FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 7
luglio/settembre 2007

Altre terre

MAPPE DI NUOVI MONDI INTERIORI
Su Mappe colombiane di Alessio Brandolini

di Oscar Palamenga


Pallida in strade impervie
l'immagine del sogno
famelica s'aggira
con fioche e stanche grida

William Blake    

Leggendo Mappe colombiane, l'ultimo lavoro poetico di Alessio Brandolini (LietoColle, 2007), si ha l'impressione che mai come in questo caso la poesia prenda un significato diverso a seconda di chi la legga.
In fondo è proprio questa la bellezza della poesia: l'universalità e la capacità di essere letta e assimilata in maniera diversa a seconda del lettore. Infatti Mappe colombiane di Brandolini può essere contemporaneamente cronaca emotiva di un viaggio, felice scoperta di un altro mondo e, ancora, la ricerca di un altro modo di vivere, la trasposizione poetica d'intense (acute e dolorose) emozioni. Ma può anche essere considerato il luogo dove perdersi ("Perdersi a volte / fa bene alla salute") o quello adatto a tracciare con pazienza e tenacia le coordinate per un percorso esistenziale alternativo e ribelle, saldamente teso alla ricerca di risposte importanti sulla vita e sull'uomo, alla coraggiosa esplorazione di nuovi mondi interiori.
Il viaggio di Alessio Brandolini in Colombia avvenuto nel giugno 2004 non è, quindi, solo geografico, così come le "Mappe colombiane" non sono soltanto la narrazione poetica d'episodi realmente accaduti, ma è anche, e aggiungerei soprattutto, un percorso esistenziale. Tanto che la parola "colombiane" del titolo si riferisce principalmente a Cristoforo Colombo: anche lui, come il nostro poeta, utopico e audace navigatore attraverso mari sconosciuti e teso a raggiungere "altre terre".

Il punto di partenza di Brandolini, il suo porto di Palos, possiamo afferrarlo in molte poesie contenute nella raccolta, e che esprimono un profondo disagio:

    Ho perso dalla testa
    un migliaio di capelli.
    Me li ritrovo in mano
    sparsi sul collo
    lì, dove sono
    le tante cicatrici
    di uno scavo profondo.
    (...)

    Però non posso
    starmene assente
    ad osservare il sole
    che ci precipita
    in un cerchio di calce
    nella stilla d'inchiostro.

    La vita non la trovi
    dall'altra parte della strada.
    In fondo al lago, in un fosso.

    (pag. 76)

Ecco, il poeta non può rimanere assente, come un osservare impassibile e sordo, la vita non si trova dall'altra parte della strada è qui, in mezzo a noi, con noi. Però in lui sembra esserci un blocco, una difficoltà esistenziale, una impossibilità ad abbracciare pienamente la vita, così come da sempre vorrebbe. Allora il Sudamerica sembra offrirgli, a sorpresa, anzitutto un rifugio sicuro nella parola e nel festival poetico di Medellín una convinta partecipazione, un abbraccio, un incoraggiamento, un felice e insperato abbandono alla poesia:

    Qui si preferisce
    stare al sicuro
    aleggiare nella parola.
    Da decenni l'estate
    era un cane ringhioso
    un taglio verticale
    alle vene del polso.
    (...)

    (pag. 83)

Inoltre, quella terra così verde ed esuberante, così piena di contraddizioni come sottolinea lo scrittore colombiano, e raffinato poeta, Armando Romero nella prefazione a Mappe colombiane, gli offre una straordinaria energia vitale in grado di permettergli di schiarirsi le idee, di rendere più acuti i propri sensi, di fondere il passato al presente e di proiettarsi verso il futuro. Di cominciare, in sostanza, a ricostruirsi un più saldo "nuovo mondo" interiore:

    (...)
    Restano le pulsioni
    Il sangue della foresta
    che ora scorre veloce
    qui, in Sudamerica
    e la voglia di conoscenza
    che da giorni ci spinge
    a seguire le tracce
    del sogno, e a fare festa.

    (pag. 21)

Ha inizio così uno scavo, anche molto doloroso, dentro se stesso, nella propria infanzia ("l'infanzia la trovi per strade / di mani tenere, ma coraggiose"), nella memoria, fatta anche di macerie ("Tra le rovine della casa / ci sono insetti e serpenti / eppure lì, un fringuello / vola e ogni tanto canta"). Soprattutto, dentro i misteri della vita e i lati oscuri dell'uomo:

    Crescere e crepare.
    Ora spengo la luce
    e il buio ci consola
    immola sull'altare.

    Di milioni di facce
    oggi il mondo si sveste
    siamo soli, ma uniti
    al respiro di tanta gente.

    Senza più voce
    al di là della porta
    crepita il nulla.
    S'agita a lungo
    contorce le ossa.

    (pag. 30)


    (...)
    Era fiume
    ora il mare
    ovunque
    è la madre.

    (pag. 23)

Sembra quasi di assistere a un rito sciamanico, ad una catarsi, all'unione primordiale di tutte le anime, ad una trasformazione psichedelica della realtà:

    (...)
    Su Bogotá discende
    una pioggia povera di detriti
    le nubi si sfogliano e il cielo
    si trasforma in pan di zucchero
    si riempie di un celeste affettuoso
    di uccelli candidi dal becco tenero.

    (pag. 55)

Si comprende con dolore che il legame dell'uomo con la vita, e con gli altri esseri viventi, dovrebbe (e potrebbe) essere assai diverso, più vasto e profondo, più coinvolgente e saldo. C'è una forte tensione alla conoscenza dell'uomo, alla consapevolezza dei nostri tempi. L'idealismo utopico, ma non teorico, di Bolívar in questi versi è il riflesso dei desideri del poeta, dei propri sogni, oltre che poetici anche politici e sociali:

    Bolívar oggi ci sprona
    al viaggio equatoriale
    di fine giugno.
    L'audace, l'idealista
    ci spinge a seminare
    nella terra del vento
    nell'oceano dei sogni.
    Invita a sollevarsi,
    non uscire di pista.
    A guardarsi negli occhi.

    (pag. 60)

Nell'oceano dei sogni c'è il desiderio di una vita "altra" (oltre a William Blake, si pensa alle canzoni di Bob Dylan e di Jim Morrison) che ci conduca fuori dall'esilio, dove gli uomini conoscono la solidarietà, la fratellanza, l'altruismo e la speranza. È una continua ricerca di "altre terre" e di sensazioni assolute che non appartengono solo ai sensi, ma bensì anche all'anima, all'inconscio:

    Osserviamo il silenzio
    lo sfioriamo con gli occhi
    non fuggiamo la danza
    delle parole che qui
    perdono il guscio
    non certo la sostanza.

    Ora posso sedermi.
    Senza timore
    divorare la piazza.

    (pag. 70)

Alla fine del viaggio rimane solo la speranza, e il desiderio di seguitare a credere in quella speranza.
E non è assolutamente casuale che le Mappe colombiane inizino e finiscano con dei versi dedicati proprio alla speranza. In apertura, con la bella epigrafe del poeta colombiano Giovanni Quessep (Ogni speranza ha la sua memoria, / un sole di ferro, un pianto d'esilio), così nella splendida poesia che chiude la raccolta:

    Ogni speranza
    ogni singolo gesto
    adagio si riversa
    nelle mappe segrete
    trae la sua forza
    la sua soffice luce
    dallo sguardo del sole.

    Per questo l'esilio
    può tramutarsi
    in sogno senza sosta
    in un lungo tragitto
    o nel sangue che scorre.

    Di padre in figlio
    passa fluido e sicuro.

    (pag. 87)

Sembra proprio che le Mappe colombiane di Alessio Brandolini non siano stabili ma, come in un sogno senza sosta, in continuo movimento e lo suggerisce anche il disegno a china di Stefano Cardinali (Tra-me) messo in chiusura e che riproduce i contorni geografici della Colombia. Un passaggio da una mappa all'altra. Una famelica ricerca e una continua scoperta, un costante movimento, lo stesso che ha generato e genera la vita, quello che "di padre in figlio / passa fluido e sicuro".

Alessio Brandolini, Mappe colombiane,con prefazione di Armando Romero, LietoColle, Faloppio - Como - 2007, pagg. 95, euro 13,00

 

o.palamenga@tin.it