FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 40
ottobre/dicembre 2015

Forza & Debolezza

 

MADDALENA E LA LOTTA CON L'ANGELO
Sul romanzo Di Daniela Delle Foglie La felicità delle suore

di Marco Testi



Maddalena sfila le pile dal telecomando della tv e le infila nel walkman. Preme play, sicura che tanto non si accenderà. Il nastro invece inizia a girare. La voce di una bambina. È lei da piccola. La sua voce ripete quasi ossessivamente la stessa frase: “Andrà tutto bene, vedrai che andrà tutto bene, non ti preoccupare…”
Una ragazza ritrova una delle sue strade. Anzi, rintraccia una delle partenze, uno dei punti in cui sassi e sabbia ostacolano il percorso dell’acqua, la fanno stagnare e rendono difficile la vita. La strada di Maddalena, la protagonista di La felicità delle suore di Daniela Delle Foglie, è anche quella della ricerca delle origini della sua incapacità di fede. Quella che lei cerca nei fatti e non nelle parole. La bambina che si fa coraggio da sola ripetendo nell’antico walkman rosa che c’è una speranza contro tutto e tutti, che la madre guarirà e che l’affetto si affaccerà nella pigrizia delle consuetudini e delle ripetizioni, anche quelle che riguardano la religione, sta ancora aspettando. Non una luce che trapassi le nubi di fronte agli ooh! di stupore degli astanti, ma segni tangibili che mettano assieme soprattutto i brandelli dell’esistenza lacerata: una carezza, due chiacchiere, una cena fuori in allegria. La sua incapacità di trovare una scintilla nelle parole degli altri – e l’incapacità degli altri di rendere sostanza quelle parole – nasce anche da lì, da quella bambina sola che aspettava un segno reale dagli uomini, visto che “non ha mai capito perché i suoi genitori, così cattolici, non le abbiano mai insegnato come avere speranza”.

È questo il leitmotiv di un racconto – scritto con sicura semplicità, attraverso una voce narrante che presenta - quasi come in un copione - i pensieri e le azioni dei personaggi e di una protagonista che cerca con ostinazione ma anche con una sua propria visione del mondo la via della fede. Maddalena si sta laureando con una tesi sul mondo del porno, con una ricerca a tappeto su quei personaggi che nella loro vita privata, nota dapprima con sorpresa e poi con simpatia Maddalena, mostrano affetti e attenzioni che alla ricercatrice sembrano più veri di quelli di tanti che dicono di credere e che in realtà dimostrano il contrario. Certo può essere così, ma di qui a vedere in quel mondo una realtà positiva ce ne vuole. Soprattutto perché migliaia di psicologie ferite, fragili, proprio come la bambina che si parla da sé a sé nel nastro e che si fa coraggio, rischiano di entrare per quella porta e di sprofondare nei mondi paralleli della cosificazione dell’altro, nella perdita del tu come persona e nella lenta deriva in un piacere che a lungo andare diviene dolore e talvolta ferita mortale. Una ricercatrice che studia quel mondo può farlo con distanza e perfino con simpatia, ma una persona fragile rischia di inabissarvisi.

C’è un altro elemento importante che emerge da questa storia di una ricerca di senso che vorrebbe arrivare al Senso senza mai riuscirvi. È quello di come è narrativizzata la dimensione della fede, qui incarnata soprattutto da una reale, assai conosciuta comunità cattolica. Maddalena inizia una storia con un giovane che fa parte di questa comunità, fino a che non inizieranno problemi di comunicazione, sia nella coppia che nelle dinamiche protagonista-gruppo. È la storia del fallimento, riferito ai limiti personali di una persona, di una coppia, del modo di rapportarsi di una intera comunità. Maddalena non sopporta gli inviti a credere, come se bastassero quelli, ma neanche digerisce come persone che portano croci vere e pesanti possano raccontarle sorridendo in pubblico parlando del proprio amore per Dio:

Maddalena non ha mai visto in nessun essere umano lo stesso entusiasmo per la vita, e c’è qualcosa in quella gioia incondizionata, in quell’euforia, che infastidisce. Le sembra l’effetto di una droga, quello spettacolo da baraccone della fede le fa ribrezzo.
La felicità delle suore è la storia di una impossibilità, che ha il sapore di una conferma: il suo no arriva da incontri con una realtà particolare, con i suoi riti particolari e i suoi condizionamenti particolari. Il mondo della fede è fatto tuttavia di centinaia di comunità e di associazioni e soprattutto di individui. E non tutti, gruppi e persone, sono così stereotipati come appare nel racconto. Anzi, una strada la individua la stessa protagonista quando riflette su cosa dovrebbe essere per lei una fede:
Troverei un altro modo per essere catto, un modo per essere felice, meno strimpellante, meno gioiosa, meno tutto… un modo in cui la croce ha un senso se c’è un corpo sopra, come ha detto la signora della casa di cura.
La signora abbandonata in una casa di cura le aveva detto che per lei è impossibile credere a qualcuno senza che quel qualcuno condivida il dolore e che una croce senza crocifisso “è bruttissima. Che senso ha una croce senza Cristo sopra? Io lo voglio vedere Gesù che soffre, se non come faccio ad accettare la mia, di croce? Tutte le croci devono avere un corpo, se no non hanno senso”.

La ricerca di senso di una bambina troppo sola che si fa coraggio ripetendo che tutto andrà bene – una delle pagine più vere e riuscite in un romanzo che riesce a leggere dentro le inquietudini reali di molti, non solo giovani – diviene quello di una donna che cerca la fede nell’amore e l’amore nella fede. Al di fuori dei manifesti, delle professioni pubbliche, dei proclami. Non è detto che la fede sia sempre e comunque là. Talvolta le croci di quella fede sono davvero pesanti e vanno molto al di là delle parole. Sono nei suburbi metropolitani, nelle carceri, nei luoghi dove la stessa speranza sembra non essere che un pallido ricordo.


Daniela Delle Foglie, La felicità delle suore, Mondadori 2015, 204 pagine, 17 euro.




Daniela Delle Foglie
nata a Bari nel 1983 è cresciuta tra Milano e Roma. Si è laureata in comunicazione e produzione culturale e ha conseguito il Master in scrittura e produzione per la fiction e il cinema dell’Università Cattolica di Milano. Ha scritto di televisione americana su diverse testate giornalistiche. Dopo l’esperienza da story editor, oggi lavora come sceneggiatrice di serie televisive, tra cui Don Matteo e Che Dio ci aiuti.


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