FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 64
luglio 2023

Estate

 

ELETTRA

di Adalber Salas Hernández



*

Ya nadie viene a nuestra casa.
Cuando pasan frente a ella, los vecinos
desvían los ojos. Mira
las grietas en las paredes, mira
la pintura que se desconcha, la cal
sucia y cansada. Una casa vacía
no es una casa: es un cráneo.
Las cuencas de sus ventanas
se ahondan como si a través de ellas
pudieras atisbar otro mundo,
el envés de la vida. Pero no hay nada.
Quien haya visto un rostro muerto
lo sabe: la oscuridad de las cuencas
vacías no significa. No hay
ningún secreto en ellas, no devela
ningún enigma. El más allá es nuestra
invención más banal. Paso los días
pensándolo, aquí encerrada, sin
salir. Hace mucho calor
y hace semanas que no llueve.
Pienso: no es cierto lo que dicen:
no fue mi hermano
quien mató a mi madre. Fui yo. Fui
yo, con estas mismas manos, bajo
este mismo techo. Yo. Mi hermano
nunca quiso cobrar venganza;
siempre había sido un cobarde.
Nadie cree que haya podido ser
la pobre Electra, con sus gestos
tan nerviosos, siempre tan asustada,
como una liebre desteñida.
Electra, con esa luz estriada en los ojos.
Fui yo quien. Yo la maté. Pero
no por venganza, no porque hubiera
matado a mi padre, no. Era un miserable
y se lo merecía. Lo hice porque
en esta familia, lo único que sabemos
hacer bien es matarnos. Todo lo demás
sobra. Entré a su cuarto y me acosté
junto a ella, abrazándola fuerte,
en esa misma cama raquítica.
Y así, tan cerca que
podía oler el bosque agudo de su cabello,
así la apuñalé. No me miró sorprendida, no
intentó apartarme. Así. Era lo normal, lo que
se esperaba de mí. Luego, arrojé el cadáver
a la calle; todos asumieron que había sido
Orestes. Lavé las sábanas, lavé el suelo,
lavé la sangre de mis manos. El único
más allá que conozco está al otro lado
del desagüe. Lo que no puedo borrar,
por mucho que lo intente, es el sudor.
El sudor de mis palmas, que hace
que todo se me resbale. El sudor de
la frente, que me nubla los párpados.
El sudor es otra sangre, transparente
y tiesa, que me brota de la piel.
Creí que vendría por mí la policía,
los vecinos, una turba buscando
lincharme. Que tumbarían la puerta
y me arrastrarían a la acera, que me
escupirían, me bañarían con la saliva agria
que les duerme la boca y
me golpearían como se bate al perro
rabioso, a pedradas y palos. Que me colgarían
de una rama con mis propios cabellos.
Mi casa quedaría desdentada, hueca.
Pero no vino nadie. Ni siquiera se acercaron
las erinias, como esos pájaros que temen la sal.
El futuro miente. El futuro siempre miente.
Es un animal de presa
que intenta devorarnos. Es lo único
que he llegado a entender aquí encerrada.
Lo único mientras me cocino lentamente
aquí adentro. Hace mucho calor. La claridad
es insoportable. No sé qué hacer
con los ojos. Si los abro, la nitidez
de los objetos duele, cada borde
un filo. Árboles, muros, techos,
puertas: todo brilla en hoja
de cuchillo. Pero si los cierro,
me abraza una neblina amarga,
roja. Tengo que irme. Tengo que salir
de aquí, de esta ciudad, de esta herencia
de bilis y baba negra que me dejaron.
Cuando me haya ido, volverán las lluvias.


*

Nessuno mette più piede a casa nostra.
Quando i vicini ci passano davanti
distolgono lo sguardo. Guarda
le crepe sui muri, guarda
la vernice che si scrosta, la calce
sporca e spossata. Una casa vuota
non è una casa: è un cranio.
Le orbite delle sue finestre
affondano come se attraverso di esse
potessi intravedere un altro mondo,
il rovescio della vita. Ma non c’è nulla.
Chi ha visto un volto morto
lo sa: l’oscurità delle orbite
vuote non significa niente. Non c’è
nessun segreto in loro, non svela
alcun enigma. L’aldilà è la nostra
invenzione più banale. Trascorro i giorni
pensandoci, qui rinchiusa, senza
mai uscire. Fa molto caldo
e sono settimane che non piove.
Penso: è falso ciò che dicono:
non è stato mio fratello
a uccidere mia madre. Ma io. Sono
stata io, con queste stesse mani, sotto
questo stesso tetto. Io. Mio fratello
non ha mai voluto vendicarsi;
era sempre stato un codardo.
Nessuno crede che l’abbia potuto fare
la povera Elettra, con i suoi gesti
così nervosi, sempre così spaventata,
come una lepre scolorita.
Elettra, con quella luce striata negli occhi.
Sono stata io. L’ho uccisa io. Ma
non per vendetta, non perché avesse
ucciso mio padre, no. Era un miserabile
e se lo meritava. L’ho fatto perché
in questa famiglia, l’unica cosa che sappiamo
far bene è ucciderci. Tutto il resto
è in più. Entrai nella sua stanza e mi sdraiai
accanto a lei, abbracciandola forte,
nello stesso letto rachitico.
E così, tanto vicine
da sentire l’odore acuto di bosco della sua chioma,
così la pugnalai. Non mi guardò stupita, non
cercò di allontanarmi. Così. Era normale, quello che
si aspettava da me. Poi gettai il cadavere
per strada, tutti pensarono che fosse stato
Oreste. Ho lavato le lenzuola e il pavimento,
ho rimosso il sangue dalle mie mani. Il solo
aldilà che conosco sta dall’altra parte
dallo scarico. Ciò che non posso cancellare,
per quanto ci provi, è il sudore.
Il sudore dei miei palmi che mi fa
scivolare ogni cosa dalle mani. Il sudore
della fronte, che mi annebbia le palpebre.
Il sudore è un altro sangue, trasparente
e rigido, che mi sgorga dalla pelle.
Credevo che la polizia sarebbe venuta a prendermi,
anche i vicini, una folla che avrebbe provato
a linciami. Che avrebbero sfondato la porta
per poi trascinarmi sul marciapiede, che mi
avrebbero presa a sputi, annaffiata con l’acida saliva
che dorme nelle loro bocche e
picchiata come si batte un cane
rabbioso, con pietre e bastoni. Che mi avrebbero impiccata
a un ramo con i miei stessi capelli.
La mia casa sarebbe rimasta sdentata, vuota.
Ma non venne nessuno. Neppure si avvicinarono
le Erinni, come quegli uccelli che temono il sale.
Il futuro mente. Il futuro mente sempre.
È un animale da preda
che cerca di divorarci. È l’unica cosa
che ho capito stando qui rinchiusa.
L’unica cosa mentre cucino adagio
qui dentro. Fa molto caldo. Il chiarore
è insopportabile. Non so cosa fare
con gli occhi. Se li apro mi fa male
la nitidezza degli oggetti, ogni bordo
un taglio. Alberi, muri, tetti,
porte: tutto brilla sulla lama
del coltello. Ma se li chiudo,
mi abbraccia una foschia amara,
rossa. Devo andarmene. Devo uscire
da qui, da questa città, da questa eredità
di bile e bava nera che mi hanno lasciato.
Solo quando me ne andrò tornerà la pioggia.


Elettra [Electra in spagnolo] è tratto dalla raccolta poetica inedita El libro de las tranformaciones, scritto a quattro mani con l’autrice messicana Elisa Díaz Castelo e che uscirà in Spagna con Pre-Textos. Il testo proposto è quello che chiude il libro ed è stato scritto da Adalber Salas Hernández.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


as7585@nyu.edu