Per primi sentì gli odori. Quello del mare, un misto di salsedine e alghe, arrivò alle sue narici così forte da fargli credere di essere immerso nelle sue acque. Altri profumi sollecitarono il suo olfatto e riconobbe i fiori da cui provenivano. Non conosceva i loro nomi ma ricordava i colori e le forme.
Il suono che all’improvviso colpì i suoi timpani fu il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli: forti schiaffi seguiti dal crepitio di migliaia di gocce d’acqua. Contò mentalmente i secondi che separavano un’onda dalla successiva.
Sulla pelle del viso sentì la forza del vento, ancora prima che s’incanalasse nelle sue orecchie, fino a coprire, per brevi momenti, il rumore del mare.
Peccato essere al buio, pensò, e non poter vedere i fiori e le onde, il mare. Anche così era piacevole trovarsi dovunque si trovasse, ma il buio impenetrabile nel quale era immerso lo metteva a disagio, gli procurava un’ansia che mal si accordava col piacere degli altri sensi.
Per questo motivo si decise ad aprire gli occhi. Vide il pallido azzurro del cielo del mattino velato dal lento moto di poche nuvole: ben si fondeva con le sensazioni provate pochi istanti prima. Si sedette e vide il mare, le onde lì giù in basso, i fiori ai suoi lati. Volgendo lo sguardo dietro di sé scorse in lontananza una strada e un’auto, ferma, con la portiera aperta. Un’immagine che stonava.
Si alzò da terra e tornò a guardare davanti a sé, la distesa senza confini del mare, ma soprattutto lì in basso, molto in basso, dove le onde scavavano con violenza le rocce. Proprio dove finiva la punta delle sue scarpe. Mezzo passo per andare a ricevere quegli schiaffi.
“Ci sarà un motivo se mi trovo qui”, pensò.
Ma non seppe darsi né questa né le altre risposte di cui ora aveva bisogno. “Non lo so”, fu l’unico responso che trovò nella sua mente, anche quando fu costretto a chiedersi “Chi sono?”.
Tornò a guardare in basso, mentre dentro di sé si espandeva una calma che lo fece sentire bene, così bene che decise di muoversi da lì. Le gambe però erano malferme e a stento riuscivano a sostenerlo. Fu costretto ad aiutarsi con le mani aggrappandosi a un cespuglio accanto a lui. Con estrema fatica, si incamminò verso la macchina che lo aveva incuriosito. Fu costretto a fermarsi più volte: il terreno irregolare, i continui saliscendi e le gambe instabili rendevano quasi impossibile un tragitto che in condizioni normali avrebbe percorso in pochi secondi. “In condizioni normali”, pensò. Quando era successo l’ultima volta? Per quanto si sforzasse di tornare indietro con la memoria non riusciva ad andare oltre pochi minuti prima, a quando, cioè, aveva ripreso i sensi.
Mano a mano che si avvicinava all’auto ne scorgeva l’interno in maniera sempre più netta. La portiera aperta gli lasciava vedere il posto vuoto del guidatore. Quando fu a pochi metri dalla macchina scorse il corpo di una donna distesa sul sedile reclinato del passeggero. L’uomo entrò nella vettura. La ragazza era completamente nuda, solo una camicia strappata le copriva a malapena il seno.
Rimase ad ammirare la posizione del corpo adagiato, con le gambe leggermente divaricate e piegate che davano un senso di rilassamento. Il braccio destro correva lungo il busto mentre la mano sinistra poggiava sulla coscia. Sembrava che la donna dormisse. Il volto era nascosto nella penombra ma l’uomo immaginò che gli occhi fossero chiusi in un’espressione serena. Soltanto la camicia strappata e dei lividi bluastri sul collo stridevano con il quadro nel suo insieme dando infine la percezione che quel corpo era privo di vita. L’uomo si avvicinò al viso della ragazza e per riuscire a vederla distintamente fu costretto ad accendere la luce di cortesia dell’auto.
Un lampo, sincronizzato con il pulsante sopra di lui, lo colpì nella mente. Quel volto ora rischiarato lo aveva riportato con la memoria indietro di qualche ora riaccendendo a sua volta parte dei suoi ricordi.
Silvia – ricordò il nome della ragazza, sua giovane collega – aveva accettato con entusiasmo l’invito a cena. “Silvia e Giacomo. Questi due mi ricordano qualcosa”, aveva scherzato lei.
Erano stati bene, lontani dall’atmosfera nervosa dell’ufficio. Si erano rivelati e nascosti, pronti a cogliere ogni sfumatura del comportamento dell’altro ma rimanendo spontanei e disinvolti. A fine serata avevano deciso di recarsi sulla costiera per assistere allo spettacolo del temporale in arrivo dal mare.
Ora Giacomo ricordava con precisione che appena arrivati su quella piazzola sterrata dove si trovava ancora l’auto, Silvia gli aveva chiesto di spegnere il sottofondo musicale, come se anche l’udito dovesse partecipare senza distrazioni a quell’evento straordinario. Il recupero di questi particolari, all’apparenza insignificanti, lo facevano ben sperare sul ritrovamento completo della sua memoria.
I lampi sul mare disegnavano crepe luminose appena sopra l’orizzonte. C’erano ripetizioni continue di luci e tuoni, di abbagli e boati a spezzare l’oscurità e il silenzio davanti a loro.
Giacomo l’aveva baciata – lo ricordava chiaramente – e lei aveva corrisposto con trasporto. Le loro lingue si erano rincorse nelle bocche unite creando giochi di piacere, le loro mani avevano iniziato ad accarezzarsi. Era quella, allo stesso tempo, la promessa e la preparazione a un conoscenza fisica che si sarebbe realizzata di lì a poco.
Invece Silvia si era tirata indietro. Non era stata brusca, anzi il distacco era stato dolce, ma la sua decisione non lasciava dubbi. “Non possiamo”, aveva cercato di chiarire la ragazza. “Non è giusto perché lavoriamo insieme, perché ancora non ci conosciamo e poi… io sto per sposarmi”. Ecco, quest’ultima frase era stata davvero dura da incassare per Giacomo che – e anche questo lo ricordava perfettamente – aveva faticato non poco per non manifestare la sua delusione. Avrebbe voluto chiederle “allora perché?”, anzi, rammentava, stava proprio per farlo e invece tutto era cambiato.
Uno sconosciuto era entrato nell’auto. Giacomo ricordava con precisione i lineamenti duri e spigolosi del viso dell’estraneo, in qualsiasi momento sarebbe stato in grado di descrivere il volto dell’uomo. Il malfattore lo aveva sopraffatto in un attimo per poi dedicarsi a Silvia strappandole i vestiti di dosso. Era questa l’ultima immagine chiara che Giacomo era riuscito a recuperare. Poi c’era soltanto il ricordo del risveglio a ridosso dello strapiombo sulla scogliera. Forse, nel tentativo di fuggire e di chiedere aiuto, aveva raggiunto il bordo del precipizio dove era infine svenuto.
Accarezzò il viso di Silvia. Le chiuse i lembi della camicia coprendole il seno e recuperata la gonna gliela appoggiò sul pube. Ora, nonostante fosse malamente coperta, la ragazza sembrava davvero addormentata.
Giacomo era afflitto per la perdita dell’amica. Inoltre sentiva dolore dappertutto: le gambe che a malapena lo avevano sorretto fin lì, le braccia intorpidite e appesantite come se avessero sostenuto chissà quale sforzo e infine il viso che gli bruciava sulle guance e sul collo.
Si sedette in posizione di guida. La chiave era ancora inserita nel quadro. Avrebbe raggiunto il più vicino posto di polizia per denunciare l’accaduto. Chiuse lo sportello e regolò il retrovisore girato al contrario forse per colpa della colluttazione.
L’immagine che lo specchietto gli rimandò lo scosse tanto da farlo saltare sul sedile. Quando si guardò non furono tanto i graffi sulle guance e sul collo a spaventarlo quanto vedere il volto dell’aggressore che rammentava tanto bene da poterne fare un identikit.
Fu allora che ricordò con sofferenza anche il resto della storia.
Neanche provò a chiedersi come fosse potuto accadere. Giacomo scese dall’auto e si avviò lungo il sentiero che portava al dirupo. Ora il dolore che sentiva non riguardava più i suoi muscoli. Qualcosa era deflagrato in lui, le tempie gli battevano come mai prima d’ora, il cuore sembrava lacerato, forse era davvero scoppiato e ogni battito poteva essere l’ultimo.
Poi vide il mare e tornò a sentirne l’aroma. Allora allungò il passo fino a corrergli incontro, decidendo di non fermarsi più.
|