FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 52
maggio/agosto 2019

Sorelle & Fratelli

 

FRATELLO E SORELLA

di Annarita Verzola



[...] Jacopo si rigirò nel letto con aria sofferente, non voleva vedere il sorriso comprensivo del maestro mentre usciva. Appena 1’eco dei suoi passi fu spenta nel corridoio, si rizzò a sedere sul letto con un sorriso amaro. Era stato fin troppo facile ingannare il maestro e ne sentì un gran rimorso, ma il pensiero di Viviana, che lo aveva sostenuto e spinto a organizzare quella messinscena, tornò a dominare su ogni altro sentimento. Uscì dalla stanza in punta di piedi, a quell’ora gli sarebbe stato piuttosto facile lasciare il castello senza insospettire nessuno. Respirò di sollievo nel rendersi conto che il cortile e gli spalti erano deserti. Rasentando i muri giunse alle scuderie, dove i cavalli nitrirono e scalpitarono, disturbati dal suo ingresso. Era la prima volta che mentiva e ingannava con studiata determinazione e la sua coscienza, contraria per natura all’inganno, gli mostrava pericoli e minacce ovunque. Ciò nonostante Jacopo neppure pensò di rinunciare, di essere ancora in tempo a raggiungere il maestro senza che nessuno sospettasse il suo tentativo di fuga. Il battere degli zoccoli suonò alle sue orecchie come un passo umano e l’ombra di un albero gli sembrò quella di Ottorino, ma tutto andò bene e poté attraversare in fretta il cortile. A bocca spalancata Vieri lo spiava da una finestra, si era accorto per caso di lui, mentre passava gettando occhiate annoiate al cortile. Quando capì che stava lasciando il castello, il suo primo impulso fu di gridare, per fermarlo o per avvisare qualcuno, ma 1'astio ancora vivo per la lite gli legò la lingua, prospettandogli la possibilità di una vendetta senza rischi. Avrebbe finto di non sapere nulla e al rientro Jacopo avrebbe avuto una bruttissima sorpresa. Si allontanò strofinando le mani; l’imprudenza del compagno gli forniva una splendida occasione. Tornò a studiare con aria tranquilla, mentre Jacopo galoppava verso il convento col cuore in gola.

Più si avvicinava alla meta, meno sentiva il rimorso. Si era levato improvviso un forte vento che spingeva gruppi di minacciose nuvole bigie e faceva ondeggiare e lamentare le chiome degli alberi. Giunto presso il giardino Jacopo sbirciò attraverso la grata e non vide alcun movimento. Aveva un solo modo per entrare. Diede la scalata al muro di cinta servendosi delle feritoie, piuttosto regolari e vicine l’una all’altra. Rimase sdraiato per qualche momento sullo spesso muro, che lo ospitava comodamente tanto era largo, poi si lasciò cadere nell’erba che attutì il rumore, mentre il vento generoso copriva il fruscio dei suoi passi affrettati. Giunto a ridosso della costruzione, Jacopo si gettò carponi e strisciò fino alle finestre più vicine, restando in ascolto delle voci che provenivano dalle stanze. A un tratto il cuore gli balzò in gola, aveva udito quella di Viviana. Dura, ma incrinata dal pianto. Accoccolato sotto il davanzale, rimase in ascolto.

“Non voglio stare qui per punizione! Voglio tornare a casa.”

“Calmati, bambina cara. Questa è la casa di Dio e della Madonna, non può essere un luogo di castigo. Sei qui per il tuo bene, diventerai ancor più buona e virtuosa di quanto tu sia già.”

Fruscio di vesti e poi il rumore di una porta chiusa; pur incerta, la voce di Viviana era sempre impertinente, come la sua risposta.

“Parli bene tu, che sei abituata ad ammuffire qui dentro, pregando e cantando, ma io, come farò io?”

“Se fossi in te, non me la prenderei tanto.”

Con un grido Viviana si gettò in ginocchio sul letto e si spenzolò fuori dalla finestra, restando impietrita a guardare il fratello. Appena Jacopo si fu alzato e le ebbe tirato le trecce, nel solito modo che tante volte l’aveva irritata, Viviana si riebbe dalla sorpresa. Sporse le braccia e lui si afferrò alle sue mani, che lo aiutavano a issarsi lungo il muro; in breve si trovò sul suo letto e si coprirono di baci e di carezze, stringendosi e guardandosi l’un l’altra, quasi non potessero credere di essere ancora insieme. Viviana ascoltò con avidità il racconto delle peripezie per giungere fino a lei, e gli accarezzava i capelli, cercando di ricambiare con tutto l’affetto di cui era capace il coraggio dimostrato dal fratello fuggendo dal castello per lei. Poi fu il suo turno di raccontare, di sfogare l’amarezza di quei mesi, proprio come aveva sognato di poter fare. Sdraiato con la testa sul suo grembo, Jacopo l’ascoltava mordicchiandosi il labbro inferiore al punto di farlo sanguinare. Quando Viviana se ne accorse, lo asciugò con un lembo del velo senza curarsi di macchiarlo.

“Davvero nostro padre ti terrà qui finché qualcuno non ti chiederà in sposa?” le domandò con voce incerta.

Viviana strinse le labbra nella maniera che in lei significava disprezzo e totale disapprovazione.

“Non m'importa di quello che pensa, io sposerò te”, concluse senza riflettere, chinandosi a baciare Jacopo sulla fronte.

“Noi siamo fratelli, non possiamo farlo!” dovette smentirla lui, seppure a malincuore.

“È vero, dico grosse sciocchezze quando sono in collera.” Viviana sospirò e scosse la testa. Jacopo esitava, ma infine si fece coraggio e azzardò: “Non sposerai neppure Vieri, allora.”

La violenta reazione della sorella lo consolò.

“Quel presuntuoso? Non lo sopporto, è così antipatico.”

La bambina si pose una mano sulla bocca e stette in ascolto, poi bisbigliò: “Sento arrivare qualcuno; presto, scendi in giardino.”

Jacopo obbedì prontamente e Viviana si ricompose in fretta. La religiosa che entrò la trovo in ginocchio accanto al letto. La guardò stupita e mormorò: “Ero venuta a prenderti, ma vedo...” fece un vago gesto, indicando l'atteggiamento compunto della bambina.

“Sì, sorella, stavo pregando.”

“Sì, sì, appunto. Quando madre Addolorata conoscerà la tua devozione, ne sarà così felice. Continua pure, cara, tornerò più tardi. Che tesoro, che angelo del paradiso!” squittì la suora, allontanandosi in letizia dalla stanza.

Viviana scoppiò in un'irrefrenabile risata mentre si sporgeva di nuovo verso il fratello.

“Che bellezza, fingerò di pregare ogni volta che vorrò essere lasciata in pace. Torna dentro, presto.”

Jacopo rimase in piedi, guardandola con rammarico.

“Non posso, ora devo proprio tornare al borgo.”

“Sei cattivo.”

“Se scoprissero che sono uscito di nascosto, chissà quale castigo mi toccherebbe. Di certo non mi lascerebbero più tornare.” Gli tremava il cuore nel pronunciare quelle terribili parole, ma era necessario che Viviana capisse. E così fu. La terrificante prospettiva la fece ragionare. Si sporse ad abbracciarlo ancora una volta e lo guardò allontanarsi trattenendo le lacrime.[...]


Da Quando l'usignolo, Capitolo IV - Aprile 1243, Edizioni Fili d'Aquilone, 2012, pp. 47-50.


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