FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 41
gennaio/marzo 2016

Calma & Fretta

 

L'ANGOLO DI ED

a cura di Giuseppe Ierolli



Calma vulcanica


J175-F165

I have never seen "Volcanoes" -
But, when Travellers tell
How those old - phlegmatic mountains
Usually so still -

Bear within - appalling Ordnance,
Fire, and smoke, and gun -
Taking Villages for breakfast,
And appalling Men -

If the stillness is Volcanic
In the human face
When upon a pain Titanic
Features keep their place -

If at length, the smouldering anguish
Will not overcome,
And the palpitating Vineyard
In the dust, be thrown?

If some loving Antiquary,
On Resumption Morn,
Will not cry with joy "Pompeii"!
To the Hills return!

    Non ho mai visto "Vulcani" -
Ma, quando i Viaggiatori narrano
Come quei vecchi - flemmatici monti
Di solito così calmi -

Portino dentro - spaventose Artiglierie,
Fuoco, e fumo, e cannoni -
Che prendono Villaggi a colazione,
E terrorizzano gli Uomini -

Se la calma è Vulcanica
Nel volto dell'uomo
Quando in Titanica pena
I lineamenti restano inalterati -

Se a lungo, l'angoscia covata
Non uscirà in superficie,
E il palpitante Vigneto
Nella polvere, non sarà gettato?

Se qualche amante dell'Antico,
In un Rinnovato Mattino,
Non griderà gioioso "Pompei"!
Alle Colline ritorna!

Il vulcano è metafora classica di qualcosa che cova sotto la cenere, pronta a erompere senza più limiti. I tre "if" che aprono le ultime tre strofe sono da intendersi implicitamente preceduti da "allora mi chiedo", in uno scioglimento della metafora che si conclude con una "Pompei" riscoperta sotto la lava dei millenni.
L'ultima strofa sembra dirci che l'unica possibile "Pompei" dell'anima, ovvero l'agnizione finale, lo sciogliersi dell'angoscia dell'ignoto che ci accompagna durante la vita, sarà possibile soltanto nella resurrezione, quando finalmente saremo liberati dal buio in cui siamo immersi.

 

J712-F479

Because I could not stop for Death -
He kindly stopped for me -
The Carriage held but just Ourselves -
And Immortality.

We slowly drove - He knew no haste
And I had put away
My labor and my leisure too,
For His Civility -

We passed the School, where Children strove
At Recess - in the Ring -
We passed the Fields of Gazing Grain -
We passed the Setting Sun -

Or rather - He passed Us -
The Dews drew quivering and Chill -
For only Gossamer, my Gown -
My Tippet - only Tulle -

We paused before a House that seemed
A Swelling of the Ground -
The Roof was scarcely visible -
The Cornice - in the Ground -

Since then - 'tis Centuries - and yet
Feels shorter than the Day
I first surmised the Horses' Heads
Were toward Eternity -

    Poiché non potevo fermarmi per la Morte -
Lei gentilmente si fermò per me -
La Carrozza non portava che Noi Due -
E l'Immortalità -

Procedemmo lentamente - non aveva fretta
Ed io avevo messo via
Il mio lavoro e il mio tempo libero anche,
Per la Sua Cortesia -

Oltrepassammo la Scuola, dove i Bambini si battevano
Nell'Intervallo - in Cerchio -
Oltrepassammo Campi di Grano che ci Fissava -
Oltrepassammo il Sole Calante -

O piuttosto - Lui oltrepassò Noi -
La Rugiada si posò rabbrividente e Gelida -
Perché solo di Garza, la mia Veste -
La mia Stola - solo Tulle -

Sostammo davanti a una Casa che sembrava
Un Rigonfiamento del Terreno -
Il Tetto era a malapena visibile -
Il Cornicione - nel Terreno -

Da allora - sono Secoli - eppure
Li avverto più brevi del Giorno
In cui da subito intuii che le Teste dei Cavalli
Andavano verso l'Eternità -

È una delle poesie più famose di ED, presente in quasi tutte le antologie italiane. Una descrizione della propria morte che può essere accostata alla J280-F340. Ma là ci sono sensazioni metafisiche, rumori che sembrano risuonare in un sogno e un finale di drammatica e annichilante perdita della consapevolezza. Qui invece siamo di fronte a una sorta di racconto molto concreto, a uno svolgersi dei fatti che dà una sensazione di familiarità, con appena un accenno a nostalgici ricordi (i bambini a scuola, il grano nei campi) e a un senso di gelo concretizzato nella rugiada che scende sul corpo vestito di garza e tulle.
La morte è gentile, ma comunque decisa a rispettare i suoi appuntamenti. Non scegliamo noi di fermarci, di interrompere la nostra vita, ma è lei che arriva, si ferma alla nostra porta e non ha bisogno di imporsi con la forza, perché sa di essere inevitabile. E l'ultimo viaggio si fa in solitudine, noi, la morte, e quel mistero insondabile che è l'eternità.
Il percorso è lento: la morte, messaggera dell'eternità, non ha certo fretta. Il senso di lentezza è ulteriormente accentuato nella terza e quarta strofa: i bambini nell'intervallo, i campi di grano, il tramonto, la rugiada notturna, danno la sensazione di un percorso che si snoda nell'arco di un'intera giornata, quasi un rivivere la propria vita nel momento in cui finisce.
Nella penultima strofa eccoci arrivati. La casa che abiteremo sembra un rigonfiamento del terreno, da dove sporge solo il cornicione del tetto. I secoli che passeranno saranno ormai senza tempo, brevissimi in confronto a quel lungo giorno in cui capimmo subito che quel viaggio apparentemente familiare era quello che ci portava verso l'eternità.
Un interessante commento della poesia è nel libro di Cynthia Griffin Wolff (Emily Dickinson, Perseus Books, Reading MA, 1988, pagg. 274-276) che, fra le altre cose, fa notare i tre "we passed" della terza strofa, che accentuano il carattere di lento ma dinamico movimento dell'inizio, seguiti nel primo verso della strofa seguente da "He passed Us", un capovolgimento che blocca l'azione e ci porta verso il "We paused" della penultima strofa.

 

J778-F879

This that would greet - an hour ago -
Is quaintest Distance - now -
Had it a Guest from Paradise -
Nor glow, would it, nor bow -

Had it a notice from the Noon
Nor beam, would it, nor Warm -
Match me the Silver Reticence -
Match me the Solid Calm -

    Colui che avrebbe accolto - un'ora fa -
È alla più estranea delle Distanze - ora -
Avesse un Ospite dal Paradiso -
Non si ecciterebbe, né s'inchinerebbe -

Avesse un annuncio dal Mezzogiorno
Non sarebbe radioso, né si Scalderebbe -
Trovami un'eguale Argentea Reticenza -
Trovami un'eguale Solida Calma -

La morte ci coglie improvvisamente, e ci porta alla più estranea delle distanze dal mondo in cui avevamo vissuto fino a un'ora prima. Da quel momento qualsiasi cosa, qualsiasi avvenimento, anche il più straordinario, non ha più alcun effetto. Nel mondo in cui siamo abituati non c'è niente che possa somigliare a questa argentea reticenza, a questa solida calma.

 

J795-F847

Her final Summer was it -
And yet We guessed it not -
If tenderer industriousness
Pervaded Her, We thought

A further force of life
Developed from within -
When Death lit all the shortness up
It made the hurry plain -

We wondered at our blindness
When nothing was to see
But Her Carrara Guide post -
At Our Stupidity -

When duller than our dullness
The Busy Darling lay -
So busy was she - finishing -
So leisurely - were We -

    Era la Sua ultima Estate -
Eppure non l'indovinammo -
Se più tenera industriosità
La pervadeva, pensammo

A una nuova forza vitale
Sviluppata dall'interno -
Quando la Morte ne illuminò la brevità
Rese chiara la fretta -

Ci stupimmo della nostra cecità
Quando nulla ci fu da vedere
Tranne la Sua Freccia di Carrara -
Verso la Nostra Stupidità -

Quando più inerte della nostra inerzia
La Diletta Indaffarata giacque -
Così indaffarata era lei - da ultimo -
Quanto indolenti - eravamo Noi -

La morte di solito non annuncia il suo arrivo. Magari notiamo dei cambiamenti, come un'ansia di vivere improvvisa che non riusciamo a spiegarci, se non quando la morte ce ne indica la ragione. Soltanto dopo, quando il cippo marmoreo appare come puntato sulla nostra stupidità, ci stupiamo di quanto siamo stati ciechi di fronte a quei segnali che appaiono ora così chiari. Ripercorriamo i suoi ultimi istanti di vita, che ci sembrano, pur nella loro inerte fiacchezza, comunque più attivi della nostra cieca indolenza.
Un altro esempio di un tema "banale" (nella vita quasi sempre ci rammarichiamo troppo tardi di quello che avremmo potuto essere o fare e non siamo stati o non abbiamo fatto) trattato con l'usuale fantasia dickinsoniana: nella seconda strofa i due versi finali, con la morte che illumina improvvisamente la nostra consapevolezza e ci fa capire quello che prima era oscuro; nella terza l'immagine del cippo funerario che diventa una freccia stradale ("Guidepost" è definito "Un segnale al bivio di una strada, che indica la via al viaggiatore") puntata verso la nostra stupidità.

 

J928-F960

The Heart has narrow Banks
It measures like the Sea
In mighty - unremitting Bass
And Blue monotony

Till Hurricane bisect
And as itself discerns
It's insufficient Area
The Heart convulsive learns

That Calm is but a Wall
Of Unattempted Gauze
An instant's Push demolishes
A Questioning - dissolves.

    Il Cuore ha stretti Argini
Che misura come il Mare
In possente - ininterrotto Mormorio
E in Azzurra monotonia

Finché l'Uragano lo infrange
E come da sé discerne
Il suo Spazio insufficiente
Il Cuore convulso impara

Che la Calma è solo un Muro
D'Inaffidabile Garza
La Spinta di un istante lo demolisce
Un Dubbio - lo dissolve.

Il cuore, ovvero l'amore, la facoltà di amare, è come chiuso in argini molto stretti, ma, come il mare, pensa in grande, non ha la sensazione di questo spazio angusto che lo racchiude. Ma prima o poi viene spezzato da un uragano che lo investe e gli fa percepire che quello che aveva considerato uno spazio senza limiti (ovvero un amore infinito) è in realtà ben poca cosa, un sottile muro di impalpabile garza che non riesce certo a proteggerlo. E si accorge così, nei convulsi attimi della consapevolezza, di come, a differenza del mare, non ci sia bisogno di un uragano per demolire e dissolvere ciò che lui credeva incrollabile: per sconvolgere quella calma superficie di illusoria serenità basta la lieve spinta di un istante, o un improvviso dubbio che mette in discussione quella che sembrava una certezza.
Bella la contrapposizione di immagini contrastanti. L'argine ristretto in cui si muove il cuore paragonato all'immensità del mare, perché misura il proprio spazio con la stessa possente e monotona tranquillità (qui la "monotonia" va intesa in relazione alla "calma" del nono verso). Poi l'uragano, concreto nel caso del mare e vissuto come tale per un cuore un tumulto, che rivela d'improvviso come sia illusoria quella tranquillità, diventata un inaffidabile muro di garza in balia del più lieve soffio di vento.

 

J1509-F1539

Mine Enemy is growing old -
I have at last Revenge -
The Palate of the Hate departs -
If any would avenge

Let him be quick -
The Viand flits -
It is a faded Meat -
Anger as soon as fed - is dead -
'Tis Starving makes it fat -

    Il mio Nemico sta invecchiando -
Ho alla fine Vendetta -
Il Gusto dell'Odio se ne va -
Se ci si vuol vendicare

Si faccia in fretta -
La Pietanza sfugge -
È un Alimento deperibile -
La Rabbia non appena sazia - è morta -
È il Digiuno che la fa ingrassare -

Versi in bilico fra due affermazioni in contrasto fra loro: "la vendetta è un piatto da consumare caldo" e "la rabbia si nutre dell'attesa, perciò la vera vendetta è quella che sa aspettare" Potrebbero essere due poesie distinte; la prima con i versi 3-4-5-6-7, la seconda con i versi 1-2 e 8-9. Visto che ED le ha incastrate una dentro l'altra possiamo presumere che abbia voluto dare una doppia lettura, come se esistessero due modi, distinti ma in fin dei conti simili, per soddisfare la voglia di vendetta.
Possiamo però leggerla anche in un altro modo: il mio nemico sta invecchiando, è ormai debole e non ha più la forza per contrastare la mia vendetta, perciò bisogna cogliere al volo il momento propizio e spegnere la rabbia, ingrassata nel tempo del digiuno, con la vendetta ora a portata di mano.

 


Le poesie di Emily Dickinson non hanno un titolo, a parte rarissime eccezioni. I numeri che le precedono si riferiscono alla numerazione attribuita nelle due edizioni critiche, curate rispettivamente da Thomas H. Johnson nel 1955 ("J") e da R. W. Franklin nel 1998 ("F").


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