FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 51
gennaio/aprile 2019

Ostacoli

 

JUMPING: DA EPITTETO AGLI ALGORITMI

di Armando Santarelli



Alcune volte li evitiamo, altre volte cerchiamo di superarli, in qualche caso è necessario abbatterli; ma gli ostacoli, nel percorso della vita, ci sono sempre. Astrattamente, pensare di “superarli” ci sembra la soluzione migliore, perché comporta una presa di coscienza e un impegno personale, che mette alla prova le nostre qualità umane.
In questo compito, la filosofia, le religioni, i movimenti spirituali ci sono vicini da sempre. La prima cosa che insegnano queste discipline è che spesso gli ostacoli che minacciano la nostra esistenza risiedono non all’esterno, non negli altri, ma dentro di noi, e che perciò è sulla nostra psiche che dobbiamo agire.

Il buddhismo è una dottrina antichissima, ma ancora molto in auge per chi aspira a vivere in modo più giusto ed equilibrato. L’origine delle nostre sofferenze risiede nella bramosia di essere e nell’attaccamento ai beni materiali; solo ignorando questi obiettivi possiamo liberarci dal dolore.
Il nobile ottuplice sentiero indica come riuscire in tale scopo: in sintesi, tenere un retto atteggiamento mentale, libero da avidità e desiderio del male; abituarsi a un retto parlare, scevro da calunnie e menzogne; adottare un retto agire, che eviti lussuria, furto e atti violenti. È inoltre importante il retto modo di sostentarsi, svolgendo attività e mestieri virtuosi. Fondamentale è lo sforzo di ricacciare indietro gli impulsi aggressivi e malvagi; per finire, occorre arrivare alla retta concentrazione e alla retta meditazione, attraverso le quali attingere la beatitudine. Facile, no?

Chi trovasse tosto praticare questi sani princìpi, può sempre rivolgersi a regole un po’ più abbordabili. Le conclusioni di Epitteto, filosofo nato a Ierapolis, in Frigia, fra il 50 e il 60 d.C., sono considerate ancor oggi un ottimo rimedio per i problemi e gli ostacoli che incontriamo nella vita. Epitteto sostiene che bisogna concentrarsi e agire solo sulle cose che dipendono da noi. Infatti, nella vita ci sono cose ed evenienze che non sono in nostro potere (i genitori, il nostro corpo, la reputazione, gli averi, la morte) ed altre che sono in nostro potere, perché dipendono dalla volontà (per esempio i nostri pensieri e le nostre convinzioni). Ora, molte delle sofferenze che patiamo sono generate dal fatto che indirizziamo i pensieri e le scelte verso le cose che non dipendono da noi; queste, appunto perché tali, ci sfuggono, passano sopra le nostre teste, diventando la prima causa della nostra infelicità.

Anche qui, non possiamo che toglierci il cappello e dare ragione a Epitteto, con un solo appunto: provate a voi a relegare nelle cose di cui non dobbiamo curarci – perché non sono in nostro potere - il licenziamento dal lavoro, le molestie di uno stalker, la prepotenza di un capufficio incompetente e nevrotico, la lentezza esasperante della burocrazia, le menzogne e il cinismo di chi ci governa, eccetera.

In tempi più recenti, ottimi consigli su come migliorare la nostra vita ci sono stati offerti da guide spirituali come Georges Ivanovitch Gurdjieff, Ram Dass, Thich Nhat Hanh. L’insegnamento di quest’ultimo ha tutti i tratti della semplicità e dell’efficacia. Il monaco buddista suggerisce di non perdersi nei pensieri e nelle preoccupazioni relative al domani, concentrandoci sempre sul momento attuale. Ciò che è importante è fare attenzione al presente, recuperare la tranquillità che si ottiene facendo una cosa per volta e impegnando la propria attenzione solo su quella. In Il miracolo della presenza mentale, Thich Nhat Hanh scrive: “Non bere il tuo tè come chi trangugia un caffè durante una pausa del lavoro. Bevilo lentamente e con riverenza, come se fosse l’asse intorno al quale ruota il mondo intero: lentamente, in modo uniforme, senza affrettarti verso il futuro. Vivi il momento attuale. Solo questo momento presente è la vita”.
Forse la via indicata da Nhat Hanh è la più facile da seguire; forse, perché quando in una giornata devi svolgere cento compiti diversi, è un po’ difficile concentrarsi su una cosa per volta e farla con tranquillità…

Insomma, non si può certo negare che diverse menti eccelse ci abbiano indicato con chiarezza ciò che dovremmo fare per migliorare la nostra esistenza. La maggioranza del genere umano, però, pur avendo conoscenza delle dottrine religiose, degli insegnamenti morali, dei metodi teorici e pratici per vivere in modo più sereno, sperimenta una vita piena di problemi e insoddisfazioni di ogni genere.
Per di più, le difficoltà nel raggiungere un soddisfacente standard di vita e di contenere lo stress paiono aumentare. Gli ostacoli che sino ad oggi si ponevano sulla nostra strada erano, per così dire, visibili. Se qualcosa non andava per il verso giusto, se qualcuno mi faceva un torto, se lo facevo a mia volta, almeno sapevo con chi prendermela o con chi scusarmi; e dunque, parlare col collega del misunderstanding che ci ha fatto litigare, far presente allo sportello dell’Agenzia delle Entrate che ho già pagato le bollette, stoppare una feroce polemica su facebook chiedendo scusa o interrompendo il dialogo, protestare col datore di lavoro che minaccia di trasferire l’azienda in Albania.

Ma in futuro, che cosa succederà? Prima ancora di chiederci come risolveremo i problemi in una società completamente automatizzata, viene da domandarsi: quali saranno questi problemi? L’unica cosa certa è che il quadro sarà molto mutato, perché l’Intelligenza Artificiale, le biotecnologie e gli algoritmi saranno i padroni della nostra vita. In capo a pochi decenni non sarà il nostro Pianeta, saremo noi a subire le maggiori trasformazioni, in seguito all’influenza che eserciteranno sul nostro io le tecnologie informatiche e gli algoritmi che elaborano i Big Data.

È il disastro? Lo scacco totale dal controllo delle nostre azioni ed emozioni? L’impossibilità di superare ostacoli della cui realtà non sapremo che poco o nulla?
No, forse no. Forse avverrà il contrario, forse troveremo più facile affrontare e risolvere i problemi del futuro.

Prendiamo ad esempio il campo del lavoro. Molte aree del mondo soffrono di crisi economica e occupazionale. È così anche da noi, come dimostrano le cifre riferite alla disoccupazione giovanile e alla massiccia emigrazione di laureati verso Nazioni straniere.
Certo, qualcuno si industria e ce la fa: c’è un ritorno significativo a mestieri artigianali ed agricoli, sono nate molte nuove professioni, ci sono opportunità – nascenti dalle tecnologie informatiche – che i teenager affrontano meglio di qualsiasi persona adulta.
Altri però, dinanzi alla piega che va prendendo la loro vita – per cui talvolta si perde il lavoro senza una spiegazione, senza neppure conoscerne la causa – reagiscono con disperazione, provando sulla loro pelle e nella psiche gli effetti di un mostro che incombe sull’Umanità dominata dall’Intelligenza Artificiale: l’insignificanza. Puoi valere quanto ti pare, praticare i più sani princìpi morali, puoi essere un uomo eclettico e voglioso di lavorare, e tuttavia ritrovarti a spasso da un giorno all’altro, privato di uno dei fattori fondamentali per il nostro equilibrio.

La resilienza? Certo, sempre, ma non è facile metterla in atto quando il tuo datore di lavoro è anonimo, quando sai che il tuo potere contrattuale è pari a zero, quanto ti giri intorno e trovi il vuoto. Qualche esperto profetizza che entro una ventina di anni potremmo ritrovarci con miliardi di individui funzionalmente superflui.
Sembra un quadro catastrofico, ma, ripeto, potrebbe non andare così. Anzi, le cose potrebbero prendere una direzione del tutto diversa, e noi umani (o ex umani) godere di una condizione molto migliore di quella in cui versiamo oggi. Perché dove non potrebbero mai riuscire i saggi dell’antichità, né i libri più elevati del pensiero umano, potrebbero invece riuscire entità invisibili come l’Intelligenza Artificiale, le biotecnologie e gli algoritmi!

Facciamo un esempio tornando alla questione lavoro. Studiosi come Ray Kurzwil, Jerry Kaplan, Pedro Domingos, Yuval Noah Harari, ai quali ci rifacciamo, non sono così preoccupati della piega che prenderà il fattore-lavoro nei decenni a venire; vediamo perché.
Innanzitutto, come abbiamo già visto, la scomparsa di alcuni mestieri e professioni sarà compensata dalla creazione di altri lavori.
Un’altra soluzione è quella che potrebbero mettere in atto le grandi multinazionali informatiche e i governi, creando ambiti dedicati alla formazione permanente e cercando di contenere i disagi dovuti agli inevitabili periodi di transizione.
Inoltre, si potrebbero sviluppare nuovi princìpi e modelli sociali ed economici tesi a salvaguardare il benessere delle persone più che il posto di lavoro. Un reddito minimo universale a carico dei Governi e dei colossi dell’informatica potrebbe garantire la sopravvivenza di coloro che non hanno trovato modo di adeguarsi ai nuovi standard professionali.

Ancora, sarà forse scontato ampliare l’ambito delle attività umane che etichettiamo come “lavori”. Lascio la parola ad Harari (21 lezioni per il XXI secolo): “Oggi miliardi di genitori si prendono cura dei bambini, vicini di casa si aiutano a vicenda e cittadini organizzano gruppi di vario tipo, senza che nessuna di queste lodevoli attività sia riconosciuta come lavoro. Forse abbiamo bisogno di comprendere che la cura dei bambini è il lavoro più importante e impegnativo che ci sia al mondo. In questo caso, non ci sarebbe penuria di lavoro anche se i computer e i robot sostituissero tutti gli autisti, gli impiegati di banca e gli avvocati”. E più avanti: “Nelle vite di tutti la ricerca di un senso e di una comunità potrebbe diventare più importante della ricerca di un lavoro”.
Naturalmente, non siamo sicuri che le cose andranno in modo tanto ottimistico. Tutti i cambiamenti costituiscono una fonte di stress; quando poi sono veloci e investono più funzioni umane, allora gestirli diventa davvero complicato.

Tuttavia, gli strumenti informatici non sono nati per diventare nemici del genere umano. Molti scienziati non nutrono dubbi sul fatto che le nuove tecnologie biologiche ci daranno il potere di rimodellare e di riprogettare artificialmente la vita. Questo influirà su tutto ciò che siamo, compreso il nostro mondo interiore, la nostra realtà psichica; e chi ha detto che ci andrà peggio? Se è vero che i pensieri, i desideri e le emozioni umane non sono che il frutto di processi neuronali, sarà possibile, per i computer del futuro, decifrarli, interpretarli ed eventualmente reindirizzarli nel modo più favorevole per il benessere psicologico di ognuno. Un algoritmo biochimico collocato nel cervello potrebbe analizzare costantemente i nostri pensieri, il nostro umore, le nostre intenzioni e fare in modo che non ci nocciano. Se abbiamo pensieri cupi e negativi, l’algoritmo biochimico potrebbe disinnescarli o ucciderli; se stiamo rischiando di diventare troppo aggressivi, una musica distensiva trasmessa immediatamente nella nostra testa potrebbe calmarci in pochi minuti.

Di nuovo Harari, nel già citato 21 Lezioni: “Quando la rivoluzione delle tecnologie biologiche si unirà alla rivoluzione delle tecnologie informatiche, produrrà algoritmi che potranno capire e controllare i miei sentimenti meglio di me, e l’autorità si sposterà dagli esseri umani ai computer”.
Ma tutto questo non equivale a svilire il nostro io, ad annullare le coscienze? La realtà attuale è che molti individui hanno scarsa conoscenza di sé stessi e scarsa autostima. Molte persone vacillano quando devono prendere una decisione importante, e quando la prendono possono scoprire di aver rovinato la propria esistenza. Gli algoritmi, che conosceranno ogni tratto della nostra personalità, delle nostre preferenze e delle nostre emozioni, potrebbero suggerire (o prendere) le decisioni più consone riguardanti gli studi da seguire, il lavoro da preferire, la scelta del compagno di vita.
Mi rendo conto che può apparire un quadro davvero alienante, mostruoso, talmente disumano che il solo pensiero conduce al rigetto, al non senso. Ma a parte che a quel punto non saremo più uomini (nel senso di homo sapiens) la domanda è: l’esistenza individuale e collettiva sarà migliore o peggiore? Avremo più o meno sofferenze? Perderemo le nostre emozioni o le vedremo salvaguardate e addirittura amplificate?

Altre domande: i consigli dei grandi saggi di tutte le epoche, hanno reso più felici gli uomini? Le religioni hanno funzionato per contenere la bestialità umana? La morale e la considerazione delle immani sofferenze che gli uomini hanno patito durante le guerre, hanno potuto fermarle? Gli insegnamenti che abbiamo ricevuto da genitori, professori, educatori, libri, esperienze di ogni genere, riuscivano a rimuovere gli ostacoli contro i quali andavamo a cozzare ogni giorno?
Immagino che molti replicherebbero: preferisco andare a sbattere, oppure eludere o scavalcare un ostacolo e imparare qualcosa, misurarmi con la realtà, anziché trovarmi in uno scenario come quello che si prospetta.

Beh, un po’ tentenno anch’io. Ma se ci penso meglio… non mi dispiacerebbe essere una persona più equilibrata, creativa, sempre di buon umore, con alta autostima, e tutto questo grazie a una macchina che, conoscendomi meglio di quanto possa fare io stesso o qualche mio simile, mi abbia trasmesso le scelte giuste, o addirittura rimodellato le mie funzioni.
Come molti di voi, fino ad oggi, per quanto potessi invidiare il prossimo, alla richiesta di cambiarmi con qualcun altro avrei risposto convintamente di no. È la prima volta, francamente, che a un cambio del genere, il sottoscritto, come il matto di Ricomincio da tre, risponderebbe “Sì, certamente”.


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