FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 1
gennaio/marzo 2006

Il filo spinato della memoria

BREVE ANTOLOGIA POETICA DI CARLOS NEJAR

a cura di Vera Lúcia de Oliveira


Ritratto di Carlos Nejar, di Ibere Camargo
Carlos Nejar, di Ibere Camargo

ESTÃO ENFERRUJADOS

Estão enferrujados
o ferro e a solidão,
o jugo com sua casa,
o medo e a noite vasta,
porém o sonho não.

Estão enferrujadas
a morte e a sua aljava,
a faca sob a toca,
porém, o braço não:
quando se ergue, corta.

Da O Campeador e o vento (1966).

*****

O QUE É DO HOMEM

O que é do homem
ninguém lhe tira.

O rosto gume
dentro do gesto.
Ninguém lhe tira.

O gesto exato
dentro da morte.
Ninguém lhe tira.

A morte sempre
na noite funda
e o viço aceso
de sua luta.

Da O Campeador e o vento (1966).

*****

POEMA DA DEVASTAÇÃO

Há uma devastação
nas coisas e nos seres,
como se algum vulcão
abrisse as sobrancelhas
e ali, sobre esse chão,
pousassem as inteiras
angústias, solidões,
passados desesperos
e toda a condição
de homem sem soleira,
ventura tão curta,
punição extrema.

Há uma devastação
nas águas e nos seres;
os peixes, com seus viços
resolvem-se no umbigo
deste vulcão de escamas.

Há uma devastação
nas plantas e nos seres;
o homem recurvado
com a pálpebra nos joelhos.
As lavas soprarão
enquanto nós vivermos.

Da Canga (Jesualdo Monte) (1971).

*****

PRÓLOGO

Nossos dramas quotidianos
não contam
na milícia dos dias.

Iguais às nuvens,
as noites vêm e vão
num redondel ou tubo.
E os reveses são núcleo.
Qualquer gota
nos filtra.
O extravio
é nossa identidade.
Nosso número.

Tudo sucede
a tudo
e nós, humanos,
não nos sucedemos.
Nos sucedem.
E o sangue
é a cal
do sangue,
sua província.

Só vinga
o que adubamos
com folhas de abandono.

Tábuas de rebelião.
Tábuas de dor,
nós somos.
Tábuas, tábuas
do universo inviável.

Tudo sucede
a tudo.
Sem vestígio.

Insubmissos,
nosso amor remonta
aos astros.
E é o desequilíbrio.

Da Somos poucos (1976).

*****

CLARIDADE

O barulho de existir:
um cão
dentro de mim.

Atravesso
como a um pátio
o barulho de existir.

Da Árvore do mundo (1977).

*****

SABEDORIA

Nossa sabedoria é a dos rios.
Não temos outra.
Persistir. Ir com os rios,
onda a onda.

Os peixes cruzarão nossos rostos vazios.
Intactos passaremos sob a correnteza
feita por nós e o nosso desespero.
Passaremos límpidos.

E nos moveremos,
rio dentro do rio,
corpo dentro do corpo,
como antigos veleiros.

Da Árvore do mundo (1977).

*****

RITUAL

(A Fabrício)

Sabias que as minhas roupas
conservavam a epiderme
de meu sonho
e estavam ali,
não viajavam comigo,
estavam ali,
guardiãs da primavera
na gaveta
de um retorno pródigo
ao pai inconsolável.
Sabias, filho,
e conversavas longamente
com as roupas,
conversavas entardeceres muitos
com minha longa ausência.

Havia rumor nelas:
peixes num aquário
de flanela e linho.
Um subterrâneo ritmo
as removia.
O mundo vegetal e animal
eram rabiscos
no embaralhar
ocioso das sombras.
O que procuravas
entre as roupas:
algum amor banido,
a lágrima, o instinto
de me sobreviver?

Da Os Viventes (1979).

*****

A NUVEM DAS SEMENTES

Os meus poemas, sei, serão errantes,
como fui, quando vivo
e terão rosto, a matrícula
de nascimento, a lisa,
aventurosa juventude
dos meus dias felizes.
E seguirão no pó, ou entre
os cereais, que meu povo cultiva,
no cesto de avelas, ou com o pão
ardente e fresco. Acompanharão
os solitários na sacola
de auroras, irão com os
que se amam. Porejantes
no trabalho, com o ferreiro,
no descanso da fábrica,
ou com a moça espojada
sobre a grama, por entre
os cinamomos. Quero
os meus poemas, junto
aos que sofrem ou tentam
respirar a nova vida
do homem. E sejam sal
e não serão pisados.
Salvo se em parreiras forem,
uvas no lagar dos países.
Mas não quero divisas ou pedágios,
para a sua entrada, entre
os que vivem. E levados
pelo espírito, libertos
sejam na palavra.
E até de mim, que os trouxe
para a escrita. Pois foram
se escrevendo com esta tinta
das coisas infinitas.
E não cabem nas tíbias
bibliotecas, se não forem
trilhados com ardor
de quem os leia na vereda
secreta da centelha,
ou do peixe na água.
E falem da minha intimidade
com a nuvem das sementes.
E que me sobrevivam.

Da Os Viventes (1979).

*****

MINHA VOZ SE CHAMAVA CARLOS

Minha voz se chamava Carlos
mas não tinha serventia alguma.
Era Carlos de vez em quando.

E um Luiz obscuro adormecia
na poltrona de tevê,
enquanto minha voz
andava de calça listrada
e se comportava na sala
com suntuosa altivez.

Minha voz se chamava Carlos
no café
mas quando súbito
ia pela escada,
surpreendia-se
não era mais Carlos
- eram seus comparsas
e eles ficavam eternos
de repente,
com a equivalência ao sonho
na sua maior altura.

Depois Carlos se hospedava
em Carlos e o caos se agitava intruso
na criação.

Da Os Viventes (1979).

*****

DE LONGO CURSO

Para Elza

Minha alma descansa
na tua alma,
onde a luz jamais
desativada:
é um navio de longo
curso pela água.

Redonda a luz e nós
atracamos na foz
com o fundo calmo.
Em mim te almas
E te amando, eu almo.

Da A espuma do fogo (2002).

SONO ARRUGGINITI

Sono arrugginiti
il ferro e la solitudine,
il giogo e la sua casa,
la paura e la notte ampia,
però il sogno no.

Sono arrugginiti
la morte e la sua faretra,
il coltello sotto la tana,
però, il braccio no:
quando si erge, taglia.

 

*****

QUEL CHE È DELL'UOMO

Quel che è dell'uomo
nessuno lo sottrae.

Il volto acuminato
dentro il gesto.
Nessuno lo sottrae.

Il gesto esatto
dentro la morte.
Nessuno lo sottrae.

La morte sempre
nella notte fonda
e la forza accesa
della sua lotta.

 

*****

POESIA DELLA DEVASTAZIONE

C'è una devastazione
nelle cose e negli esseri,
come se un vulcano
sollevasse le sopracciglia
e lì, su quella terra,
si posassero intere le
angosce, solitudini,
passate disperazioni
e tutta la condizione
di uomo senza soglia,
ventura così corta,
punizione estrema.

C'è una devastazione
nelle acque e negli esseri;
i pesci, con il loro vigore,
si sciolgono nell'ombelico
di questo vulcano di squame.

C'è una devastazione
nelle piante e negli esseri;
l'uomo ricurvo
con la palpebra sulle ginocchia.
La lava soffierà
mentre noi vivremo.

 

*****

PROLOGO

I nostri drammi quotidiani
non contano
nella milizia del giorni.

Uguali alle nubi,
le notti vanno e vengono
in un'arena o tubo.
E le contrarietà sono il nucleo.
Qualunque goccia
ci filtra.
Lo smarrimento
é la nostra identità.
La nostra cifra.

Tutto succede
a tutto
e noi, umani,
non ci succediamo.
Ci succedono.
E il sangue
è la calce
del sangue,
la sua provincia.

Attecchisce solo
ciò che concimiamo
con foglie d'abbandono.

Tavole di ribellione.
Tavole di dolore,
noi siamo.
Tavole, tavole
nell'universo impossibile.

Tutto succede
a tutto.
Senza vestigia.

Indocili,
il nostro amore riaffiora
fino agli astri.
Ed è squilibrio.

 

*****

CHIARORE

Il rumore di esistere:
un cane
dentro di me.

Attraverso
come ad un cortile
il rumore di esistere.

 

*****

SAGGEZZA

La nostra saggezza è quella dei fiumi.
Non ne abbiamo un'altra.
Persistere. Andare con i fiumi,
onda su onda.

I pesci incroceranno i nostri visi vuoti.
Intatti passeremo sotto la corrente
creata da noi e la nostra disperazione.
Passeremo limpidi.

E ci muoveremo
fiume dentro fiume,
corpo dentro corpo
come antichi velieri.

 

*****

RITUALE

(A Fabrício)

Sapevi che i miei vestiti
conservavano l'epidermide
del mio sogno
ed erano lì,
non viaggiavano con me,
erano lì,
custodi della primavera
nel cassetto
di un ritorno prodigo
al padre inconsolabile.
Sapevi, figliolo,
e conversavi a lungo
con i vestiti,
conversavi tanti imbrunire
con la mia lunga assenza.

C'era rumore in essi:
pesci in un acquario
di flanella e lino.
Un sotterraneo ritmo
li agitava.
Il mondo vegetale e animale
erano scarabocchi
nel mescolarsi
ozioso delle ombre.
Che cosa cercavi
fra i vestiti:
un amore espulso,
la lacrima, l'istinto
di sopravvivermi?

 

*****

LA NUBE DEI SEMI

Le mie poesie, lo so, saranno erranti,
come me, da vivo
e avranno volto, il certificato
di nascita, la levigata,
avventurosa gioventù
dei miei giorni felici.
E vivranno nella polvere, o fra
i cereali, che la mia gente coltiva,
nel cesto di nocciole, o con il pane
ardente e fresco. Accompagneranno
i solitari nella bisaccia
delle aurore, andranno con quelli
che si amano. Sudate
al lavoro, con il fabbro,
nel riposo della fabbrica,
o con la ragazza stesa
sull'erba, in mezzo
ai cinnamomi. Voglio
le mie poesie, insieme
a coloro che soffrono o tentano
di respirare la nuova vita
dell'uomo. Che siano sale
e non saranno calpestate.
Salvo se vitigni fossero,
uva nel torchio dei paesi.
Ma non voglio frontiere o pedaggi,
per il loro ingresso, fra
coloro che vivono. E portate
dallo spirito, liberate
siano nella parola.
E persino di me, che le ho rese
in scrittura. Poiché si sono
scritte con questo inchiostro
delle cose infinite.
E non entreranno nelle tiepide
biblioteche, se non saranno
vagliate con l'ardore
di chi le legga nel sentiero
segreto della scintilla,
o del pesce nell'acqua.
E parlino della mia intimità
con la nuvola dei semi.
E che mi sopravvivano.

 

*****

LA MIA VOCE SI CHIAMAVA CARLOS

La mia voce si chiamava Carlos
ma non aveva alcuna utilità.
Era Carlos di tanto in tanto.

E un Luiz oscuro si addormentava
nella poltrona alla tivù,
mentre la mia voce
stava in pantaloni gessati
e si comportava in sala
con sontuosa superbia.

La mia voce si chiamava Carlos
al bar
ma quando all'improvviso
si avviava per le scale
si sorprendeva
non era più Carlos
- erano le sue comparse
e loro restavano eterne
ad un tratto,
con l'equivalenza al sogno
nella sua massima altura

Poi Carlos si raccoglieva
in Carlos e il caos si agitava intruso
nella creazione.

 

*****

DI LUNGO CORSO

Per Elza

La mia anima riposa
nella tua anima,
dove la luce mai è
disattivata:
nave di lungo
corso nelle acque.

Rotonda la luce e noi
ormeggiamo alla foce
con il fondo calmo.
In me ti animi
e amandoti, io animo.


Foto di Carlos Nejar CARLOS NEJAR

Carlos Nejar è figura emblematica e universale, con abbondante produzione lirica e, più recentemente, con altrettanto originale opera in prosa che desta l'attenzione dei più importanti critici brasiliani. Nato nel 1939 a Porto Alegre, nel sud del Brasile, dove ha vissuto buona parte della sua vita, ha affiancato all'attività di scrittore quella di Pubblico Ministero nelle città della regione. È stato definito dal alcuni critici "poeta della pampa brasiliana", sebbene egli non si riconosca in questa classificazione e da diversi anni viva a Guarapari, nello stato di Espírito Santo, in una casa sul mare da lui chiamata Paiol da Aurora (Capanna dell'Aurora).
Membro dell'Accademia Brasiliana di Lettere, è stato indicato al Nobel per la Letteratura. Le sue opere sono state tradotte in varie lingue e sono tema di studio e di tesi in università brasiliane ed estere. Ha al suo attivo numerosi e importanti premi e partecipa a recital e convegni in tutto il mondo. È autore anche di libri per l'infanzia e per il teatro, oltre ad essere un critico fine e intuitivo.
In Italia è uscita la raccolta Miei cari vivi (2004, Multimedia Edizioni)

 

velucia@tin.it