FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 3
luglio/settembre 2006

Signore Bestie

TRANSUMANANZA
Su Nomadie di Guy Goffette

di Chiara De Luca


Guy Goffette ha definito Nomadie "Un ritorno alle sorgenti della mia voce". Traducendolo ho così voluto risalire anche io alle sorgenti di una voce che da qualche anno amo, ascolto, riascolto, per cercare di coglierne anche le più nascoste sfumature.

Alla sorgente l'acqua nasce in spinta, poi s'intorbida, discende, scorre. Nel gorgo, nel punto di passaggio rispetto alla produzione poetica più recente di Goffette, si situa Nomadie. La poesia delle opere successive, da La vita promessa (Gedit, Bologna 2004), per esempio, a Elogio per una cucina di provincia, a Un mantello di fortuna, è una poesia diretta, immediata, che cerca la chiarezza stilistica e d'immagine. C'è un grande slancio comunicativo, un tentativo di sfruttare al massimo le potenzialità iconiche della parola, quasi costringendola a prendere la forma delle cose, ad abbracciarle. In Nomadie la lingua pare ancora in parte implosa. C'è una forte energia non ancora del tutto liberata, che fa sì che le immagini siano più contratte, come un nucleo che non si sia ancora schiantato per far uscire la fiamma chiara. Le metafore sono più "chiuse", eppure non meno incisive. La lingua si piega a questa condensazione di significati, in parte si chiude, si nasconde per essere svelata.

Ma a dispetto di queste differenze stilistiche, Nomadie presenta già tutti gli aspetti che nella poesia di Goffette ho amato, fin dal primo momento in cui l'ho letta: la ricerca costante del senso dell'esistenza, di cui nulla è dato per scontato, di cui nulla passa inosservato; il desiderio di comprendere ogni cosa, di assumerne in sé il pulsare; la smania di immergersi nella realtà, nella sua bellezza e nel suo orrore, di riappropriarsene nel tentativo di dirla. La poesia diviene così strumento di conoscenza, una conoscenza che procede per gradi, partendo dall'osservazione quasi ostinata, nel tentativo di tradurre in versi ciò che del quotidiano normalmente sfugge all'osservatore meno attento. Eppure il poeta non si fa portavoce di una superiore conoscenza, non si pone al di sopra della realtà delle piccole cose, della gente incontrata, osservata, ascoltata, bensì come parte di un movimento inarrestabile, che non può essere mai compreso fino in fondo, da cui il poeta stesso si lascia trascinare, sommergere, sorprendere.

Quella di Goffette è una poesia di stupore inesausto di fronte al miracolo dell'esserci, una poesia pervasa di una spiritualità che si distacca dall'ortodossia e dal dogmatismo, per recuperare la parte più spontanea e sincera della fede.
La "Nomadia" è un luogo dello spirito, è il luogo da cui tutto prende inizio. E da qui prende inizio anche la poesia di Goffette, piena della nostalgia per un nondove che è luogo dell'anima, della sua riappacificazione, idealmente realizzata nel regno dell'infanzia, quella "vita promessa" da sempre negata e sempre presente come confluenza del passato nella contingenza, e come attesa del futuro. La Nomadia è il luogo salvifico, un territorio senza confini che offre rifugio dalla limitatezza delle quattro pareti di una casa divenuta prigione, e che pare essere sinonimo anche della società stessa, delle convenzioni che la informano, privando spesso l'individuo della sua libertà. Di quella libertà che Goffette cerca nel dentro, nel suo rispecchiarsi in un fuori rivisitato attraverso gli occhi della poesia che riscopre, che crea mille mondi resi possibili dall'immaginazione o dal ricordo.

C'è come un rovesciamento dell'accezione comune dell'esilio: qui è la casa il luogo deputato all'espatrio dell'esule, che la propria vera dimora se la porta sulle spalle. Qui la patria, o terra promessa, è la Nomadia, il luogo ideale, al di fuori dello spazio e del tempo, l'isola interiore. È l'oasi nel deserto degli affetti, costretti a una forzata contiguità dalle pareti di una casa che è una nave incagliata nell'immobilità, il cui abitante sta come una "cavallo falcato / che non corre più se non con gli occhi", verso la Nomadia, che è nostalgia di libertà, negata nella "terra sotto sequestro" della casa. Per Goffette, che trae di volta in volta respiro dal contatto con le sue colline (Elogio per una cucina di provincia), o dal movimento trascinante della città (Un mantello di fortuna), "Nella casa quadrata / il verbo muore d'apoplessia / e l'universo è esiliato". Chiusa nella ristrettezza delle quattro pareti domestiche, la parola soffoca, perde la sua valenza comunicativa, implode. Così anche la parola stessa di Goffette alla "sorgente" non ha ancora liberato tutte le sue potenzialità. È come se si preparasse al futuro slancio.
E per questo slancio verso la "vita promessa", territorio non circoscritto, occorrerà recuperare lo sguardo stupito sul mondo, lo sguardo dell'infanzia, che consente la piena comunione con la natura, e l'apertura verso una distanza, verso un futuro che si contrapponga alla staticità del presente, perché " Il bambino / unico pioppo / presta la sua voce ai corrieri di lunga percorrenza".

La casa, invece, che si pone come luogo fisso, come una sorta di faro (o fuoco fatuo) fuorviante, confonde "le nostre piste di transumananza / quando la neve è all'appuntamento / e attende noi per rovesciare la notte". Nella parola "transumananza", è racchiusa molta dell'essenza della poesia di Goffette, che traduce la sua visione dell'esistenza. Esistenza come continuo viaggio, in cui l'uomo si impossessa della naturalezza degli animali, nel loro libero movimento, pur restando umano. Ma c'è anche il senso di un passaggio (trans) da uno stato di prigionia, quello determinato dall'appartenenza a una società dominata da regole ferree, ad un luogo altro, quello della poesia, che cerca l'amore al di fuori della casa, dove esso "[...] non è più / che una donna per metà perduta / nella ventata del sogno", perché "tutto quello che la casa tocca / perde il suo sangue di gazzella / e la sua voce ragazzina", tutto quello che la casa racchiude e circoscrive, perde la naturalezza dell'infanzia, ed è allontanato da ogni possibile comunione con la natura. Da qui nasce nel poeta la consapevolezza di essere "morto per il non rischiare", di essere prigioniero in quel "vascello immobile sotto la vela / del tempo", che nella sua staticità non apre ad un futuro "per camminare sul mare".




da Nomadie


AVANT POÈME

Cinq ans d'empierrement cinq ans de glace
je fus cinq ans dans ce vaisseau figé
Qu'on appelle maison
Cinq ans à déterrer sa coque grise
Cinq ans cinq ans à m'enterrer

Je n'étais plus alors qu'une main noire et lourde
un cheval fauché
qui n'a plus que ses yeux pour courir
une main à prise rapide
et tout le ciel me passait sous le nez
Une main dure à échauffer
et les saisons l'une après l'autre
perdaient leur têtes chevalières
et roulaient dans mes caves
leurs vides ventilés

 


Tortue l'échine crue
ma maison sur le dos
Je devins taupe
avec une montagne à sortir de terre
Je fus poisson
pour finir en paix la semaine
l'océan à demeure

Un jour qu'il faisait nuit
Je me pêchai pour voir

L'hameçon m'est resté accroché dans la gorge

(29 août 78)

 


PORTE, 1

Souvent
à l'entendre geindre
tu maudis l'âme
du bûcheron qui l'a scié

Cet arbre
Contre lequel
Même à la nuit noire
Ton dos endormait la forêt

(décembre 70)

 


MAISON, 1

A Christian Hubin

S'il venait enfin
l'homme gorgé de criques
poser entre tes bras
son sang tanné
et sa moisson de lunes

ton accueil soit genêts
lisières passerelles
jamais comme en ce lieu
terre sous séquestre
ni couche femelle

(août 72)

 


MAISON, 2

Qu'importe à l'exilé
que l'oasis ruisselle
qui paît l'ombre des pierres

Il vit d'autre pâture

de la source cachée
qui mène le désert
et fait courir les arbres

au large des forêts

 


MAISON, 3

Dans la maison carrée
le verbe meurt d'apoplexie
et l'univers est exilé

L'orage est une fin du monde
entre les plus fins doigts

L'enfant
seul peuplier
prête sa vois aux longs courriers

 


MAISON, 4

Comme une femme qui connaît
la valeur des cartes et la saison
d'abattre son jeu elle s'adosse
à l'hiver pour tendre ses filets

Qui ne l'a vue balancer
au travers des brumes son fanal fou
brouiller nos pistes de transhumanance
quand la neige est au rendez-vous
et nous attend pour renverser la nuit

(1972)

 


MAISON, 5

Baleine aux yeux de forteresse
Je te conduirai dans le soleil
dès l'aube

À midi forcée sur la terre ouverte
tu me supplieras de livrer ta chair
au peuple du verger

 


MAISON, 6

Altière capitaine
que la terre ferme exile
vaisseau figé sous la voile
du temps
que ne donnerais-tu
tout cet âge futur
pour marcher sur la mer

 


MAISON, 7

En quelque lieu n'importe
le cendrier plante la maison
Deux ou trois mots de passe
l'ocre fané d'un paysage mal cadré
et l'amour n'est plus
qu'une femme à demi perdue
dans la bouffée du rêve

 


MAISON, 8

Bibliothèque paravent miroir
tout ce que la maison touche
perd son sang de gazelle
et sa voix jeune fille

Quelques bris de soleil
permettent de durer
malgré le garrot d'ombre
et l'œil noir de l'horloge

 


MAISON, 9

Certains soirs de fête
la maison s'enivre
et tangue dans ses meubles
comme une demeurée

parce qu'un manège proche
fait hennir les vitres
et rire
le chat de porcelaine

(août 72)

 


MAISON, 10

à mes enfants

Elle fait le matamore
dans les prés dans les foires
Elle montre ses gros bras
Comment briser le vent
éteindre les collines
et chasser les forêts
mais quand la nuit s'abat
ses grands yeux de hibou
restent noirs et muets

 


MAISON, 11

Assez des liserons de pierre, des livres
de banquises, des rêves bien peignés

que les maisons s'en aillent elles aussi
sur les routes crier quincaillerie

Nous garderons les prés la lenteur
du soleil le sexe des halliers

nous ne dormirons plus que le ciel
sur le ventre et l'ogre des grands bois

mangera dans nos mains

PROLOGO

Cinque anni interramento cinque anni ghiaccio
cinque anni rimasi in quest'immobile vascello
che chiamiamo casa
cinque anni a sterrarne il grigio scafo
cinque anni ad interrarmi

Io non ero allora più che mano grave e nera
cavallo falcato
che non corre più se non con gli occhi
mano dalla presa rapida
e il cielo intero mi passava sotto il naso
mano dura da scaldare
e le stagioni una dopo l'altra
perdevano le loro teste cavaliere
rotolando nelle mie cantine
i loro ventilati vuoti

 


Tartaruga la colonna vertebrale piena
sul dorso la mia casa
io divengo talpa
con una montagna di terra da scavare
fui pesce
per finire in pace la settimana
l'oceano per casa

Un giorno che faceva notte
mi pescai per vedere

l'amo mi è rimasto conficcato nella gola

(29 agosto 78)

 


PORTA, 1

Spesso
nell'udire il lamento
maledici l'anima
del taglialegna che lo ha segato

quest'albero
contro il quale
perfino nella notte nera
la tua schiena addormentava la foresta

(dicembre 70)

 


CASA, 1

A Christian Hubin

Se venisse infine
l'uomo pieno di ferite
a deporti tra le braccia
il suo sangue conciato
e la sua messe di lune

la tua accoglienza sia ginestre
confini passerelle
mai come in questo luogo
terra sotto sequestro
non letto di donna

(agosto 72)

 


CASA, 2

Che importa all'esiliato
che scintilli l'oasi
e bruchi l'ombra delle pietre

Lui vive d'altro nutrimento

della sorgente nascosta
che conduce il deserto
e fa correre gli alberi

al largo delle foreste

 


CASA, 3

Nella casa quadrata
il verbo muore d'apoplessia
e l'universo è esiliato

Il temporale è una fine del mondo
tra le più sottili delle dita

Il bambino
unico pioppo
presta la sua voce ai corrieri di lunga percorrenza

 


CASA, 4

Come una donna che conosce
il valore delle carte e la stagione
per abbattere il suo gioco lei si addossa
all'inverno per tendere i suoi fili

Chi non l'ha vista bilanciare
al traverso delle brume il suo fanale folle
confondere le nostre piste di transumananza
quando la neve è all'appuntamento
e attende noi per rovesciare la notte

(1972)

 


CASA, 5

Balena dagli occhi di fortezza
ti condurrò nel sole
fin dall'alba

A mezzogiorno costretta sulla terra aperta
mi supplicherai di consegnare la tua carne
al popolo del frutteto

 


CASA, 6

Altera capitana
che la terraferma esilia
vascello immobile sotto la vela
del tempo
che non donerai
tutta quest'età futura
per camminare sul mare

 


CASA, 7

In un qualche luogo non importa
il ceneraio pianta la casa
due o tre parole di passaggio
l'ocra sbiadita di un paesaggio inquadrato male
e l'amore non è più
che una donna per metà perduta
nella ventata del sogno

 


CASA, 8

Biblioteca paravento specchio
tutto quello che la casa tocca
perde il suo sangue di gazzella
e la sua voce ragazzina

Alcune violazioni del sole
consentono di durare
a dispetto del randello d'ombra
e dell'occhio nero d'orologio

 


CASA, 9

Certe sere di festa
la casa s'inebria
e traballa nei suoi mobili
come un'imbecille

perché un maneggio nelle vicinanze
fa nitrire i vetri
e ridere
il gatto di porcellana

(agosto 72)

 


CASA, 10

ai miei figli

Lei fa la fanfarona
nei prati nelle fiere
mostra le sue robuste braccia
come spezzare il vento
spegnere le colline
e cacciare le foreste
ma quando la notte si abbatte
i suoi occhi grandi di gufo
restano neri e muti

 


CASA, 11

Basta con convolvoli di pietra, libri
banchise, sogni pettinati bene

che le case se ne vadano anche loro
a gridar sciocchezze per le strade

Noi preserveremo i prati la lentezza
del sole il sesso della macchia

non dormiremo più che con il cielo
sul ventre e l'orco dei grandi boschi

mangerà dalle nostre mani

MAISON, 12

Elle se relève mal du défi au soleil. Aveugle elle prend sa canne chaque matin
   et s'en va seule bâiller au seuil car le silence des murs à l'intérieur tisse la corde
   d'un pendu qu'on ne voit pas mais qui l'étrangle à petit feu

CASA, 12

Lei si risolleva male dalla sfida al sole. Cieca prende la sua canna ogni mattina
   e se ne va da sola a sbadigliare al suolo perché il silenzio dei muri all'interno tesse la corda
   d'un impiccato che la strangola non visto a fuoco lento

PORTE, 2

Ni revenant ni légende

seul un oiseau nocturne
encagé pour la nuit

et qui se venge à coups de bec
sur ma pâtée de silence

 


EXIL, 1

Des caravanes passent
très haut sur les verges
oiseaux nuages pépites

c'est l'heure où le ciel écrit
sur la dernière pomme
le défi que je lance
aux murs de l'horizon

 


VOYAGE, 1

À seule fin d'élire
une maison métèque
pour mes oiseaux de nuit
je poursuis le voyage
entre la corde et l'échafaud
Mes peurs sont à mes pieds
car je suis nu
dans un siècle sans murs
J'ai dans la bouche
une odeur de roussi
qui fait peur aux familles

 


TOLSTOÏ

J'entraînerai l'hiver
dans la tanière du loup
pour déchiffrer
l'alphabet de cristal
vivre est un verbe de feu

J'appellerai le silence
grève large patrie
le voyage du froid
que les maisons nous volent

Qui me retrouvera
   -   neige nul écho
aura les yeux brûlés
un grand peuple d'oiseaux
investira son corps
le chemin s'étendra
jusqu'au bout de son ombre

 


EXIL, 2

Pour André Schmitz

La neige écoupe l'amer
silence des jours assis
boute le feu aux chemins
qui me traversent

mais je suis mort de ne risquer
que le voyage du regard
et l'hiver me traîne en exil
dans ma propre maison

PORTA, 2

Né revenant, né leggenda

solo un uccello notturno
messo in gabbia per la notte

e che si vendica a colpi di becco
sul mio pastone di silenzio

 


ESILIO, 1

Caravane passano
ben al di sopra delle sbarre
uccelli nuvole pepite

E' l'ora in cui il cielo scrive
sull'ultima mela
la sfida che io lancio
alle mura dell'orizzonte

 


VIAGGIO, 1

Al solo fine d'eleggere
una casa meteca
per i miei uccelli notturni
io proseguo il viaggio
tra la corda e il patibolo
sono ai miei piedi le paure
perché sono nudo
in un secolo senza muri
ho nella bocca
un odore di bruciato
che spaventa le famiglie

 


TOLSTOÏ

Trascinerò l'inverno
nella tana del lupo
per decifrare
l'alfabeto di cristallo
in cui vivere è un verbo di fuoco

chiamerò il silenzio
pesante larga patria
il viaggio del freddo
che le case ci rubano

chi mi ritroverà
   -   neve nessun eco
avrà gli occhi bruciati
un grande popolo d'uccelli
vestirà il suo corpo
il cammino si estenderà
fino alla fine della sua ombra

 


ESILIO, 2

Per André Schmitz

La neve spazza via l'amaro
silenzio dei giorni seduti
ad attizzare il fuoco nei camini
che mi attraversano

ma sono morto per il non rischiare
che il viaggio dello sguardo
e l'inverno mi trascina in esilio
nella mia stessa casa


(Traduzione di Chiara De Luca)



Guy Goffette GUY GOFFETTE

Guy Goffette è nato il 28 aprile 1947 a Jamoigne, Lorena belga, in una famiglia di operai. Ha studiato alla scuola normale libera di Arlon, dove è stato allievo di Vital Lahaye, poeta e spirito libero che lo ha profondamente influenzato. Nel 1970, ad Harnoncourt, nella punta meridionale del Belgio, ha iniziato una carriera di insegnante durata 28 anni. Nel 1971 ha pubblicato le sue prime poesie, raccolte sotto il titolo Quotidien Rouge. Nel 1980, in collaborazione con altri poeti, ha fondato la rivista letteraria "Triangle", di cui è stato per sette anni il principale artefice. Nel 1983 ha creato le edizioni de L'Apprentypographe. Nel 1988 gli sono stati assegnati il "Premio della Communauté Française" e il "Premio Mallarmé" per la raccolta poetica Éloge pour une cuisine de province. Nel maggio 2001 gli è stato assegnato il Grand Prix de la poésie della Académie Française per l'insieme delle sue opere. Tra i libri di poesia: Éloge pour une cuisine de province (Gallimard, 1991), La vie promise (Gallimard, 2000), Un Manteau de fortune (Gallimard, 2001), Solo D'ombres, precédé de Nomadie, (Gallimard, 2003). La vita promessa è stata pubblicata in Italia da Gedit nella traduzione di Chiara De Luca (2004). In prosa: Elle, par bonheur et toujours nue (Gallimard, 1998), Mariana, Portugaise (Le Temps qu'il fait, 1991), L'agencement du monde ou le voyage rêvé du marquis de Sy (Bibliothèque municipale de Charleville-Mézières, 1996). Tra i numerosi saggi: Achille Chavée (Ed. Tribune poétique, 1972), Mémorial de la tendresse (N.R.F., n° 467, 1991), D'exil comme en un long dimanche, Max Elskam, essai (La Renaissance du Livre, 2002), Auden ou l'oeil de la baleine, essai, (Gallimard, 2005). Attualmente, Goffette vive a Parigi, dove dirige la collana Enfance en poésie presso Gallimard.

 

chiadeluca@hotmail.com