"Mi prendo un giorno di oasi" si disse. Le era già successo. Una sensazione di vaghezza, come una foschia del mattino che non sai mai se preluda al sereno o al grigio plumbeo. Una sorta di letargia, di risparmio energetico prima della maratona, o meglio, del decathlon: biglietti aerei, pernottamenti, rimborsi per i viaggi annullati l’anno prima, seminari culturali da scegliere, assicurazioni, e tutta una lunga serie di collaterali.
I pensionati in viaggio erano gentili, per non dire adorabili, ma complessi, almeno quelli che aderivano al suo pacchetto Indaco. Avevano un senso di irrinunciabilità alle cose e la loro pazienza camuffava l’ostinazione. Dicevano sì a tutto per poi avanzare richieste di variazione sul programma in un gioco continuo di scatole cinesi.
I giorni di oasi divennero due, poi tre, infine una settimana. I prezzi dei viaggi lievitarono e altri aumenti furono inesorabili. Eppure, resisteva. Era fine febbraio e non aveva ancora disfatto l’albero di Natale.
"Io mollo" disse a Viola.
"Emy! Non è che sei proprio di primo pelo, un’altra agenzia mica la trovi così!"
"Bell’amica."
"Vuoi che ti do una mano in ’sto casino?"
Si diede un’ulteriore scadenza di due settimane, si mise in malattia e fece una cosa che non faceva da troppo tempo. Si chiuse in casa a guardare film. Senza seguire un filone, un genere, un’annata. Da Woody Allen alla Marvel, da Bollywood ai film dei festival. Completamente immersa nel cinema smise di rispondere alle mail, di lavarsi i capelli, fare lavatrici, buttare la spazzatura. "Saranno le mie due settimane di gloria" disse tra sé e sé. "Poi riprendo, riparto." Pensava di aver trovato il modo di stoppare l’ansia.
In questa ricerca di immobilità, qualcosa continuava a crescere con un movimento lento e tenace: il caos del vicino. Era un bidello in pensione che non buttava via nulla, non aggiustava nulla e che si ostinava a vendere libri usati rimediati un po’ ovunque. Gli piaceva la dimensione dei mercatini, del via vai di gente, delle chiacchiere a perdere. Le grandi querce della sua proprietà avevano rami secchi, pesanti e mai potati, dentro e fuori casa era un proliferare di cassette vuote, libri spaginati e rovinati, sedie da giardino vecchie di trent’anni, vasi rotti. Emy ogni volta che guardava oltre il giardino avvertiva un’aria densa, un’ombra scura come quella di certi cartoon che si espande a macchia d’olio sul paesaggio. "Avere un bell’ambiente intorno, aiuterebbe" cominciò a pensare. Si convinse che la causa del suo blocco, dei suoi blocchi, fossero dovuti a quell’uomo. Si era trasferito lì da quattro anni, proprio quando erano cominciati i suoi "rallenti", i suoi dubbi su un lavoro che non la rappresentava più.
Scadute le due settimane, era ancora nel suo fermo immagine.
Viola le girò un video dove una mental coach aiutava a uscire da situazioni di ristagno associando movimenti e pensieri sbloccanti. Una specie di ginnastica mattutina per il ricondizionamento del cervello.
"Forse è più semplice di quello che credi…" disse l’amica.
"Che idea del cavolo," pensò Emy il mattino dopo ripetendo "tutto è semplice e gestibile, sono al meglio di me" alzando le braccia in alto e facendo un salto.
Le venne l’orticaria, che sfociò in un fuoco di Sant’Antonio. Poi la diarrea. Infine l’ansia declinò nell’insonnia.
In segreteria aveva ventisei messaggi di persone che chiedevano del viaggio a cui non aveva risposto. Sul pavimento tra piatti sporchi, fogli, vestiti, scatole, non c’erano più piastrelle libere per appoggiare un piede. E tutto stava succedendo come se non stesse capitando a lei, si sentiva la spettatrice imparziale dell’ennesimo film.
Una notte, nel dormiveglia, fece un sogno a occhi aperti: era dentro una enorme scatola con le sue scartoffie, fuori, una donna con un abito rinascimentale di broccato su sfondo verde e oro le stava dicendo di procedere con calma, questa era l’ultima cosa che avrebbe fatto prima dell’evaporazione. Non una telefonata a un amico, non una carezza al cane, non un tè caldo davanti al tramonto o al caminetto. No, come ultima azione del suo essere in vita doveva occuparsi di conti, rimborsi di cui si erano perse le ricevute, prenotazioni di cui non c’era più traccia, voli annullati sostituiti con treni e traghetti che sforavano dal budget. Cose che le avevano dato per mesi la paralisi mentale. Nel sogno si vedeva cercare, annotare, sottolineare, poi riscrivere al computer, archiviare, come se il suo più grande talento nella vita fosse stato quello di dipanare, ripulire, sanare caos e fallimenti altrui.
Si alzò dal divano, sentì un vago odore di bruciato, inizialmente non ci fece caso, poi evitò di scostare le tende e guardare. La casa del vicino stava andando a fuoco. Si era addormentato con la sigaretta in mano e qualche bicchiere di troppo. Quante volte Emy aveva desiderato un incendio dell’Agenzia Viaggi, con relativa distruzione dei sistemi informatici e degli archivi dati, per risolvere il suo stallo di lavoro evitando il licenziamento e non pensarci più. Almeno per un po’. Forse l’aveva pensato troppo forte. E il suo pensiero aveva trovato la scintilla oltre il recinto. Fu un rogo velocissimo, cassette, giornali, vecchi abiti, topi, furono inghiottiti dalle fiamme. L’alta colonna di fumo fu vista dal panettiere in paese, a quattro chilometri di distanza. I vigili del fuoco arrivarono a sirene spiegate, mentre Emy, canticchiando, in ginocchio, aveva appena cominciato a mettere mano ai documenti di cinquantatré sconosciuti che quell’estate sarebbero finalmente partiti. "No, non vi abbandono" sussurò impotente e sollevata, "Non ancora."
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