FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 65
novembre 2023

Autunno

 

AUTUNNO INOLTRATO

silloge e disegni di Viviane Ciampi




Ottobre. Percepiti: 32 giorni.


Niente di nuovo,

ho consegnato le parole torride zelanti

senza ritmo né sintassi

al grande sole a strisce sulle pagode,

mettiamo un battito,

il tempo di una ragnatela

primizia di frescura

fra due sieste.


Sbiadire ‒ questo ed altro ‒ tra

le zampe dei gatti color miele

tra i grandi pioppi tremuli e così via

tra i moduli da riempire

tra le file d’attesa in città.


E così.

Fracasso e polvere

luci confuse dai riflessi arancione.


E così ‒ dicevo ‒ non prendo mai il bus per via del mal di schiena,

mi metto in fila alla fermata per ascoltare la gente

e prendo nota sull’agenda dell’anno precedente

‒ quella incinta di un embrione di matita ‒ che era comoda

per chi dimentica un sogno,

una festa, una ricetta

un qualche appuntamento

foss’anche di poca importanza.


Ascolto una frase poi dieci

di quelli in coda

con l’autunno in bocca

sotto raggi malati,

sotto fiele epocale.


A fare opera di montaggio

ci sarebbe da divertirsi.

Sto in coda alla banca

sto in coda al mercato

‒ vertice di parole elastiche

che dondolano dai rami e non cadono ‒.

La mandria ne sa più dei poeti.



Pourquoi n’écris-tu pas un roman

diceva mia madre,

magari nei giorni di pioggia

una pagina al giorno

almeno guadagni qualcosa!

Mi suggeriva persino titoli e storie

come un’evidenza impressa

tra pollo e dessert!


 

Novembre. Percepiti: 34 giorni.


Sarà banale dire che è caduta una foglia

sarebbe normale comporle un inno

ma è caduta una foglia

come cadono i pantaloni.

Valeva la pena annotarlo?


 

Da piccola piangevo

se muoveva una piuma sul prato.

La piuma, diretta verso di me

come mano di stregone.

La piuma dal cuscino

saltava poi sul seno

e sul seno, dita forestiere

che rotolavano in discesa

fino

all’equatore

di me stessa.

E io sorda e io immobile

fissata dall’occhio del granchio azzurro

starnutivo più forte del previsto

sollevando la polvere dei segreti.


 

L’autunno è la stagione

che ci fa dimenticare streghe e zanzare.

Le streghe: fuoco ai boschi

per tutta un’estate.

Alle zanzare avevamo promesso creme repellenti

piastrine dissuadenti

fornelletti crepitanti

vortici di zampironi fumanti

e alla fine ‒ pur se vinsero loro ‒

mostrammo i denti.



Novembre. Percepiti: 35 giorni.


E i vecchi film:

dimenticati.

E gli attacchi di tosse:

soffocati.

I contenitori delle medicine in aumento.

Addio Venezia, Tiziano, Giorgione,

siamo a foschie sognanti, ai decotti di cianuro.

Sulle grondaie del linguaggio, i coltelli

e le sillabe annegate della cedevolezza.


Novembre. Percepiti: 38 giorni.


Era autunno di sogni agitati

e noi invece calmi

all’ombra dell’estate

e noi invece allegri

‒ giorni non di sopracciglia alzate ‒

immersi nel temporale

gocce latenti

denti di lattanti

che rodevano gli stinchi.


 

Era autunno di sonni induriti e noi

‒ lo so che spesso dico noi pensando solo io, scusate è un vezzo ‒

noi, dunque, che nulla rendeva solenni

‒ nel mezzo della storia ‒

aspettando i radiatori

appesi all’albero dell’impotenza

a masticarla, l’impotenza


spine di castagne

agli angoli degli occhi

sulle mani

sulle palpebre.


 

C’erano ancora stagioni

depositate sul fondo di noi

con quel silenzio nobile

che ci alleggeriva.

Chiedevamo al nostro cervello

di saper apprezzare i giorni fulvi,

con quel turbinare sotto le gonne

impigliate nella musica di esistere

mia sorella chiusa a chiave in bagno a mordere l’adolescenza

‒ almeno così credevo ‒

in realtà, da attrice perfetta, preparava con perfetta maschera

la sua perfetta morte.

Mia sorella ribelle e perfetta, nessun rimprovero!


Stavo sperimentando

giochi di prestigio

per entrare nella nuova era.

Ma l’orizzonte limpido

non significava assenza di tempeste.



Non sopportavo l’idea di una stagione

di radiatori bassi,

il pensiero di una guerra

il lenzuolo usato dell’epidemia

al suo ritorno in scena

l’obbligo del sesso per carenza d’immaginario.


Volevo solo darti la mano

respirarti fuor d’acqua

per farti nevicare.

Avrei creato un’opera rock

riempito un taccuino di liste illeggibili

creato un mantello di foglie e di doglie,

riempito lo zerbino di cose ordinarie.


Nubifragio.


Ed io volevo dirti.

Che cosa volevo dirti?

Una

pioggia

di

nodi

schiaccia

il

fogliame.


 

Piove sulla pelle delle cose insistenti

mentre qualcuno inghiotte il mare.

L’acqua scivola tra le parentesi,

sul tuo corpo, nella vasca,

muta in latte nero.

Crescono a grappoli

gli umani fragili

le gambe agili

i tatuaggi.


 

Smottamenti.


Se son foglie non seccheranno.

Eccomi nel rosso-giallo

cascate di legname

ma chi voleva sparlare dei colori?

Lubrificata da carezze ipocrite,

Non so dove andare. Come sempre.

Mi dicono che chi

non sa dove andare

di sicuro sa dove andare.

I doganieri dell’autunno

lasciano passare la roulette dei piovaschi

la roulotte dei cani assetati.


Giornata perfetta per grattarti la schiena

con lenta innocenza.

Fai finta ch’io non esista.

La poesia ti danza a fianco

muove le lenzuola.

Con ciò che sveli faccio i conti.


Ed ora corro alla sagra delle castagne

a trovare la parola dissetante,

un ombrello capiente,

un amante fedele.




vivianeciampi.poetry@gmail.com