FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

LA PITTRICE E LO SCIAMANO

Un volume sull’artista Nina Batalli (1913-1993) rivela particolari della storia culturale di un’Europa in cui si incontravano tradizione e modernità

di Marco Testi



Chi desiderasse approfondire gli sviluppi della cultura pittorica europea dagli anni Trenta ad oggi, e constatare i profondi rapporti tra arti visive, letteratura, filosofia e altre discipline non solo umanistiche (si pensi ai collegamenti anche indiretti delle scienze umane con la fisica quantistica sviluppatisi ai primi del Novecento1) dovrebbe leggere questo Nina Batalli, una pittrice tra Romania e Italia. Il volume, curato da Claudia Zaccagnini e realizzato grazie al contributo dell’Istituto Culturale Romeno di Bucarest, ha il merito di recuperare un pezzo di storia della cultura (sarebbe ora che questa branca dell’umanistica trovasse il suo posto tra le discipline accademiche anche da noi), che ha visto protagonista un’artista nata nel 1913 in Romania e poi trasferitosi in Italia nel 1948.

I destini della pittrice si incrociano con quelli di altri romeni che hanno avuto un peso nella cultura del Novecento, soprattutto Mircea Eliade. La Batalli possiede una sua precisa poetica pittorica che, come vedremo tra poco, trova i suoi punti di eccellenza nella ritrattistica e nella natura morta, ma sono ancora pochi quelli che la conoscono; però i lettori del grande storico delle religioni ricorderanno la copertina del Giornale di Eliade (Boringhieri, Torino 1974) in cui lo studioso, con la sua inseparabile pipa, è ritratto nell’atto di scrivere proprio dalla Batalli; in effetti Eliade, anche lui profugo per motivi politici dalla Romania comunista, andava a trovare la pittrice ogni volta che tornava nel nostro Paese. Anche la moglie di Eliade, Christinel Cottescu, era stata effigiata nel 1949 in un ritratto ad olio, che potrebbe essere una delle icone più rappresentative delle intenzioni figurative della Batalli: l’espressione prende il centro semantico dell’opera, non c’è null’altro che possa interessare ed emergere dal fondo del quadro; le geometrie delle linee sono rivelate, ma la definizione delle forme non impedisce all’opera di rilevare il senso recondito dell’esistenza, vincendo sul caos del non senso e sui rischi del mimetismo scolastico. La Batalli sta andando già oltre, e l’oltre (si intenda con questo termine la ricerca metafisica – in senso lato – di soluzioni che esprimano il segreto delle cose), come vedremo, la accomuna ad altri suoi connazionali.



Ritratto di Christinel Cottescu, olio su tela, 1949


La pittrice e lo sciamano: sarebbe un buon titolo per un libro che riportasse le conversazioni italiane non solo tra i due: le loro strade si intersecheranno con quelle di altri personaggi della cultura del periodo, da Giovanni Omiccioli a Fausto Pirandello, da Cipriano Efisio Oppo a Marino Piazzolla, e poi Mario Luzi, Giulio Turcato, e Nicola Ciarletta, docente di Filosofia Morale e critico, che la sposò nel 1964.2
Anni intensi, dunque, che verrebbe da mettere nel coevo calderone di quella nostrana variante della belle époque chiamata dolce vita, se non che l’ombra del numinoso nascosta nel fumo della pipa dell’indagatore dei segreti misterici e tantrici ci frena un po’. C’è qualcosa di questa ricerca dell’oltre, del mistero dell’esistenza che rimane nella pittura della compagna d’esilio di Eliade?

A dire il vero, quando si parla di arte, quella seria, si intende comunque ricerca inesausta di altro che non la semplice mimesi oggettuale, e perciò la domanda potrebbe risultare in apparenza tautologica. E allora dovremo chiederci se quella ricerca delle radici nelle e oltre le tradizioni che non fu solo di Eliade ma di altri studiosi e artisti, alcuni dei quali confluirono, una volta in esilio, nella Società Accademica Romena, ha lasciato dei marcatori capaci di denunciare una parentela generazionale e insieme ideologica latu sensu. Perché quel gruppo costituito lontano dalla patria (ri)metteva insieme studiosi ed artisti affascinati dalla tradizione e dalle radici, che anche per questo vennero accusati dal regime filo-sovietico di simpatie fasciste (e in effetti, alcuni di loro fiancheggiarono la dittatura di destra che prese il potere in Romania) e costretti all’esodo.

Nei palazzi della Bucarest della modernità si annidavano personaggi che tentavano il recupero di una cultura originaria che tenesse insieme il divino e il governo della città, di una lingua antica madre delle divisioni posteriori. Eliade trovò la sua via nello studio del sanscrito, nella ricerca della saggezza arcaica e dello yoga, altri si accontentarono, si fa per dire, della gestione del presente culturale, nel senso di una strada artistica che in quegli anni doveva tener conto della modernità che in quel momento si chiamava impressionismo, dadaismo, surrealismo.

La Batalli affronta le sue prime prove in questo humus geografico, limen tra occidente ed oriente, soglia in cui scontro e incontro fanno parte di una medesima sostanza radicale. Già nel Ritratto di turco, un olio su cartone, del 1934 è possibile cogliere, anche se in una prova scolastica e di stampo senza dubbio tradizionale, la coscienza di far parte di un mondo-cerniera tra est e ovest, non solo in termini geografici. Qualche anno dopo, un Ritratto di uomo con baffi, olio stavolta su tela, ci mostra una strada – ancora in salita –, ma finalmente una strada che guida attraverso le difficoltà dell’individuazione del sé creativo, con quella affermazione dei piani definiti dalla geometria ovalizzante, del segno fisso e frontale, nell’abbandono dell’imitazione in favore di qualcosa che si cela dietro il visibile.
Il Ritratto di Alessandro Cosmovici – che si trova ora a Roma – è una dichiarazione di ulteriore indagine sulle possibilità del colore di creare sfumature cromatiche all’interno delle consuete linee verticali che suggeriscano e alludano ad una tradizione arcaica, che rimanda inconsciamente ad una delle radici plastiche e figurative: la statuaria dorica. Al contrario di quel Sulla spiaggia, che mostra un uomo e una donna nudi di spalle, in cui il magistero della modernità e del post-impressionismo permettono lo sfumare dei particolari verso l’essenza e il mistero delle presenze nello spazio.



Sulla spiaggia, olio su cartone, 1946


Nell’Autoritratto del 1956, gli anni dell’incontro con le scuole romane e di via Margutta, si è già ad un punto d’arrivo, che in genere è, in arte, anche un nuovo punto di inizio: le linee essenziali dettano lo spazio e esprimono ciò che giace dietro, l’indicibile se non con il dono della pittura. E lo spazio, inteso non solo come vuoto da riempire di cose, ma come segreto continuum emerge finalmente nel 1971 nella Natura morta, un pastello ad olio su tela, che segna il passaggio tra espressione della natura vivente ed enigma delle cose. La contiguità dell’Europa surrealista, prima ancora dei tòpoi classici della natura morta, delle domande inquietanti dei Bontempelli, dei Pirandello – si intendano il padre in letteratura e il figlio Fausto in pittura – e dei Savinio è evidente: il centro focale è il linguaggio delle cose, la loro enigmatica persistenza nel silenzio delle stanze in absentia dell’uomo.
Sempre negli anni Settanta appare una notevole Natura morta con teiera, un olio su tela che è una affermazione poematica precisa, la scelta di una strada che sembrava aver già detto tutto e che invece continua a svelare le epifanie dell’apparentemente inanimato. Una poetica matura che è sintetizzata dalla spoliazione e dalla sintesi radicale dei Tulipani del 1977, in cui l’oggetto si afferma in virtù dell’essenza còlta dall’arte e non dai particolari inutili e dannosi all’arte stessa.



Natura morta con teiera, olio su tela, 1971


Molte altre opere di ampio respiro e di sicura padronanza tecnica e poetica sono presenti nel volume, arricchito da un corredo iconografico davvero di prim’ordine: a parte le foto in cui lo sciamano è colto sorridente in una tranquilla e occidentalissima cena con amici in un ristorante romano, appare la riproduzione del ritratto che l’artista fece ad Alcide De Gasperi nel 1951; qui si coglie la capacità di arrivare al barthesiano punctum – l’essenza radicale – con sicuri e coraggiosi segni, senza incertezze, con la convinzione che i particolari essenziali non fanno una somma del tutto: a quella dimensione finale deve contribuire qualcosa che non è calcolabile, sommabile, sottraibile e che è il segnale di quella profonda ricerca dell’oltre non solo di coloro che aspiravano all’unità pre-logica, ma di una parte dell’Europa che tentava sortite audaci oltre l’oggettivismo naturalistico. Sconfinavano in partibus infidelium – secondo gli ortodossi del sociologismo determinista – dove la tradizione era non il punto d’arrivo, ma il luogo originario da cui partire, talvolta con nostalgia e rimpianto delle patrie perdute.



Ritratto (disegno) di Alcide De Gasperi, 1951



1Per il discorso sulle interferenze tra scienza nuova quantistica, arte e letteratura, soprattutto sulla questione della definibilità della realtà “esterna” nell’espressionismo letterario e nel cubismo, oltre che sulla questione dello spazio letterario, sono costretto a rimandare al mio volume Altri piani, altre valli, altre montagne (Lecce, Pensa Multimedia, 2006, con 42 tavole in appendice) in cui tra l’altro vengono messi in luce i legami tra arti visive e letteratura nel primo ventennio del Novecento.

2La vitalità della cultura romena in Europa e in Italia in quegli anni è testimoniata, in sede pittorica, anche dalla presenza nel nostro Paese di Virginia Tomescu (1886-1950), esponente di un Liberty variegato e risolto nel paesaggismo, come la Batalli giunta alla maturazione in Italia. Per questo cfr. M. Testi, Virgina Tomescu Scrocco, catalogo della mostra del 1990 a Villa d’Este, Tivoli, s.e. 1990.


Nina Batalli (1913-1993). Una pittrice tra Romania e Italia, a cura di Claudia Zaccagnini, Pacini Editore, 2012, 190 pagine, 30 euro




Nina Batalli (1913–1993)
dopo la laurea in lettere studia pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bucarest ed espone, per la prima volta, al “Salone Ufficiale di Primavera”. Nel 1939 sposa l’ingegnere Alexandru Cosmovici.
È del 1940 la prima mostra personale all’Ateneo di Bucarest e poi nel 1946, anno in cui riceve il Premio del Salone Ufficiale. Nel 1948 si stabilisce in Italia e nel 1949 espone a Napoli. Appartiene a questo periodo il più noto ritratto di Mircea Eliade alla cui famiglia l’artista era legata da molti anni. Nel 1951 espone alla Medusa, nel 1954 da Chiurazzi e nel 1955 alla Galleria del Vantaggio, sempre a Roma. Risale al 1956 una personale alla Galleria San Carlo di Napoli, mentre nel 1958, 1962 e 1968 espone presso la Galleria Russo di Piazza di Spagna, quindi all’Anthea e di nuovo alla Russo. Probabilmente la mostra più importante è quella romana del 1975, al Centro D’Arte La Barcaccia. Nel catalogo vi sono testi critici di Mario Luzi, Giorgio Prosperi e Marino Piazzolla.
Nella casa romana c’era un continuo via-vai di artisti e scrittori romeni e italiani. Risposata a Nicola Ciarletta, saggista e professore di filosofia, ospitava personalità come Giorgio e Mario Prosperi, Maria Luisa Angiolillo, Giovanni Omiccioli, Monachesi, mentre fra i celebri romeni che formavano l’atmosfera culturale di quell'epoca ricordiamo: Mircea e Christinel Eliade, lo scrittore Stefan Banulescu (da lei ritratto), il direttore d’orchestra Ionel Perlea, Ana Blandiana e Romulus Rusan, Ion e Ariana Nicodim, Maria e Constatin Blendea, Anton Eberwein. Nina Batalli è evocata sia nelle Memorie di Mircea Eliade sia nel Diario di Monica Lovinescu. Ha partecipato in Italia alle Quadriennali, a tutte le Biennali del Lazio e a molte rassegne nazionali. Ha partecipato all’estero in collettive in Spagna, Olanda, Germania, Inghilterra, Francia e Svizzera.


testi.marco@alice.it