FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 7
luglio/settembre 2007

Altre terre

TERRA AZTECA
Su Pietra di sole di Octavio Paz

di Alessio Brandolini


Ho scritto i primi trenta versi come se qualcuno me li stesse silenziosamente dettando

così dichiarò Octavio Paz (Città del Messico 1914-1998) in un'intervista. Pietra di sole è un poema lungo, composto da 590 endecasillabi sciolti divisi in 35 strofe, che il poeta messicano (Nobel nel 1990) elaborò nel 1957, a Città del Messico, lo scrive alla fine del testo, come a sottolineare l'importanza del luogo e del momento.
Paz ha poco più di quarant'anni ed è già un poeta affermato, uno degli intellettuali più noti del Messico, di cui è autorevole membro del corpo diplomatico: a Parigi dal 1946 al 1951, poi in Giappone e in India.
Il poema all'inizio fu diffuso in trecento copie, per poi inserirlo (senza modifiche) nei due volumi pubblicati l'anno successivo: la nuova raccolta La estación violenta e Libertad bajo palabra, che raccoglie l'intera sua opera poetica, dall'esordio avvenuto nel 1935 fino agli ultimissimi lavori. In questi due libri Piedra de Sol è collocata in chiusura, a sintetizzare e concludere quei due decenni abbondanti di poesia, ma, allo stesso tempo, a segnare un nuovo inizio.
Una specie di bilancio, quindi, che Paz poi ripeterà nel 1966 con Blanco e nel 1974 con Pasado en claro, utilizzando sempre il poema lungo.

Pietra di sole è il testo più amato e antologizzato della poesia di Paz, uno dei più significativi, al vertice della poesia del secondo novecento in lingua spagnola e non a caso Julio Cortázar lo definì "il più bel poema d'amore scritto in America Latina". I temi qui affrontati sono molti: quello amoroso ed erotico, della riflessione dell'atto poetico, del tempo e della storia. Temi costanti nella poesia paziana ma che qui si fondono e s'intrecciano in modo perfetto.
Il poema deriva il nome dal gigantesco monolito (pesa venticinque tonnellate e a un diametro di 3,60 metri) conservato nel Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico, pietra circolare che riproduce il calendario azteco e ritrovata nel dicembre 1790 a Città del Messico .
Quindi il recupero della cultura e della sensibilità azteca s'innestano alla riflessione sul tempo: quello delle scadenze quotidiane si contrappone a quello naturale e sacro ("tutti i secoli sono un solo istante"), a quello originario che permette all'uomo di abbandonarsi al flusso vitale, al fiume della vita. Per questo i primi sei versi, pieni di riferimenti all'acqua (salice di cristallo, pioppo d'acqua / alto zampillo che s'inarca al vento), sono anche gli ultimi e il poema termina non con il punto (mai presente) ma con i due punti così che la fine riconduca al primo verso (che non a caso parte con la lettera minuscola), in un processo circolare che si richiama alla pietra del calendario azteco.



Pietra di sole ha una struttura lirico-narrativa, con un'andatura torrentizia, parallelismi, versi senza rime e sparse assonanze, ma con parole ripetute che gli imprimono un tono salmodiante e percussivo, fitto d'intrecci, d'enjambement, d'improvvisi cambi di ritmo. Un'onda lunghissima di versi da leggere tutti d'un fiato. Per questo il testo è fortemente lirico, eppure conserva la forza della coerenza e della coesione. Un effetto strano e affascinante, come d'un fiume che tracima alla grande, ma in modo perfetto.
Il tema centrale è l'istante amoroso, la sua valorizzazione come atto creativo (Ortega y Gasset), il solo che può donarci la libertà assoluta, autentica, perché l'amore riscatta dalle costrizioni e dalla morte. L'esplorazione del corpo della donna allora s'unisce a quella della storia, della politica, della realtà circostante, delle proprie origini. L'eros ci spalanca a nuove prospettive, abolisce il tempo e la solitudine, e si trasforma in poesia. L'atto amoroso non è un "attimo fuggente" ma momento unico e fondamentale, che modifica il corso del tempo, dà - a chi lo vive - una nuova prospettiva esistenziale esistenza e, a un tempo, lo ricollega al passato, alla "Piedra de Sol", appunto, di quell'antico popolo azteco che viveva e prosperava nell'attuale Messico.
Per questo l'amore di uno è anche l'amore di tutti, e quando si ama l'io diventa il tu, il noi, e, quindi, l'origine della vita.
Un misticismo, quello di Paz, teso non alla trascendenza ma al riscatto dei propri giorni, per dargli più senso, più profondità, per sondare meglio in noi stessi, in terre sconosciute e misteriose, per sondare negli abissi dell'inconscio collettivo.

Il sole (l'amore, la poesia) riscalda e illumina la pietra (l'uomo), lo trasforma in materia preziosa.
Paz ha un gusto particolare per l'antitesi, per l'accostamento dei contrari: Pietra di sole è anche il poema delle riconciliazioni tra forze apparentemente opposte. Tendere all'armonia per risanare le lacerazioni, essere cosmopoliti per attaccarsi in modo più tenace alle proprie origini. Legare la poesia europea (la generazione spagnola del '27, la stagione del surrealismo francese) a quella americana novecentesca, alla memoria precolombiana e coloniale, con tutte le bellezze e le cicatrici che si porta dietro.
Ne deriva una vitalità poetica suadente e complessa dove il corpo della donna si fa mondo ("voy por tu cuerpo como por el mundo"): città, chiese, piazze, lune, alberi, i bombardamenti di Madrid del 1937...

La cura e la traduzione di Francesco Fava di questa nuova proposta italiana di Pietra di sole (Il Filo, Roma 2006, pp. 101, euro 14,00, con testo spagnolo a fronte) sono lodevoli.
Nella lunga introduzione Fava affronta e sviscera con chiarezza e precisione gli argomenti relativi al lungo poema e quelli della sua nuova traduzione, che ha riprodotto la forma metrica di Piedra de Sol, gli endecasillabi sciolti. Compito del traduttore, scrive Fava, è quello di "creare un equilibrio e un'armonia autonomi, rispettando nel loro insieme i principi stilistici e compositivi del testo originale ma conferendo alla traduzione un ritmo proprio". Attenzione quindi all'equilibro complessivo, anche se mantenendo la stessa forma metrica dell'originale si sono resi necessari alcuni aggiustamenti, ma sempre rispettando il senso e l'andamento dell'endecasillabo.
Il tentativo ci sembra riuscito perché il poema in traduzione si legge bene (ovvero è godibile), tanto più che Octavio Paz ha sempre attribuito un'enorme importanza al ritmo dei versi, che ha il compito (decisivo) di ricreare il tempo originario e, come scrive nel saggio L'arco e la lira (1956): "la poesia non è altro che tempo, ritmo perpetuamente creatore".




da PIETRA DI SOLE
(traduzione di Francesco Fava - Il Filo, Roma 2006)



un sauce de cristal, un chopo de agua,
un alto surtidor que el viento arquea,
un árbol bien plantado mas danzante,
un caminar de río que se curva,
avanza, retrocede, da un rodeo
y llega siempre:
                     un caminar tranquilo
de estrella o primavera sin premura,
agua que con los párpados cerrados
mana toda la noche profecías,
unánime presencia en oleaje,
ola tras ola hasta cubrirlo todo,
verde soberanía sin ocaso
como el deslumbramiento de las alas
cuando se abren en mitad del cielo,

un caminar entre las espesuras
de los días futuros y el aciago
fulgor de la desdicha como un ave
petrificando el bosque con su canto
y las felicidades inminentes
entre las ramas que se desvanecen,
horas de luz que pican ya los pájaros,
presagios que se escapan de la mano,

una presencia como un canto súbito,
como el viento cantando en el incendio,
una mirada que sostiene en vilo
al mundo con sus mares y sus montes,
cuerpo de luz filtrada por un ágata,
piernas de luz, vientre de luz, bahías,
roca solar, cuerpo color de nube,
color de día rápido que salta,
la hora centellea y tiene cuerpo,
el mundo ya es visible por tu cuerpo,
es transparente por tu transparencia,

voy entre galerías de sonidos,
fluyo entre las presencias resonantes,
voy por las transparencias como un ciego,
un reflejo me borra, nazco en otro,
oh bosque de pilares encantados,
bajo los arcos de la luz penetro
los corredores de un otoño diáfano,

voy por tu cuerpo como por el mundo,

(...)


salice di cristallo, pioppo d'acqua
alto zampillo che s'inarca al vento,
albero ben piantato ma danzante,
l'incedere di un fiume che si curva,
avanza, retrocede, gira intorno
a arriva sempre:
                      incedere tranquillo
di stella o primavera senza fretta,
acqua che con le palpebre serrate
tutta la notte emana profezie,
unanime presenza in mareggiata,
onda su onda ricoprendo tutto,
verde sovranità senza tramonto
come il baluginio delle ali
quando si aprono proprio in mezzo al cielo,

l'incedere nel folto dei futuri
giorni e il malaugurato illuminarsi
dell'infelicità come un uccello
che pietrifica il bosco col suo canto
e l'imminenza di felicità
che subito svaniscono tra i rami,
ore di luce che gli uccelli beccano
e presagi che sfuggono di mano,

una presenza che è improvviso canto,
come il vento che canta nell'incendio,
uno sguardo che in bilico sostiene
il mondo coi suoi mari e coi suoi monti,
corpo di luce filtrato da un'agata,
gambe di luce, luce il ventre, baie,
roccia solare, corpo color nuvola,
color di giorno rapido che salta,
l'ora che dà scintille e prende corpo,
nel tuo corpo è visibile già il mondo
nella tua trasparenza è trasparente,

percorro gallerie fatte di suoni,
fluisco tra presenze risonanti,
percorro trasparenze come un cieco,
mi cancella un riflesso, nasco in altri,
oh bosco di pilastri favolosi,
penetro sotto gli archi della luce
i corridoi di un autunno diafano,

il tuo corpo percorro come il mondo,

(...)


alexbrando@libero.it