FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

UN TESORO DA SALVARE

I pericoli che ha corso - e che corre ancora - Villa Adriana,
uno dei più affascinanti complessi archeologici del pianeta

di Marco Testi



UN MISTERO TUTTO ITALIANO

G. ed io abbiamo sostato su l’erba di Tempe, tra le violette, in quel momento sacro dell’anno in cui tutto ricomincia, ad onta delle minacce che l’uomo dei nostri giorni fa pesare in ogni luogo su se stesso.1



Mai parole sono state tanto profetiche. Sono state scritte nel 1958 e riguardano uno dei monumenti più celebri (e ancora misteriosi) del mondo, che già allora era minacciato dagli effetti del “progresso”, perché, scrive poco più avanti la Yourcenar, “sono stati tagliati alcuni ulivi per far posto a un parcheggio indiscreto e ad un chiosco-bar tipo parco d’esposizione: cose che fanno del Pecile, della sua nobile solitudine una piazza della stazione”.2 La domanda che sembra riproporci ancora oggi la scrittrice è la seguente: quali sono i limiti che pone il cosiddetto progresso alla persistenza dei segni della storia?
Per quello che riguarda la sua amata Villa Adriana la riposta è assai complessa, sia per la natura del monumento, non ancora completamente scavato, sia per la situazione economica e culturale dell’Italia. A proposito dell’Italia e delle possibilità di investire sulle proprie ricchezze, alcuni esperti sono giustamente categorici: “Investiamo nelle nostre vocazioni che sono sei: il turismo, l’agroalimentare, i beni culturali e la cultura, il design e la moda, l’industria manifatturiera e di precisione, la logistica. Nei primi tre settori siamo potenzialmente i numeri uno, ma solo potenzialmente: Roma ha 10 milioni e mezzo di visitatori l’anno, ma Parigi ne ha 16 milioni, Londra 33 e ne ha 47 New York, che pure non ha la Cappella Sistina”.
Chi parla in un recente volume3 che consiglierei a tutti (al di là dei dati puramente quantitativi delle visite turistiche che di per sé non sono per forza di cose qualificanti), perché ci dà il polso della nostra situazione economica e civile, non è un ambientalista né un addetto al patrimonio culturale italiano. È Oscar Farinetti, un capace imprenditore, che si è inventato Eataly, sorta di supermercato di cibi di qualità, gradualmente diffusosi in tutto il mondo, oltre che amministratore delegato dell’azienda vinicola Fontanafredda. Uno che alcuni si aspetterebbero dall’altra parte della barricata, a fiancheggiare industriali e costruttori, in nome dei famoso “noi diamo lavoro e voi ci impedite di farlo, proteggendo ad oltranza pezzi di prato con l’alopecia e due mattoni vecchi e sbrecciati”. Essendo invece un imprenditore intelligente, sa che il nostro Paese partirebbe avvantaggiato (il lettore si accorgerà che il condizionale è fortemente d’obbligo da noi), avendo, gratis et amore Dei, dentro casa migliaia di ettari fatti di ville romane e rinascimentali, parchi naturali, intere città antiche e un panorama tra i più belli al mondo. Tivoli, i suoi dintorni e le sue cascate, per dirne una, sono stati un tempo il panorama più dipinto, dopo Roma, dagli artisti del Grand Tour.4
Se anche i politici ed altri imprenditori fossero stati altrettanto lungimiranti e intelligenti, oggi, in piena crisi economica, questo patrimonio ci avrebbe fatto molto comodo, perché, come abbiamo visto, patrimonio culturale vuol dire turismo e quindi guadagno per le casse dello stato, per le sovrintendenze, per i ristoratori, gli albergatori, le guide, insomma per un bel po’ di gente. Ovviamente avremmo dovuto valorizzarlo e soprattutto difenderlo. Dovremmo baciare la terra da dove emergono i ricordi della classicità e del medioevo e renderli fruibili ad un turismo intelligente e sostenibile. Se poi possediamo autentici tesori, famosi e invidiati da tutto il pianeta, allora dovremmo ringraziare commossi e darci da fare per curarli e salvarli dagli attacchi di tutti i tipi. Il problema è che da noi talvolta si fa esattamente il contrario, con uno spirito masochista davvero raro.
Si prenda il caso Villa Adriana. Il 24 giugno è iniziata a Pietroburgo una importante riunione dell’Unesco che prenderà una definitiva posizione su uno dei grandi misteri italiani, quello appunto della villa adrianea, un sito archeologico di primaria importanza a livello mondiale, che rischia di essere cancellato dalla prestigiosa lista dei Beni dell’umanità stilata proprio dall’Unesco. Anzi, rischia di diventare invisibile, come vedremo. Perché invece di essere protetta come tesoro iscritto al prestigioso elenco dei Beni dell’umanità, la creazione di Elio Adriano è puntualmente presa di mira da progetti (non solo privati, ma anche politici e pubblici) che la affosserebbero, e non solo in senso lato. Con danni irrisarcibili per la cultura mondiale e per il nostro Paese, anche dal punto di vista economico e turistico.
Per tentare di capire il danno che la riuscita di alcune “strategie” (usiamo questo eufemismo) arrecherebbe alla Villa, dobbiamo fare qualche passo indietro nella storia recente di un monumento che il mondo ci invidia e che noi invece cerchiamo di nascondere o peggio insidiare ad ogni piè sospinto. Vediamo perché la “Villa” (in realtà non lo è, almeno nel senso corrente del termine) è così importante e così difficile da circoscrivere, ancora oggi, entro precisi confini.


UN FASCINO SENZA TEMPO

Villa Adriana rappresenta da sempre un serbatoio materiale e simbolico per la cultura – letteratura compresa – occidentale e non solo d’occidente, perché, come vedremo, al suo interno è possibile rintracciare una forte tendenza egittizzante. Questa complessa costruzione del secondo secolo ha, nel corso del tempo, stimolato l’immaginario non solo degli addetti ai lavori, ma anche di poeti, scrittori, architetti, viaggiatori. Abbiamo già incontrato le Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar, in cui il presente della scrittrice si fonde con il passato di Adriano, diventando, più che un romanzo storico, la proiezione della sensibilità novecentesca sulla superficie simbolica del culto per la classicità. Presentandoci, a dirla tutta, un uomo molto, troppo moderno, rispetto a quello che è davvero stato. Ma questi sono gli affascinanti transfert della letteratura. Il che è pur sempre prova della persistenza del fascino della villa nei millenni.
Talvolta però è la Villa stessa a porsi come protagonista, senza mediazioni narrative, poetiche o pittoriche, restituendo – grazie ad alcuni archeologi – alla nostra attenzione veri e propri pezzi di storia, che risalgono dalle profondità dei millenni, in modo talvolta inaspettato, come nel caso della sfinge e della scalinata, scoperti nel febbraio 2006 dall’archeologo Zaccaria Mari, in seguito ad un sovvenzionamento non solo finalizzato agli scavi, ma anche al restauro e alla valorizzazione della zona; comprendeva infatti un piano di percorsi turistici con aree di verde e di sosta, che aumenterebbe in questo modo di circa il trenta per cento l’area fino ad oggi visitabile. È una delle tante aree ancora “segrete” di un progetto architettonico unico al mondo, e che oggi è costantemente minacciato dalle progettazioni di discariche (evento che, come vedremo, è stata scongiurato) e da un progetto, il cosiddetto “Nathan” che formerebbe una quinta di cemento davanti al capolavoro adrianeo.
Perché il problema non è solo quello di una aggressione edilizia che verrebbe perpetrata a poche centinaia di metri dalla villa, ma consiste nella ancora non completa identificazione del perimetro. È come se il complesso fosse ancora “mobile”, portatore di sorprese, come questa di cui stiamo parlando, e come quella del mausoleo-tempio di Antinoo, sulla cui esistenza scommettevano in pochi. Se avessimo dato retta ai tanti realisti a tutti i costi sparsi per il mondo, che probabilmente non conoscono bene la visione del mondo dell’imperatore e la cocciutaggine di alcuni archeologi, avremmo dovuto accontentarci di poco, rispetto a quello che è uscito fuori recentemente e a ciò che deve ancora apparire ai nostri occhi. Sempre che non vinca l’irrazionalità: siamo in un Paese in piena recessione economica che dovrebbe ricominciare da ciò che ha per gentile regalo degli dei – a voler entrare per un attimo nel punto di vista del secondo secolo –, in grado di costituire un notevole indotto economico, un Paese che però lascia carta bianca alla strategia di penalizzazione di queste presenze sul nostro territorio.


ANCORA SCOPERTE

Dicevamo della possibilità che la “villa” sia molto più estesa di quanto comunemente si pensi: la scalinata recentemente scoperta, larga più di otto metri, suddivisa in due rampe e con due colonne sulla sommità, presenta una porta con un pavimento di marmo; anche la grande sfinge (oltre due metri e mezzo di lunghezza) scoperta nel medesimo scavo è di marmo. È la testimonianza che quella zona è ancora da studiare – e scavare – bene (e questo dovrebbe mettere in guardia dal costruire nei pressi della zona di rispetto, perché sappiamo ancora poco di confini e limiti): fu chiamata Palestra da Pirro Ligorio, l’esperto d’arte e di antichità che progettò per Ippolito II d’Este la Villa estense a Tivoli, perché qui erano stati ritrovati tre busti di marmo rosso, ritenuti in un primo momento atleti; dalla qualità raffinata dei marmi policromi rinvenuti recentemente, si è però intuito che probabilmente questa non era una palestra. Anche perché gli scavi, che hanno tra l’altro portato alla ripulitura di due aule monumentali, hanno investito un’area prossima al Teatro Greco, dove sono stati ritrovati una maschera tragica in marmo e un torso di statua clamidata. Il ritrovamento della sfinge pone di nuovo interrogativi importanti, ed è probabilmente la conferma di quanti vedono nella sua presenza la conferma della tendenza egittizzante all’interno del progetto della villa stessa. Molti reperti, infatti, – ad esempio un busto colorato di Iside, parte di una fontana monumentale – potrebbero non essere ricostruzioni di epoca ellenistica, ma risalire all’età di Ramses II.
L’intero complesso ora appare come uno spazio formato da sette edifici a stretto contatto che occupano un’area di 200 metri per duecento, con due zone scoperte, quelle stesse che fecero immaginare a Pirro Ligorio la presenza di un’area per esercizi ginnici. La zona è probabilmente un’area di rappresentanza e di residenza del seguito imperiale, fortemente informata di cultura egizia, anche perché il favorito di Adriano, Antinoo, era scomparso, per cause ancora oggi misteriose (tra poco le affronteremo), nelle acque del Nilo.
Stiamo parlando del favorito imperiale: ebbene, la vera sorpresa per tutti, compresi gli addetti ai lavori – non per l’archeologo Mari – è stata quella del recente ritrovamento di uno dei miti della Villa, che, come tutti i miti, secondo alcuni non avrebbe dovuto esistere (secondo altri non avrebbe dovuto trovarsi lì), ma rappresentare una proiezione della sensibilità moderna favorita dalla lettura della Yourcenar: il mausoleo di Antinoo. Era ormai considerato una pagana utopia dopo gli insuccessi degli scavi tedeschi e danesi, tant’è vero che l’area in cui si trova ha rischiato di essere sistemata a prato, ma alla fine chi lo considerava una realtà storica ha avuto ragione: si trovava presso la strada lastricata che porta al grande vestibolo, l’ingresso monumentale della Villa. Sono rimaste le basi dei muri perimetrali che ci suggeriscono lo sviluppo dell’antica struttura: un recinto rettangolare di 63 metri per 23 che comprendeva due templi anch’essi rettangolari ai lati di un’esedra semicircolare. Lungo il muro principale erano poste statue, anche queste egittizzanti (il che manifesta una straordinaria saldatura culturale in una fase di tardo ellenismo tra oriente e occidente), come il frammento di una statua originale di Ramses II.
Il corpo di Antinoo però non riposa qui. Non fece in tempo a iniziare quell’ultimo viaggio a causa della morte dell’imperatore e rimase in Egitto, nella città a lui consacrata perché nel frattempo, nonostante l’opposizione dei senatori più tradizionalisti, Adriano era riuscito a farlo accogliere nel pantheon romano. A dire il vero rimangono intatti a tutt’oggi i sospetti sulla sua scomparsa: volontario sacrificio propiziatorio per chiedere agli dei la salute di un imperatore già minato dalla malattia? Incidente? O azione pianificata dal conservatore senato romano che mal tollerava la scandalosa veste ufficiale che era stata conferita alla relazione tra l’imperatore e il suo favorito?
Ma i dintorni della Villa nascondono altre importanti sorprese, visto che sono ancora da scavare, anche perché alcuni si trovano in proprietà private. E abbiamo parlato solo delle scoperte degli anni a noi vicini. Se dovessimo andare indietro nel tempo dovremmo occupare ben altri spazi sulla pagina. Dovremmo allora parlare di quei monumenti appartenenti alla storia ufficiale della villa, anzi, quelli che finora hanno fatto la sua storia, quelli familiari ai viaggiatori d’occidente (e anche d’oriente), come il Pecile, richiamo piuttosto “abbondante” (vi avevo avvisati della strategia basata sulla reinvenzione dominante nella villa) della Stoà poikile di Atene, o quell’ulteriore richiamo all’Egitto che è il Canopo, allusione al serapeo nilotico presso Alessandria e insieme tributo alla Grecia classica, le piccole e grandi Terme, dove i moduli architettonici subiscono deformazioni piuttosto ardite, il cosiddetto Teatro marittimo, con la attigua sala c.d. dei filosofi, per non dimenticare le biblioteche, e i ninfei, la Piazza d’oro, ed il teatro greco. Perché poi ci sarebbe ciò che non è ancora villa ufficiale d’oggi, come la zona dell’Accademia, dove alcuni cercavano il palazzo imperiale vero e proprio.
Il fascino della villa sta anche nel mistero dei suoi confini, mistero alimentato dalla celebre pianta del Piranesi, di quella che abbiamo chiamato la sua mobilità, la sua capacità di riaffiorare in zone un tempo impensabili.
È per questo che costruire 180.000 metri cubi – come realizzare una discarica – nei pressi di uno dei più importanti monumenti del mondo è inconcepibile, sia perché potrebbe cancellare una parte del monumento, sia perché ciò accade in un Paese che potrebbe uscire dalla grande crisi anche e soprattutto sfruttando i propri beni archeologici e artistici.


TRA UN PERICOLO E L’ALTRO

Ma intanto uno dei pericoli che incombevano sulla villa è stato recentemente rimosso. Il 25 maggio è stato infatti un giorno fausto per i difensori di Villa Adriana, minacciata dal progetto di una discarica di Corcolle, non lontano dall’area della villa. Il Consiglio dei ministri ha infatti deciso in quella data che la discarica non si farà. Un bel colpo di scena, perché mentre i ministri Ornaghi e Clini, praticamente isolati, si erano detti contrari alla creazione della discarica, la Presidenza del Consiglio ed il commissario di governo, che si è poi dimesso dall’incarico, erano a favore. Alcuni giornali avevano già annunziato la fine della storia (che sarebbe stata l’inizio della fine per la Villa, per lo meno per la Villa vera, per il suo progetto originario e la sua vera fruizione) ed erano pronti ad uscire con una prima pagina in cui la ragione (sic) politica trionfava sulle ragioni della storia e, diciamocelo, anche dell’economia del Paese, perché il turismo rappresenterebbe – il condizionale è d’obbligo – un tassello importante per le casse di una nazione come la nostra.
Morale della prima parte della favola, a due chilometri e mezzo dalla Villa e a settecento metri dalla sua zona di rispetto non verranno stipati i rifiuti della capitale.
Ma c’è anche una seconda parte della storia contemporanea di Villa Adriana. Altri minacciosi nuvoloni si stanno addensando sul gioiello adrianeo, soprattutto quello del vecchio problema “Nathan”, il piano di lottizzazione che prevede l’edificazione di complessivi 180.000 metri cubi di cemento nelle vicinanze dalla Villa, approvato definitivamente dall’amministrazione comunale di Tivoli il 6 dicembre 2011. Il che è in contrasto con alcune deliberazioni e pareri: il dispositivo della Regione Lazio che aveva classificato nel 2007 quella medesima area come “paesaggio naturale”, o il decreto ministeriale del giugno 2001 che ha posto in questa zona il vincolo paesaggistico di natura archeologica. Inoltre l’Autorità di Bacino del Tevere aveva già classificato quel medesimo territorio come area di massimo rischio idraulico, il che significherebbe assoluta inedificabilità, vista la ricorrenza delle alluvioni causate dal fiume Aniene a partire da un’altra importante area, il complesso Ponte Lucano-Tomba dei Plauzi. Questa zona è stata già messa in crisi dalla realizzazione dell’inquietante muro di Ponte Lucano, che avrebbe dovuto salvaguardare il sepolcro e che invece ha peggiorato la situazione con l’isolamento (anche alla vista) del monumento e l’amplificazione della portata dell’invaso idrico.
Il problema è stato acuito dal fatto che il Consiglio di Stato, in data 26 aprile 2008, ha emesso una sentenza, la 2316, che è stata letta come autorizzazione a costruire, anche se da molte parti veniva interpretata in modo diverso. La sentenza in realtà faceva notare come il comune di Tivoli non avesse concluso il procedimento dopo la revoca delle licenze: “Il comune, in presenza di una lottizzazione approvata non poteva restare inerte, si legge nel dispositivo, ma avrebbe dovuto o annullare o revocare la lottizzazione approvata, ove non fosse possibile recepire le prescrizioni (…) ovvero apporre le prescrizioni in sede di rilascio delle licenze edilizie che, in presenza di una lottizzazione approvata, non poteva rifiutare, sempre che in tal modo non fosse possibile il recepimento. L’amministrazione però ciò non ha fatto per cui l’appello (quello dei costruttori, ndr) va necessariamente accolto”.
Il comune di Tivoli ha allora ha firmato un accordo in cui in cambio del ritiro da parte dei costruttori della richiesta di danni per decine di milioni di euro per la mancata realizzazione, si impegnava a dare il via libera ad una nuova lottizzazione Nathan.
La storia viene da lontano: le precedenti amministrazioni tiburtine non si sono mai curate di annullare del tutto le licenze di costruzione creando i presupposti della sentenza su esposta. Che però riguardava il vecchio progetto e attaccava l’incongruità della posizione del Comune.
Si diceva dell’Unesco, che aveva iscritto la villa nel patrimonio dell’umanità: il 5 gennaio 2012 il Direttore del World Heritage Center dell’Unesco ha inviato una missiva all’Ambasciatore Serra, capo della delegazione Permanente Italiana preso quella associazione internazionale, esprimendo preoccupazione per l’approvazione da parte del Comune di Tivoli della lottizzazione che interessa, come abbiamo visto, l’area di rispetto stabilita con un accordo internazionale tra la Repubblica Italiana e l’Unesco per proteggere l’area Archeologica di Villa Adriana, proprio in seguito all’iscrizione della Villa nella prestigiosa lista. Si è mosso anche il Segretariato Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che, in data 16 Febbraio 2012 ha inviato una nota al Comune di Tivoli per chiedere informazioni sulla Nathan, facendo notare che eludere le richiese Unesco significherebbe mettere in pericolo il riconoscimento di Villa Adriana quale sito del patrimonio mondiale Unesco. Se vogliamo parlare di avvertimenti, sarà allora necessario ricordare il comunicato che il Presidente della Commissione Italiana per l’Unesco, Puglisi, ha scritto al Sindaco di Tivoli in data 16 Febbraio 2012 paventando una meno auspicabile iscrizione della Villa, quella all’ordine del giorno della sessione di Pietroburgo del Comitato del Patrimonio Mondiale Unesco, il che significherebbe la sua possibile cancellazione dall’elenco. È stata una autentica profezia. Perché è la verità che il procedimento di iscrizione del sito nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco, preveda che quella zona funga da area di rispetto. Per questo la Villa è purtroppo uno dei punti critici in esame nella riunione dell’Unesco di Pietroburgo. Sulla decisione di declassare o cancellare Villa Adriana dall’elenco potrebbe influire anche il degrado del monumento stesso, in gran parte privo di manutenzione e transennato. Degrado peraltro più volte denunciato sulla stampa anche dall’archeologo Carandini, consigliere del ministro; solo in tempi recentissimi si è visto uno stanziamento di quattro milioni di euro destinati al recupero degli edifici della Villa con problemi di stabilità.
La regione ha dato parere affermativo alla decisione del Comune di Tivoli, pur apponendo dei vincoli, senza tener conto che questo apporterebbe i medesimi problemi paventati se si fosse realizzata la discarica di Corcolle. E siamo per ora in attesa di sapere cosa ha deciso l’Unesco.


INQUIETANTI DOMANDE

Il fatto che questo monumento di importanza incalcolabile sia costantemente minacciato, ci fa porre un’inquietante domanda: la crisi economica ci impone o no la necessità di trovare modalità di crescita e di ricerca di indotti in grado di sostenere un Paese potenzialmente leader nel settore turistico? Se la ragione indurrebbe (ricordiamoci che qui il condizionale è eternamente obbligatorio) ad una risposta affermativa, perché molti politici e membri del Governo hanno fino alla fine sostenuto la linea della discarica a Corcolle, nonostante gli appelli internazionali, rischiando di vanificare gli sforzi per recuperare una credibilità culturale in campo mondiale?
Perché si sono mostrati favorevoli alla potenziale distruzione di una grande fonte di attività turistica e produttiva, oltre che patrimonio dell’umanità, vale a dire esempio di bellezza al di là dello spazio e del tempo?
Il “turismo” culturale che ha interessato Tivoli e Villa Adriana snocciola nomi di immenso prestigio, tutti divenuti preda della fascinazione del Genius Loci, direbbe Vernon Lee (pseudonimo di Violet Page, 1856-1935, che ci ha lasciato un singolare volume di ricordi di viaggio proprio con quel titolo,5): Michelangelo6 e Roesler Franz,7 Stendhal e Gregorovius, e Goethe,8 e Ungaretti, se vogliamo lasciare in fondo le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, che più delle altre ha contribuito a tener desto l’interesse per un monumento che il mondo ci invidia e che noi vorremmo nascondere tra discariche e scogliere di cemento.
Che le istituzioni di un Paese in cui il turismo dovrebbe farla da leone, accettino o favoriscano questo stato di assedio, rappresenta un giallo che tra qualche secolo appassionerà ancora gli storici, come appassiona oggi chi difende le ragioni della civiltà, e, diciamocela tutta, di un’economia più fiorente grazie ad una amministrazione saggia di un patrimonio unico al mondo.

(Le immagini nel testo sono del 2006 e si riferiscono agli ultimi scavi)





1Marguerite Yourcenar, “Taccuino d’appunti”, in Memorie di Adriano, Einaudi, 2002. La sigla iniziale “G.” è nel testo originale.

2Ivi, p.269.

3AA. VV., Lezioni di cittadinanza, Edizioni GruppoAbele, 2012.

4Per uno studio iconologico sulla questione, cfr. Marco Testi, Una città come mito (ed. inglese A Town as a myth), Chicca, 2000. Per un’analisi limitata all’Ottocento vedi il precedente Tivoli e la sua campagna nella pittura dell’Ottocento, Chicca, 1985.

5Vernon Lee, Genius loci, Sellerio, 2007.

6Per uno studio - e la relativa riproduzione - di Michelangelo a Tivoli si veda Una città come mito, op. cit, p.22.

7Cfr. M. Testi, Tivoli negli acquarelli di E. R. Franz, Ferrante tip., 1982; Carlo Bernoni, Renato Mammucari, Marco Testi, E. R. Franz ed i pittori dell’Ottocento a Tivoli, Veliternagrafica, 1995; M. Testi, E. R. Franz, un vedutista di fine Ottocento a Tivoli e nel Lazio, De Luca, 2004.

8Per questo vedi il paragrafo “Goethe” in Una città come mito, cit., pp.67-70.


testi.marco@alice.it