Il limite. Il senso che ci rende consapevoli del passaggio, e che poi ci rivela che il gioco non è mai finito. Hai voglia a tentare di precisare che il gioco ha dei contraenti, delle regole, dei limiti. Ci si è dentro fino al collo e oltre. E allora non c’è alcuna necessità di distinguere gioco da realtà. Una questione nominale, ma non solo e non tanto. Una questione che il filosofo Lucio Saviani affronta con la sua ultima opera, Ludus mundi. Idea della filosofia (Moretti & Vitali, 2017): “l’essere come fondo abissale” emerge talvolta dalle radici e manda inquietanti bagliori che ci appaiono come segni da decodificare (non a caso Saviani è uno dei nostri massimi esperti di ermeneutica). Il libro non offre soluzioni, che non sono contemplate dallo statuto antropologico di impermanenza nel qui e nell’ora, ma semplicemente accompagna il lettore per una via costellata da domande, risposte, altre domande.
Saviani sa che l’interrogativo supremo sulla vita è vecchio quanto il mondo, perché prima di Socrate – un altro esempio di limen obsoleto ma ormai luogo comune acritico – ci si domandava in che cosa consistesse l’essenza della vita e, l’autore lo nota all’inizio della sua opera, già in Omero (Iliade, VI, 145-149) si notava come “le stirpi degli uomini” siano parte di un gioco non scelto, perché “nasce una, l’altra dilegua”. Gioco non scelto anche se Nietzsche, soprattutto per bocca del suo Zarathustra, ne rivendica la riappropriazione attraverso un sì che si ponga come trapassare verso il ruolo – vi è sempre un gioco di parti, a quanto pare – di colui-che-ha-scelto, ribaltando le prospettive deterministiche.
La ricerca di una parte delle regole del gioco attraversa anche le mediazioni di Heidegger, Fink, Gadamer, Derrida, Jankélévitch, ed è interessante soprattutto l’approfondimento da parte di Saviani, del pensiero di quest’ultimo, allorché pone l’impossibilità di avvicinare dialetticamente l’ordine trascendente. La non verificabilità dell’oltre è uno degli elementi portanti del discorso di Ludus mundi, che lascia fuori gli elementi “positivi”, religiosamente definiti, riguardo a quell’oltre. La loro posizione non riguarda in effetti la connotazione-gioco, ma quella della possibilità di contatto con il divino, che è un passo diverso all’interno della riflessione filosofica. Bergson, ad esempio, lo stesso immanentismo di Hegel, pongono il problema di un fine cui tendere, sia esso di natura esterna o all’interno delle cose. Anche se, per rimanere nel contesto del gioco, vi è stata una componente variamente “religiosa” che ha inizialmente accettato proprio il terreno del gioco surrealista. Basterebbe tra i tanti l’esempio del Grand Jeu, e soprattutto di Renè Daumal, che nella sua breve esistenza ha praticamente traghettato la gratuità e l’oltranza fini a se stesse di molte avanguardie verso l’accezione religiosa, nel suo caso quella induista. Ma per Daumal la scelta religiosa è ancora fortemente intrisa degli umori ludici, se non che essi vengono incanalati nella responsabilità fisica del gioco come scelta di vita non-borghese: il rischio, la partenza, l’addio alle antiche comode certezze, la ricerca di nuove mete anche quando gli altri non le vedono neanche. Il caso dell’incompiuto Monte analogo ne è una delle prove più pregnanti e più ignorate da una cultura che si mostra sempre più conformista nel corteggiamento del materialisticamente corretto, in linea con l’affermazione di un pensiero unico votato al consumo degli stereotipi – e dei rifiuti – di una società che esprime la propria sazietà inquieta nella assoluta mancanza di regole in un gioco che però stavolta gira a vuoto.
Merito di questo libro è la riproposizione di una prospettiva “laterale”, che nella vulgata viene consegnata al territorio periferico della non rilevanza, proprio come la poesia che è sopportata quando viene scritta nei recessi della razionalizzazione necessaria del mondo, ma non quando viene proposta alla lettura. Tra l’altro, il poemetto di Pasquale Panella, posto alla fine dello studio di Saviani, ha il merito non di poco conto di mostrare come le parole possano recuperare un senso abissale e una funzione evocativa, che anni e anni di formalismo e strutturalismo, dopo l’ubriacatura ideologica, (che aveva contribuito a smussarne le possibilità evocative), avevano in gran parte sepolto ma non distrutto.
Lucio Saviani, Ludus mundi. Idea della filosofia, Moretti & Vitali, 2016, 212 pagine, 17 euro - con un poemetto di Pasquale Panella e una postfazione di Aldo Masullo.
Lucio Saviani (Caserta, 1960) vive e lavora a Roma, dove insegna Storia della Filosofia all’Università “La Sapienza”.
Svolge attività di ricerca e collabora con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Consulente di Rai Educational per l’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, è membro del Collegio di Filosofia Sociale di Roma.
È uno degli esponenti di maggior rilievo dell’ermeneutica in Italia, come dimostrano i suoi numerosi libri scritti a partire dalla metà degli anni Ottanta e tradotti all’estero.
testi.marco@alice.it
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