopo gli spari? il silenzio?
Nell'ultimo dei tre capitoli dell'agile, eppure sempre preciso e documentato I sogni e gli spari, Emiliano Sbaraglia sottolinea proprio questo dato di fatto quando scrive:

il rassegnato nichilismo che progressivamente si impadronì del Movimento del '77, in molte sue peculiarità anticipava l'attuale senso di impotenza esternato dalle nuove gioventù, attraverso un atteggiamento di pressoché totale indifferenza verso ciò che viene deciso per loro e accade intorno a loro.

Ecco, speriamo di no, speriamo in un rapido risveglio. Un ritorno dei sogni, magari realizzabili, da costruire con passione e coraggio, giorno dopo giorno.


Emiliano Sbaraglia, I sogni e gli spari - Il '77 di chi non c'era (Azimut, Roma 2006, pagg. 127, € 9,90)




INTERVISTA A EMILIANO SBARAGLIA


Il 1977 è stato considerato l'anno terribile della politica italiana. Anno in cui, come scrivi nel libro I sogni e gli spari, la violenza (gli spari) prende il predominio sulle idee (e i sogni). Ma come fu possibile passare da un sogno alto e idealistico come quello del '68 a un progetto di morte?

Tra i due periodi intercorre un decennio vitale per la storia politica e sociale del nostro paese. Dal celebre autunno caldo del 1969, in tal senso le cose non sono state più le stesse.
Oltre a questo, non bisogna dimenticare la scelta da parte del potere costituito di innalzare il cosiddetto "livello dello scontro", corredato dall'inizio di quei tragici eventi insoluti spesso ricondotti alla fase della strategia della tensione, inaugurata il 12 dicembre sempre del 1969 con la strage di piazza Fontana.
Una serie di fattori, che insieme favorirono all'interno del movimento l'affermarsi della teoria della lotta armata rispetto alla componente creativa comunque presente e importante in quegli anni.

C'era anche un bisogno di visibilità? Impugnare una pistola e farsi fotografare era anche una forma di rischioso esibizionismo? O forse, da un punto di vista più generale, si potrebbe dire che attraverso quelle azioni i giovani intendevano esprimersi ed esprimere, anche in maniera convulsa e violenta, le proprie esigenze?

Il desiderio di emergere e farsi notare credo sia divenuta nel tempo una costante dell'individuo, in particolare nella sua fase post-adolescenziale, culturalmente cresciuto nella società occidentale moderna. Non dimentichiamoci che questi sono gli anni in cui uno come Andy Warhol teorizza la certificazione dell'esistenza di un essere umano soltanto se filtrata attraverso un passaggio nel mondo della videoimmagine di almeno quindici minuti...

Le rivolte giovanili degli anni '60 erano collegate a livello mondiale, anche attraverso la musica che ebbe un ruolo decisivo, ed esprimevano un malessere e, insieme, la forte vitalità della generazione nata e cresciuta dopo la seconda guerra mondiale. Il 1977 in Italia ha caratteristiche locali? Tanto più che l'anno successivo sarà segnato dal rapimento e nell'uccisione di Aldo Moro e dei suoi cinque uomini di scorta. Un fatto così eclatante, infatti, accadde solo in Italia.

In effetti, se si eccettua l'esperienza contemporanea della RAF tedesca, il movimento del '77 è un fenomeno di carattere principalmente italiano. Ma questo accade per i motivi di cui sopra, eclatanti appunto, che non hanno visto altrettanta frequenza e rilevanza in altri paesi "civilizzati". Il caso Moro, da questo punto di vista, ne è l'emblema simbolico per eccellenza, dato l'enorme significato politico e le conseguenza del suo esito.
L'attuale ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, non molto tempo fa ha dichiarato che secondo il suo punto di vista la prima Repubblica non termina, come in molti sostengono, con le inchieste del pool di Milano che portarono al terremoto di Tangentopoli, bensì proprio dopo i tragici 55 giorni del sequestro e omicidio di Aldo Moro.

Il 1977 vide la nascita della deriva armata e, insieme, politica, con la nascita di tanti gruppi e gruppetti extraparlamentari, sopratutto di sinistra. Oggi si parla di sinistra plurima, ed è giusto, ma vi sono una molteplicità di progetti che non riescono a unirsi e a far sì che un'idea di progresso, di giustizia sociale e di forte rinnovamento civile si concretizzi. Sembra il ripetersi di un vecchio male della sinistra italiana: quello delle spaccature interne, del velleitarismo politico, di una difficoltà a lavorare assieme per il bene del paese. Possibile che la storia non riesca a insegnare nulla?

Sui danni e l'utilità della storia per la vita si è già espresso un discreto pensatore tedesco, in tempi non sospetti... A me quello che viene da dire è che oggi, in un sistema planetario che ogni giorno mette in serio pericolo la propria sopravvivenza obbedendo a un pugno di imposizioni volute da un pugno di potenti demiurghi dell'economia internazionale, qualunque politico non lavori in direzione della ricerca di un concreto equilibrio tra la società del mercato e l'emergenza ambientale, è soltanto un imboscato della politica, che confonde la realtà con l'ideologia, la necessità con i compromessi, la libertà con l'assuefazione al potere.

Questo numero di "Fili d'aquilone" è dedicato all'Europa, ma, un po' polemicamente, abbiamo deciso d'intitolarlo "Tracce d'Europa". Il pensiero politico si è come ridimensionato, non si pensa più in grande né, tantomeno, all'Europa. E i paesi che ne fanno parte hanno recuperato o stanno recuperando vecchie idee grettamente nazionalistiche che sembravano superate per sempre. In questo vuoto risaltano ancor più politici come Piero Gobetti e Antonio Gramsci, e di entrambi ti sei occupato, di Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi, e soprattutto quelli dei grandi europeisti: Altiero Spinelli (di cui quest'anno ricorre il centenario dalla nascita) e Ernesto Rossi, che già nel 1944 parlava di "Stati Uniti d'Europa" e ne affermava il valore e la necessità. Spinelli e Rossi, i due promotori del famoso "manifesto di Ventotene", che resta la bibbia della fede europea. Ecco: che fine hanno quelle grandi idee sull'Europa? Erano solo sogni alimentati dagli spari delle seconda guerra mondiale?

Secondo me no, o meglio spero proprio di no. Perché ritengo che la costituzione di una federazione di Stati, la costruzione di quella entità geografica e politica che già alla metà degli anni '40 alcuni dei nomi da te fatti chiamavano Stati Uniti d'Europa, sia una delle poche possibilità che ci rimangano per modificare positivamente l'attuale ordine degli eventi.

Tornando a I sogni e gli spari: dopo "l'anno terribile" ci furono quelli di piombo e di morte, di sequestri e di bombe, che vanno dal 1978 al 1980 e che ben presto vennero chiamati gli "anni bui della Repubblica". Come si collega il '77 ai tre anni successivi? Non ti viene voglia di scrivere un seguito al tuo libro?

Sto cercando di ragionare sul 1978, impostando la riflessione su tre personalità importanti che morirono in quell'anno: Aldo Moro, Giuseppe Impastato (che venne ucciso nello stesso giorno del presidente democristiano, il 9 maggio) e Giovanni Paolo I. Tre morti "sospette", di uomini che, ciascuno a loro modo, stavano tentando di modificare il corso della storia culturale e politica del nostro paese. Non gli è stato permesso.




Emiliano Sbaraglia EMILIANO SBARAGLIA

È nato a Frascati, dove vive, nel 1971. È dottore di ricerca per la cattedra di Letteratura italiana dell'Università di Roma Tor Vergata. Autore di un saggio-intervista sulla figura di Piero Gobetti (Cento domande a Piero Gobetti, 2003) e di uno studio su Enrico Berlinguer (Incontrando Berlinguer. Passioni e parole di un leader scomodo, 2004), entrambi pubblicati dall'editore Non Luoghi. Collabora alle riviste "Nuovi Argomenti", "Sincronie" e alle pagine culturali del mensile "Aprile". È redattore del quotidiano web Aprileonline.info.


alexbrando@libero.it