FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 50
settembre/dicembre 2018

Aurora

 

L'ANGOLO DI ED

a cura di Giuseppe Ierolli



Una promessa d'aurora


J24-F13

There is a morn by men unseen -
Whose maids upon remoter green
Keep their seraphic May -
And all day long, with dance and game,
And gambol I may never name -
Employ their holiday.

Here to light measure, move the feet
Which walk no more the village street -
Nor by the wood are found -
Here are the birds that sought the sun
When last year's distaff idle hung
And summer's brows were bound.

Ne'er saw I such a wondrous scene -
Ne'er such a ring on such a green -
Nor so serene array -
As if the stars some summer night
Should swing their cups of Chrysolite -
And revel till the day -

Like thee to dance - like thee to sing -
People upon the mystic green -
I ask, each new May morn.
I wait thy far - fantastic bells -
Announcing me in other dells -
Unto the different dawn!

    C'è un mattino agli uomini invisibile -
Le cui fanciulle su un più remoto prato
Celebrano il loro serafico maggio -
E per tutto il giorno, con balli e giochi,
E capriole che non potrei mai descrivere -
Impiegano il giorno festivo.

Qui a passo leggero, si muovono i piedi
Che non camminano più per le strade del paese -
Né presso il bosco si incontrano -
Qui sono gli uccelli che cercavano il sole
Quando la conocchia dell'anno passato oziosa pendeva
E i bordi dell'estate erano confinati.

Mai vidi una così meravigliosa scena -
Mai un tale cerchio su un tale prato -
Né così sereno insieme -
Come se le stelle in una qualche notte d'estate
Alzassero i loro calici di Crisolito -
E festeggiassero fino a giorno -

Come te ballare - come te cantare -
Popolo sul mistico prato -
Io chiedo, ogni nuovo mattino di maggio.
Aspetto le tue lontane - fantastiche campane -
Che mi annuncino in altre valli -
A una diversa aurora!

Una sognante descrizione del Paradiso, con danze e giochi impossibili da descrivere per una mente mortale. Una scena meravigliosa che trasforma la morte in un viaggio verso una nuova aurora, diversa, inconoscibile e, forse proprio per questo, immune dai dolori che riempiono la vita.

 

J323-F14

As if I asked a common Alms,
And in my wondering hand
A Stranger pressed a Kingdom,
And I, bewildered, stand -
As if I asked the Orient
Had it for me a Morn -
And it should lift it's purple Dikes,
And shatter Me with Dawn!
    Come se chiedessi una comune Elemosina,
E nella mia mano stupita
Uno Sconosciuto comprimesse un Regno,
Ed io, sconcertata, restassi -
Come se chiedessi all'Oriente
Se avesse un Mattino per me -
E lui sollevasse le sue Dighe purpuree,
E Mi ubriacasse d'Aurora!

La gioia di un dono inatteso, o che va al di là di ogni nostra aspettativa, in due immagini dal contrasto iperbolico: un regno concesso come se fosse una semplice elemosina e un diluvio d'aurora al posto di un mattino consueto.

 

J721-F743

Behind Me - dips Eternity -
Before Me - Immortality -
Myself - the Term between -
Death but the Drift of Eastern Gray,
Dissolving into Dawn away,
Before the West begin -

'Tis Kingdoms - afterward - they say -
In perfect - pauseless Monarchy -
Whose Prince - is Son of none -
Himself - His Dateless Dynasty -
Himself - Himself diversify -
In Duplicate divine -

'Tis Miracle before Me - then -
'Tis Miracle behind - between -
A Crescent in the Sea -
With Midnight to the North of Her -
And Midnight to the South of Her -
And Maelstrom - in the Sky -

    Dietro di Me - sprofonda l'Eternità -
Davanti a Me - l'Immortalità -
Io - il Confine fra le due -
La Morte solo il Fluire di Grigio d'Oriente,
Che si dissolve in Aurora,
Prima che l'Ovest appaia -

C'è un Regno - dopo - dicono -
In perfetta - ininterrotta Monarchia -
Il cui Principe - di nessuno è Figlio -
Lui stesso - la Sua Dinastia Senza Tempo -
Sé - da Sé diversifica -
In Duplicato divino -

È Miracolo davanti a Me - allora -
È Miracolo dietro - in mezzo -
Una Falce di Luna nel Mare -
Con Mezzanotte al Suo Nord -
E Mezzanotte al Suo Sud -
E il Maelstrom - nel Cielo -

Ricca di suggestioni, dubbi teologici, immagini che appaiono e scompaiono come il grigio d'oriente.
Non siamo altro che un confine, là dove termina l'eternità che ci ha preceduti e l'immortalità che ci è promessa. La morte, ovvero la materializzazione di questo confine così effimero, ci coglie sempre in quella che a noi appare l'aurora della nostra esistenza, non ci dà mai il tempo di vedere quell'occidente che sappiamo esistere, ma che teniamo sempre lontano dai nostri pensieri.
E dopo, che accade? Si dice (questo eretico e dubbioso "they say" è una costante di ED quando parla del divino) che dopo ci sarà il regno eterno, con un principe assai singolare, padre e figlio allo stesso tempo, senza avi o posteri, che può diversificare la propria divinità solo replicando se stesso (al verso 9, come Bacigalupo e la Virgillito, ho tradotto "di nessuno è Figlio" visto che il più letterale "è Figlio di nessuno" - usato da Errante - ha in italiano una connotazione spregiativa).
E la vita, che ha un miracolo davanti a sé e un miracolo dietro di sé (l'immortalità che l'attende e l'eternità che l'ha preceduta) sta lì, nel mezzo, come un'effimera falce di luna che si rispecchia nel mare (qui ED dice "crescent", che propriamente sarebbe "luna crescente", ma Webster dice "It is applied to the old or decreasing, in a like state." - quel "like state" è appunto una falce di luna sia crescente che calante - e poi mi piaceva "falce", perché ha una connotazione di morte che non sfigura) con la notte che incombe a sud e a nord e il maelstrom del dubbio che percorre il suo cielo.
La poesia è pervasa da una sensazione di incertezza che si esplicita in immagini sempre non definite: il grigio d'oriente che si dissolve, il "they say" del settimo verso, l'indefinibile pluralità e unità divina, la tremolante falce di luna sul mare, ma, soprattutto, da un'incertezza che chiamerei "topografica". Nella prima e nell'ultima strofa, infatti, appaiono indicazioni spaziali sempre diverse: nella prima, dietro, davanti, oriente, ovest; nell'ultima, davanti, dietro, nord, sud, sopra (il cielo). È un po' come se ci guardassimo smarriti intorno, con lo sguardo che si volge dappertutto, senza mai riuscire a trovare un punto fermo. Un'incertezza che viene ulteriormente accresciuta nell'ultimo verso, dove il maelstrom (un termine nordico che indica un gorgo, un vortice, un mulinello nel mare) drammatizza d'improvviso l'apparente, anche se fuggevole, placida immagine della luna che si specchia nel mare, ma trasportando in cielo questo fenomeno marino, che diventa metafora del vorticoso e inafferrabile scorrere della vita ma anche dell'accavallarsi di dubbi e domande che scorrono nell'animo dell'uomo quando rivolge in alto il suo sguardo.

 

J839-F942

Always Mine!
No more Vacation!
Term of Light - this Day begun!
Failless as the fair rotation
Of the Seasons and the Sun -

Old the Grace, but new the Subjects -
Old, indeed, the East,
Yet upon His Purple Programme
Every Dawn, is first.

    Sempre Mio!
Non più Assenza!
Alla parola Luce - questo Giorno diede inizio!
Senza fallo come l'usuale rotazione
Delle Stagioni e del Sole -

Antica la Grazia, ma nuovo il Soggetto -
Antico, davvero, l'Est,
Eppure nel Suo Purpureo Programma
Ogni Alba, è la prima.

Finalmente anche per me le tenebre hanno lasciato spazio al giorno e la parola "luce" ha acquistato un senso. Questo giorno che nasce non è certo nuovo per il mondo, ma sempre nuovo è il soggetto che lo fa suo, pensando ogni volta che questo possesso durerà per sempre, con un incessante avvicendarsi così simile a quello delle stagioni e alla rotazione del sole. In fin dei conti l'oriente è sempre esistito, ma ciò che fa di ogni alba la prima è lo sguardo di qualcuno che prima d'allora non vedeva altro che buio.
Naturalmente il "giorno" del terzo verso può essere qualsiasi cosa che illumini la nostra vita, un qualcosa che arriva e interrompe l'assenza di luce che fino a quel momento ci aveva lasciati al buio. Tuttavia il "sempre mio" del primo verso fa pensare ovviamente all'amore, un sentimento a cui attribuiamo di solito, almeno all'inizio, una durata infinita.

 

J1378-F1402

His Heart was darker than the starless night
For that there is a morn
But in this black Receptacle
Can be no Bode of Dawn
    Il suo Cuore era più buio di una notte senza stelle
Per quella c'è un mattino
Ma in questo nero Ricettacolo
Non può esserci Promessa d'Aurora

Il buio di una notte senza stelle ha comunque la promessa del mattino; in un cuore senza sentimenti l'oscurità è invece senza speranza.

 

J1739-F586

Some say good night - at night -
I say good night by day -
Good bye - the Going utter me -
Good night, I still reply -

For parting, that is night,
And presence, simply dawn -
Itself, the purple on the hight
Denominated morn.

    Alcuni dicono buonanotte - a notte -
Io dico buonanotte di giorno -
Arrivederci - mi dice chi se ne va -
Buonanotte, ancora rispondo -

Perché la separazione, quella è notte,
E la presenza, semplicemente alba -
Lei, la luce purpurea lassù
Chiamata mattino.

Il gioco di parole sui saluti serali e mattutini serve per definire la separazione, l'atto che trasforma il giorno in notte, senza curarsi di dove sia il sole in quel momento, mentre la presenza (e non il ritorno, perché qui la separazione ha una connotazione definitiva e irreversibile) ha in sé i caratteri di un'alba la cui luce purpurea ci illumina dall'alto, come se non dovesse mai calare per iniziare il ciclo che porterà inevitabilmente al tramonto e al buio della notte.

 


Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").


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