FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 32
ottobre/dicembre 2013

Geometrie

 

UNA SOLITUDINE GEOMETRICA
Sulla poesia di Xavier Oquendo Troncoso

di Alessio Brandolini



I pilastri su cui poggia la curvatura della solitudine sono stabili e stabiliti da millenni e forgiano una scorza che contiene un frutto inesplorato e figure arcaiche: i miti antichi degli emarginati. Questo nei versi del poeta ecuatoriano Xavier Oquendo Troncoso (1972) che dall’altitudine della sua Quito osserva con acume il mondo, presente e passato; non a caso nella sua poesia gravitano figure mitologiche greche, i suoi basilari filosofi e la città di Roma. Una solitudine dilatata agli altri, “affollata” e che non riguarda soltanto l’uomo ma un albero isolato che sa di non poter essere bosco o un animale in gabbia che impazzisce se abbandonato a se stesso. La raccolta poetica Solos (Soli, 2011) ha per epigrafe un brano di un racconto di Eduardo Galeano in cui si narra della triste esistenza di un agutipaca che trascorre le notti camminando in circolo e di giorno si nasconde sotto il tronco vuoto di un albero abbattuto; è l’ultimo della specie ancora vivo, tutti gli altri sono stati sterminati: «Mentre aspetta la morte, non ha nessuno con il quale conversare».

Solos è un libro corposo diviso in cinque sezioni che esplora i molteplici aspetti della solitudine: nella prima parte quella del singolo individuo che ne fa una corazza per difendersi dal mondo esterno, per ancorarsi a qualcosa che renda meno insicuri e instabili. Nella seconda parte c’è la solitudine sociale di un gruppo (o di un’atmosfera, come scrive l’autore) che aspira, o meglio aspirava, alla terra promessa.
Il linguaggio di Oquendo è asciutto, essenziale e l’intensità ricorda la poesia di César Vallejo, di Antonio Machado e anche di Pavese (“Verrà la morte / e la solitudine diverrà / il meno profondo dei misteri”). Il tono è colloquiale e tragico, “i soli” sono uniti tra loro da un senso atipico di partecipazione alla vita: camminano in fila indiana sul bordo dell’abisso e non si aspettano nulla, se non che li accompagni “quella misera persona / che li abita”.

Il dialogo tra vita e morte è anche quello tra sé e l’altro, tra il razionale e l’irrazionale: tutto sembra sfrangiarsi e l’uomo (solo) affollarsi di gente. Nell’intimo isolamento dove il sole è di neve, che è anche un simbolo della poesia, si afferrano cose che normalmente passano quasi inosservate: il respiro delle foglie; la precarietà di ogni cosa che ci circonda; l’amicizia che muta nel tempo; il dolore e l’attesa degli altri; la paternità; l’io nella sua essenza fragile e inaccessibile: “I soli si guardano le pupille / da dentro, dove c’è un labirinto / che finisce in se stessi”.
Nel finale i versi si distendono e le poesie si allungano, narrano storie anche in prosa poetica, come nel “Diario dei biblici” che con i suoi toni mistici e insieme ironici riporta alla mente la poesia di César Dávila Andrade (1918-1967), tra i padri della poesia contemporanea ecuatoriana. Così, alla fine, Solos lo si (ri)legge come un libro che contiene più libri e più voci, in duttile simmetria con l’affollata solitudine espressa all’inizio, e con bravura, da Xavier Oquendo: “Mi accompagno. / Mi trasformo in altra gente. / Vado frazionandomi.”




POESIE DI XAVIER OQUENDO TRONCOSO
da Solos (Soli)
Editorial Mar Abierto, Ecuador, 2011



*

Soledad.
         Coraza.
                 Soy tu sobreviviente.

El otro que quedaba
murió muy lejos
cuando vio a los pájaros aparearse.

Soledad.
         Amarra.
                 Soy tu salvo conducto.

Voy con los miedos
por esos senderos
donde solo parece oírse
cómo reclaman, en el viento,
las brisas que se juntan para amarse.


*

Solitudine.
         Corazza.
                 Sono il tuo sopravvissuto.

L’altro che restava
morì lontanissimo
quando vide gli uccelli accoppiarsi.

Solitudine.
         Ormeggia.
                 Sono il tuo salvacondotto.

Vado con i timori
per quei sentieri
dove solo sembra udirsi
come risuonano, nel vento,
le brezze che si uniscono per amarsi.


*

Yo me acompaño.
Me hago otras gentes.
Voy repartiéndome.

Me doy miedo solo.
Me busco, sabiendo
que no hay forma
de que las mesas, por ejemplo,
sean compañía.

Ni de que el amor lo sea.
Solo este cuerpo inaudito que soy
como carne
y esta sangre añeja que soy
como vino.


*

Mi accompagno.
Mi trasformo in altra gente.
Vado frazionandomi.

Mi faccio paura da solo.
Mi cerco, sapendo
che non c’è forma
che i tavoli, per esempio,
siano compagnia.

Né che l’amore lo sia.
Solo questo corpo inaudito che sono
come carne
e questo sangue stagionato che sono
come vino.


*

Todo: las maletas. Los cuerpos.
Los tapices. El polvo. Los ríos.
El cóndor. El jaguar. Los vaso con sed.
La sed de los castaños.
El manzano aislado del invierno.
Todo: hasta el mosco que ahuyenta
nuestro sueño, se va, definitivamente,
al ducto sin salida de la soledad.


*

Tutto: le valigie. I corpi.
Gli arazzi. La polvere. I fiumi.
Il condor. Il giaguaro. Il bicchiere assetato.
La sete dei castagni.
Il melo isolato dall’inverno.
Tutto: persino la zanzara che mette in fuga
il nostro sogno, se ne va, definitivamente,
nel canale senza sbocco della solitudine.


*

Así, como la costra de la almendra
que encierra el fruto en su corteza firme,
viven los solos,
separados de su historia,
de su tiempo, de sus aguas.


*

Così, come il nòcciolo della mandorla
che racchiude il frutto nella sua dura corteccia,
vivono i soli,
separati dalla loro storia,
dal loro tempo, dalle loro acque.


*

Los solos comen la tristeza
y ahuyentan a la gente
con el olor de su potaje.
Están siempre esperando
que los acompañe
esa mísera persona
que los habita,
mientras el tren pasa.


*

I soli mangiano tristezza
e mettono in fuga la gente
con l’odore della loro zuppa.
Sono sempre in attesa
che li accompagni
quella misera persona
che li abita,
mentre il treno scorre.


*

Los solos se miran las pupilas
desde adentro, donde hay un laberinto
que termina en sí mismos.


*

I soli si guardano le pupille
da dentro, dove c’è un labirinto
che finisce in se stessi.


*

Recomendamos tomar su equipaje de mano.
No regresar a ver al que está al lado
porque no existe.
Aquello que usted ve
es el reflejo de un holograma azul
que convive con su realidad virtual.
Usted está en el sombrero del mago
que luego desaparece.
Cualquier conejo aparecido
es un simple gesto de cortesía.
Si está pensando aparecer en grande
no espere. Que los solos
tienen siempre una medida estándar.


*

Le raccomandiamo di prendere il bagaglio a mano.
Di non tornare a guardare chi si trova al suo fianco
perché non esiste.
Quello che lei vede
è il riflesso di un ologramma azzurro
che convive con la sua realtà virtuale.
Lei si trova dentro il cappello del mago
che dopo svanirà.
Qualsiasi coniglio intravisto
è un semplice gesto di cortesia.
Se sta pensando di apparire alla grande
non ci speri. Perché i soli
hanno sempre una misura standard.


*

Allí viven dos solos
que han decidido desunirse del sistema.
Quieren poblar sus soledades divididas,
cortadas por el hacha astuta
de Dios –principal solitario
que nació de nuestra semejanza–.


*

Lì vivono due uomini soli
che hanno deciso di staccarsi dal sistema.
Vogliono popolare le loro solitudini divise,
tagliate dall’ascia astuta
di Dio – principale solitario
che nacque dalla nostra somiglianza –.


EL ÚLTIMO VIENTO

1

Ya no hay dónde beber
la sed de las aguas.

El amor
         no ha durado
para la próxima cosecha
ni para el último viento.

Ni siquiera para limpiar el rumor
de las ventanas otoñales.

2

No soy Prometeo
ni estoy encadenado,
sin embargo pesa
la cadena de mi sombra
que persigue a mi cuerpo
como una pantera sagrada.

3

Todo el tiempo busco las manos
de alguien que quiera abrazar
mis huesos de eucalipto
y solo encuentro escultura de leña,
antiguos mitos de los desposeídos.


L’ULTIMO VENTO

1

Ormai non c’è dove bere
la sete delle acque.

L’amore
         non è durato
per il prossimo raccolto
né per l’ultimo vento.

Neanche per pulire il rumore
delle finestre autunnali.

2

Non sono Prometeo
né mi ritrovo incatenato,
nondimeno pesa
la catena della mia ombra
che persegue il mio corpo
come una pantera sacra.

3

Tutto il tempo cerco le mani
di qualcuno che voglia abbracciare
le mie ossa di eucalipto
e incontro soltanto sculture lignee,
antichi miti degli emarginati.


EL YO DEL FRÌO

Todo del hombre que llevo
se halla enlatado en esta mañana gris
que no convence a la piel.

Afuera solo hay niebla
y espuma en el cielo.

Hoy el hombre que llevo
no quiere deshacerme
ni empujarme a su vacío.


L’IO DEL FREDDO

Tutto l’uomo che porto
è inscatolato in questo grigio mattino
che non convince la pelle.

Fuori c’è solo nebbia
e schiuma nel cielo.

Oggi l’uomo che porto
non vuole disfarmi
ne spingermi nel suo vuoto.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




Xavier Oquendo Troncoso

è nato ad Ambato (Ecuador) nel 1972 e vive a Quito. Laureato in Lettere, è giornalista, poeta, editore e critico letterario.
Ha pubblicato: Guionizando poematográficamente (1993), El (An)verso de la esquinas (1996), Después de la caza (1998), Desterrado de palabra (racconti, 2000), La Conquista del Agua (2001), El mar se llama Julia (romanzo per l’infanzia, 2002), Salvados del naufragio (antologia poetica 1995-2005), Esto fuimos en la felicidad (2009), Solos (2011), Alforja de caza (antologia, Messico, 2012). Ha ricevuto diversi premi nazionali e parte della sua opera poetica è stata tradotta e pubblicata all’estero.
Tra i suoi numerosi lavori critici si segnala la vasta Antología de la poesía ecuatoriana contemporánea (2011).


alexbrando@libero.it