FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 8
ottobre/dicembre 2007

Tracce d'Europa

RUY DUARTE DE CARVALHO
Le carte dell'inglese

di Alessio Brandolini



Pubblicato nel 2000 a Lisbona Le carte dell'inglese di Ruy Duarte de Carvalho (titolo originale Os Papéis do Inglês) viene ora pubblicato in Italia dalla giovane casa editrice romana La Nuova Frontiera, nella collana Liberamente che propone narrativa straniera, dedicata soprattutto ad autori di lingua spagnola e portoghese. Il romanzo è stato tradotto da Livia Apa, che alla traduzione aggiunge la nota finale Le carte della memoria.

Una storia ambientata in Angola, dove l'eclettico autore vive da decenni, pur essendo nato in Portogallo nel 1941, e gremita di "tracce" europee, e relativi riferimenti letterari. I più lesti a sbarcare in Angola (quattro volte più grande dell'Italia) furono i portoghesi, nel 1483, che ben presto iniziarono la tratta degli schiavi con milioni di persone deportate in Brasile. L'indipendenza dell'Angola fu dichiarata soltanto nel 1975, dopo il tracollo del regime fascista portoghese avvenuto il 25 aprile 1974 con la "rivoluzione dei garofani", vale a dire di quella dittatura che perdurava dal lontano 1933.

Oltre che romanziere Ruy Duarte de Carvalho è un noto antropologo, nonché raffinato poeta, cineasta ecc. Per questo "eclettico", ma il suo è l'eclettismo intelligente di chi ha viaggiato (e viaggia) molto, di chi vuole conoscere, approfondire e documentarsi.
Sarà per questo, poi, che la scintilla di questo romanzo è la ricerca di alcune carte (lettere e diari) lasciate dal giovane antropologo inglese Anchibald Perkings, che ai lussi londinesi degli anni Venti ha preferito la più remota e inospitale regione dell'Africa australe. Poi l'inglese ha ucciso un uomo, il Greco, forse per timore che qualcosa di prezioso diventasse misera banalità, si è autodenunciato ma a nulla è servito perché le autorità locali hanno altre cose più importanti a cui pensare, e allora si è autopunito: distruggendo quello che aveva intorno e, infine, togliendosi la vita.

Una storia strana, no? e che forse nasconde persino un tesoro, ovvero la mappa per raggiungerne uno antichissimo, custodito in una zona inaccessibile dell'Angola. Beh, sembra una trama picaresca e Ruy Duarte de Carvalho, forse, ci prende gusto fin dall'inizio, quando, oltre al sottotitolo (Il Guanguela in fondo al carro), aggiunge anche una specie di spiegazione:

Narrazione breve e appena scritta (1999-2000) completamente inventata a partire dalla storia di un Inglese che nel 1923 si suicidò a Kwando dopo aver fatto fuori tutto quello che gli stava intorno come racconta la succinta cronaca dei fatti di Henrique Galvão.

Una "cronaca", appunto, come si diceva ai vecchi tempi, e scritti che entrano in altri scritti: e le carte dell'inglese che s'intrecciano a quelle lasciate dal padre dell'autore...
Questo si chiama gusto della narrazione. Non a caso l'autore angolano a un certo punto scrive: "da qualche parte ho letto che la vera avventura esiste solo dopo averla raccontata". E lui, quindi, racconta e fa "esistere" le sue storie, le sue avventure, e le dona al lettore.

Affascina questa costruzione narrativa che abilmente fa nascere e sviluppare episodi (con accenni ad altre possibili interessanti fatti, e quindi ad altre infinte narrazioni) e poi le intreccia con garbo, per poi sciogliere il tutto dopo qualche pagina, come per creare un puzzle di vicende umane, geografiche e storiche che non fanno da contorno alla storia principale (la ricerca delle carte dell'inglese assassino e suicida), ma sono la loro piattaforma, la linfa vitale di un libro che trova la sua essenza (e la sua struttura) proprio nella sapiente digressione, nel recupero della tradizione orale, con costanti e diretti richiami all'ascoltatore-lettore al quale si richiede attenzione e partecipazione.
Il libro poi si richiama a quelli precedentemente scritti dall'autore, saggi e romanzi, o che magari scriverà più avanti, se ne avrà la voglia o il tempo. O ai libri di tanti altri amati autori che cita durante la narrazione o che ringrazia nella nota finale (Céline, Conrad, Yourcenar, Pavese ecc.).

Un gusto per l'investigazione a largo raggio ma che sa, al momento giusto, affondare lo sguardo su altri fatti magari meno divertenti per il lettore, ma importanti. Per esempio la povertà, il dolore, la solitudine. E la capacità e la dignità nel vivere queste situazioni. L'omologazione forzata, l'irrefrenabile desiderio di ricchezza che dal mondo occidentale dilaga in tutta la Terra e, soprattutto, la Storia, sì, quella con la s maiuscola. Il colonialismo, l'indipendenza dell'Angola, i quarant'anni di guerra civile per via dei contrasti etnici, religiosi, politici e territoriali, ma anche perché alimentata da paesi stranieri interessati alle grandi risorse petrolifere dell'Angola e alla sua posizione strategica.
Guerra civile che ha provocato oltre un milione e mezzo di morti, per non parlare poi delle centinaia di migliaia di profughi che hanno perso il poco (o il tanto?) che avevano: una capanna, il loro villaggio, le loro radici. E poi i mutilati, i feriti.
L'Angola è uno dei paesi più dotati di risorse dell'Africa a Sud del Sahara eppure la sua economica si trova in uno stato critico e più del 60% della popolazione (14 milioni di abitanti) vive al di sotto della soglia di povertà.

Ecco allora che le carte qui ricercate non sono soltanto quelle dell'inglese che si è ammazzato perché tormentato dal rimorso o per applicare a se stesso il severo sentimento di giustizia insito nella propria educazione e cultura, ci sono anche quelle del padre dell'autore arrivato dal Portogallo. Autore che giustamente desidera approfondire (come figlio, scrittore, antropologo e angolano) le proprie radici familiari. E a queste si aggiungono le "carte" (ovvero i fatti, le motivazioni, l'ideologia del progresso ecc.) che hanno reso l'Angola quel che è, e, più in generale, l'immenso continente africano:

E riguardo alla sorte, al destino, anche quello più immediato, di queste "comunità"? Entreranno nel ventunesimo secolo senza che le dinamiche di un'economia fondata sulla gestione degli equilibri si sia profondamente alterata. Ma il fenomeno più forte del diciannovesimo e del ventesimo secolo, dal punto di vista sociale, è stato, secondo me, l'appello di tutto lo spazio planetario ad accettare, con maggiore o minore resistenza, l'adozione vitale, con ogni tipo di pressione, dei modelli occidentali di pratica e di configurazione ideologica della vita. (...)
Per questo si dovrebbe mettere in discussione la redenzione egualizzante dell'ideologia del progresso, della crescita economica e dell'accumulazione di capitali finanziari con l'elogio, politicamente retrogrado, di una prosperità possibile sul piano dell'equilibrio e della ridistribuzione.
Da un'imputazione di questo tipo persino gli ecologisti si guardano bene. Ma chi ero io per starmene lì con queste storie se, per uso personale e intimo, ero passato quasi cinicamente dall'idea classica di evoluzione a quella di complessificazione, sostituendo Taillard de Chardini a Darwin? Nessuno parla oggi di darwinismo, certo. Ma l'illuminismo e l'evoluzionismo sono impliciti in tutta la produzione ideologica e intellettuale regnante e tuttora onnipresenti e dominanti, con maggiore coscienza dei più grandi peccati del passato, controllando gli uomini, prima, secondo scale fisiche e, poi, in base a una gerarchizzazione delle culture - fondando lo stesso spirito dell'impero, anche quando si traveste da un egualmente abietto paternalismo che conferisce ad alcuni il diritto di decidere, in modo benemerito e provvidenziale, per gli altri e in nome degli altri, gli ignoranti e i ritardati, i poverini. Questi uni e altri siamo tutti noi, gli uni per gli altri e così via e sempre in funzione del guadagno altrui.

Lo sguardo acuto e allargato dell'antropologo sociale, che anche quando si fa poetico non scivola mai nell'esotismo, è sempre presente ne Le carte dell'inglese, ma in modo discreto, e necessario. Nel romanzo s'intrecciano storie, viaggi, persone. Si va assai lontano dalla capitale Luanda, ci si perde nel sud dell'Angola, "in culo al mondo", che poi è il titolo di un romanzo di un altro grande scrittore di area lusofona, António Lobo Antunes, sempre ambientato in questa terra. All'avventurosa narrazione s'innestano passi come quello appena citato, dal taglio saggistico, che fanno riflettere non solo sull'Angola o sull'Africa, ma sull'attuale e rapida globalizzazione e - tornando indietro nella storia - sul colonialismo e così facendo il libro rimanda a fatti assai poco edificanti della storia d'Europa e a ferite ancora aperte. Fa riflettere sul mondo intero, e sul nostro futuro.

A tutto questo vanno aggiunti frammenti di poesia (Duarte è anche poeta), brani di diario, asserzioni filosofiche, sempre legate all'attenta e partecipe osservazione di uomini e cose. Allora dall'eclettismo a cui si accennava sopra può venir fuori - a sorpresa - la zoomata da esperto documentarista che isola e mette in risalto un solo oggetto, lo studia e con raffinatezza lo collega all'esistenza umana:

Quella mattina la passai guardando Ketia-Ketia intagliare dei sandali nel cuoio che aveva portato già morbido, conciato da qualche altra macellazione, era il tempo adatto, era il tempo della carne. Allora riflettevo su un tema che mi terrà occupato ancora per molto. È verso cose come questa che mi vedo sempre più rivolto da quando ho deciso di non angosciarmi oltre per quello che non dipende da me (l'ho imparato da Marco Aurelio e da Epitteto). La distanza tra quei sandali - che alla fine della mattina sarebbero stati pronti, nuovi, di cuoio rude - e quelli che lo stesso Ketia-Ketia calzava adesso, consumati dal tempo e dal suo girovagare, ecco cosa richiamava la mia attenzione. L'oggetto impregnato del rapporto con il suo uso.



Ruy Duarte de Carvalho, Le carte dell'inglese (La Nuova Frontiera, Roma 2007, traduzione dal portoghese di Livia Apa, pagg. 134, euro 14,50)




Ruy Duarte de Carvalho RUY DUARTE DE CARVALHO

Angolano nato in Portogallo nel 1941, è una delle voci più complesse e originali della letteratura africana contemporanea. Poeta, romanziere, saggista e grande viaggiatore è considerato uno dei più significativi scrittori in lingua portoghese. Antropologo di formazione, dottorato a Parigi, professore nelle università di Luanda, Coimbra e San Paolo. È autore, negli anni successivi all'indipendenza dell'Angola (1975), di una vasta produzione di documentari. In Italia sono apparsi suoi racconti in antologie e una plaquette poetica (e.f.c.) pubblicata da Manni.


alexbrando@libero.it