FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 31
luglio/settembre 2013

Amori & Distacchi

 

SARÀ DURO VIVERE SEPARATI PER TANTO TEMPO...

di Annarita Verzola



Il brano è tratto da Quando l'usignolo, di Annarita Verzola
Edizioni Fili d'Aquilone, 2012, capitolo II (Giugno 1242)



La fragorosa risata di suo padre lo disorientò, la sua espressione soddisfatta diceva che grandi novità sarebbero uscite dalle sue labbra. Lupo andò a sedere a capotavola, lasciando scendere i bambini che sedettero a un lato, con la madre. Ascoltandolo parlare con vivacità, la solita voce possente e sonora, Jacopo stentava a capire, temendo che il suo cervello fosse impigrito al punto di non funzionare più del tutto. O come se rifiutasse di capire. Osservò le venature del legno, nel vano sforzo di apparire tranquillo, ma il sangue gli pulsava frenetico nelle tempie, man mano che suo padre proseguiva, sua madre lo interrompeva e lui tornava a rimbeccarla, facendo il verso al suo modo di parlare e ridendo. Non potevano imporgli di andarsene a studiare al castello per cinque lunghi anni, lontano da Torrechiara, da Viviana. Dove avrebbe trovato il coraggio per opporsi? Suo padre aveva dovuto chiamarlo più forte, scuoterlo per dirgli che era desiderio del barone Bonomi che lui riflettesse e decidesse in piena libertà. Lupo finì il discorso con un buffetto sulla guancia del figlio e uscì. A cena, si aspettava la sua risposta a cena. Cosa davvero insolita, sua madre lo baciò in fronte poi gli disse qualcosa circa la fortuna di una simile offerta e lo esortò a riflettere bene. Jacopo guardava Viviana, stranamente composta e taciturna. Si presero per mano e scesero in giardino, poi si sdraiarono nell’erba, a guardare le nuvole. Senza parlare Viviana gli fece posare la testa sul proprio grembo e cominciò ad accarezzargli i capelli. Lo fissava con quei suoi occhi ardenti, la fronte corrugata e le piccole labbra strette intorno a poche parole decise.

“Devi accettare, Jacopo, al tuo posto io non esiterei. Non capisci la tua fortuna? Tu non devi camminare con grazia, a occhi bassi per non apparire sfrontato, né perdere tempo ricamando un noioso e interminabile corredo. Sono stanca di non poter cavalcare, correre, strillare e giocare a mio piacimento perché sono una femmina.”

Jacopo rimase immobile, le grosse lacrime calde di Viviana gli scivolavano sul viso e non osava muoversi. Non l’aveva mai vista piangere e il suo dolore gli parve una cosa terribile, insopportabile. Le strinse e le accarezzò una mano, ma la bambina la sottrasse con l’impeto che lui conosceva.

“Sarà duro vivere separati per tanto tempo, ma se davvero mi vuoi bene, devi accettare. Io imparerò molte cose da te e avrò l’impressione di vivere una vita diversa. Mi capisci, Jacopo?”

Certo che capiva. Continuò ad annuire, anche dopo che lei se ne fu andata, con le trecce bionde che ondeggiavano sulla schiena. Viviana si fidava di lui, gli aveva rivelato la sua pena segreta e non l’avrebbe delusa, per nulla al mondo. Si alzò e tornò lentamente indietro, guardandosi attorno con l’attenzione viva della prossima partenza. Avrebbe voluto che tutto fosse già finito. Ma tutto che cosa? I preparativi per la cena gli parvero un rito e quando sedette, non riuscì a sostenere gli sguardi attenti che lo interrogavano.

“Padre, andrò a studiare al castello di messer Folco.”

“Bene, ero certo che avresti capito l’importanza di questa occasione. Partirai tra due settimane, hai ancora tutto il tempo che desideri per giocare e divertirti. Per Dio, si mangia o no, quest’oggi?”

Jacopo rimase annichilito sulla sedia. Suo padre non aveva nient’altro da dirgli? Due settimane per giocare, non per stare ancora insieme. Farfugliò una scusa e corse via. Entrato in camera si gettò sul letto a piangere, con il viso affondato nelle coltri e i pugni stretti. Non avevano sentito il bisogno di dirgli qualche parola affettuosa che gli raccontasse tutto il loro amore. Di nuovo desiderò che le due settimane passassero in un attimo, che quella fosse già la stanza sconosciuta al borgo di Sant’Erasmo. Cercò di opporsi alle mani che nella penombra lo spogliavano, ma la voce di Viviana lo tranquillizzò. “Stai fermo, sciocchino. Ti sei addormentato vestito. Ora resterò un po’ con te. Non devi piangere per causa loro, sono fatti così. La tua partenza li rattrista, ma non sanno dimostrarlo.”

“Non è vero. A loro non importa niente di me!”

Cantando sottovoce una vecchia nenia, Viviana scivolò accanto a lui sotto le coperte e lo strinse tra le braccia. Jacopo chiuse gli occhi e si addormentò pensando che presto non avrebbero più dormito abbracciati.


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