FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 46
aprile/giugno 2017

D'acqua o di fuoco

 

IL FUOCO DEL PERCORSO

di Rita Pacilio



Il Fuoco esiste dapprima come luce
EMILY DICKINSON


SERA DI NOVEMBRE

Si era trovato a parlare di lei più volte, perché conosceva bene la storia. C’è qualcosa di inquieto e di morte in queste città silenziose e dimenticate. Lo aveva meditato negli anni ’20 quando il suo volto era pallido e lungo. Le aveva visto cambiare l’umore in maniera repentina. Voleva dire qualcosa.

Significava attraversare la notte da analfabeta?

Le aveva visto chinare il capo in segno di stanchezza o solitudine. La vedeva dietro il vetro. Del resto alla sua età poteva permettersi gli uomini giovani e quelli anziani. Lo aveva già fatto senza conoscere il peso della coscienza. Da sprovveduta.

Certo non manca niente alla parete
il cielo immenso, l’albero,
il calco, portato qui, dal giorno
prima, a malapena
tenuto elevato nella cornice.
L’amore sa qualcosa dei ritagli
la linea che apprende fili sottili
chiome sporgenti sul terrazzo
lei anziana
con i calzini e una maglia rosa 
al chiodo il volto
mentre parlano dal divano di fronte.

È questione di età, si ripeteva. Le darà ragione il solenne accordo preso anni prima. Continuare ghirigori con la matita in piena freddezza. Aspettare. La colazione alle due del mattino ha il sapore delle fragole di serra. Celare, per un senso di vergogna o protezione, la mano stanca e fumare dieci sigarette in un’ora. Fumare e basta. Quella notte. Il fuoco del camino.
Come fosse lontana l’ombra.


QUA E LÀ

Si sveglia tutto. All’improvviso anche il cielo è giorno. E restano lì a guardare il fondo della notte dal finestrino dell’ultimo scompartimento. Lui cerca il braccio. La spalla tremava. Un filo di alito nella sciarpa. I battiti mancavano ritmi. Anche i guanti di lana.

Lo vuoi sentire?

Stretti in un solo abbraccio senza mentire. Andavano lontano a ieri. Al tabernacolo aperto sul divano. Al pupazzo che puntava la lampadina. Spingersi nel portone velocemente. Venir fuori dall’ascensore danzando bocche.

Ci siamo. Arrivati a casa.

Stare zitti mentre la corsa del giovedì sera. Ricordare insieme i capelli nel tempo che tirava il fiato. Avevano filmato le pieghe del corpo. Le rughe. Inseguivano la zoppia della corsa. Spento il sole e le stelle nell’abbraccio. Avevano mangiato riso e bevuto birra.

Avevi ragione, l’amore guarisce.

Si sveglia tutto. Così finisce il mondo del giorno prima. Muovere i capelli appena gli alberi fuori bolle di sapone.


ANNI ’80

Lo stile della giacca di velluto nero fuoriusciva dal cappotto anni ’80. I guanti tenuti stretti in una sola mano. L’altra, il caffè. Sul vetro gli addobbi natalizi. E i quotidiani dicevano parole. Lungo il viale profumo di panettone. Qualche sorriso il pianto di un bambino.
Seduta la donna del compleanno.
La disperata lacrima si allungò fino alla pista ciclabile, alle due ruote. Accanto ai regali, il sacchetto della spesa. Ci sono attimi che dilatano gli anni, le attese. Dalla bocca l’alito fumava il freddo.
Lei aspettava muta tenendo sulle ginocchia strette la borsa.

Qualche domanda.


NAPOLI ROMA

Non avrebbe voluto più sentire la spaccatura nella conca segreta. Gli stampi indelebili nelle carni. Farsi cristallo prezioso. Desiderio e attesa. Godere e non soffrire con la testa ferma. I battiti all’unisono dritti nella torre che imbavagliava la piega del ginocchio e schiena al petto. Candele sorrette dalla fiducia dritte. Infilate nella ruota che inciampa e regge. Lui agile come un uccello. Lei natiche. Dal lato opposto l’ermafrodite di Bernini.

La statua.

Incurvare la schiena. Sculacciate che non vogliono sottomettere. Una puntura. Puntare l’avidità. Fianchi lisci. Carezzare i capelli. Vertebre lisce. Dita tra i denti. La lingua ovunque. I denti gengive. Lasciarsi all’intimità. Commuoversi in una cosa sola. Sangue nel sangue. Le risposte silenziose aprivano cosce. Polmoni srotolati.

Amore respirare.

Una secchiata di acqua ghiacciata
quel mare senza fine all’orgoglio
mani tese verso il niente
in un atto di poesia a forma d’arco
quasi un ponte appeso al solaio
e io al centro senza gambe, senza grembo
girare intorno all’umorosa via di casa
indietreggiare i baci, strapiombare
fare l’amore tra poco, la prima.

Voltarsi. Avrebbe voluto urinare. Erano civilissimi nonostante tutto. Bocca in bocca. Un disegno un ricamo.


DAL TERRAZZO

Pensava all’ultima volta che si sono guardati. La smorfia della disperazione mentre un bacio.

E il cuore sfilato.

Sul terrazzo lasciare vuoti a perdere. Ogni colore cercava la ragione. L’illuminazione dal vicolo di fronte diceva del Natale. Stropicciato il ricciolo cade sulle ciglia. Il limone tagliato a spicchi per il miele.

Così.

E ti rispondo dal fulmine nelle nuvole
dalla misura della mano cento metri più su
spingendo il parapetto nelle fughe a tre voci
è qui che gli aquiloni si riavvolgono
di fronte alla lampada sconsolata.
Ricordo l’odore dell’anima emorragica
quando lei e le altre mutarono in frammenti
inghiottite nel bruno solitario.
Ti accoppiasti alla tazza mentre inciampavo
nel rombo verde dell’anello
questo potrebbe essere tutto, invece le forme
delle lodi ebbero colori pallidi e furono dolci
i brandelli del luneggiare.
Così ci addormentiamo nella direzione della terra
a orecchie fredde a scaldare le mani.

Posizionarsi nella tazza. Grovigli quando mancano le parole.



I testi sono tratti dalla raccolta inedita L’amore casomai.



ritapacilio@gmail.com