FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

GABRIELE SANTONI, AUT AUT

di Graziano Lanzidei



“Take it easy” è una canzone degli Eagles. Ed è anche un’espressione tornata di gran moda. Forse perché son tornati di moda gli anni ’70 e tutto ciò che c’era, di bello e di brutto. Negli ultimi mesi l’avrò sentita ripetere decine di volte, nei contesti più diversi. È un invito o, meglio ancora, si tratta d’un consiglio. È un modello di vita. Easy, appunto. Facile e senza troppi patemi d’animo. Arrivato a pagina 173, e chiuso il libro d’esordio di Gabriele Santoni – Aut Aut, edito dalla Giulio Perrone Editore – m’è venuta in mente proprio questo ennesimo prestito linguistico. Perché il protagonista, Matteo Lombardi, sono convinto che non ci si rispecchi, così come non riesco a rispecchiarmici io. D’altronde la lingua è una cosa seria, e se in italiano esiste una traduzione approssimativa come ‘prendila alla leggera’, la vita o qualunque altra cosa, è perché probabilmente la nostra cultura non si è evoluta per migliaia di anni, non è passata attraverso tutti i meandri del pensiero umano, perché tutto si riduca ad un semplicissimo ‘non pensarci’. Matteo ci pensa eccome, a tutto, ad ogni più piccolo aspetto della vita quotidiana: dal lavoro che ha e a quello che potrebbe avere, alla ragazza che s’è invaghita di lui, dall’amico Enrico, pragmatico e istrionico assessore del Comune, alla famiglia che, nonostante tutto, rimane un punto di riferimento certo anche in mezzo alla tempesta. Immergendosi nel flusso incontrollato e caotico del mondo reale, Matteo riflette perché cerca degli approdi certi, dei punti fissi da tenere come riferimento. Senza quelli, ne è sicuro e lo ripete in più di un’occasione, è convinto di perdersi, di andare alla deriva, di farsi travolgere dalle situazioni.

Aut Aut è un romanzo decisamente controcorrente nel panorama letterario. Controcorrente come sono stati, sono e saranno i romanzi di Antonio Pennacchi. Perché raccontano la vita per quel che è, senza sconti o illusioni ottiche. Santoni non parla dei lavoratori ma gli dà voce, non descrive i giovani di oggi ma li fa vivere e sentire e scopare e vomitare e bere, non si abbandona ai soliti luoghi comuni sul lavoro precario e il lavoro fisso, ma descrive il meccanismo sotto cui il giovane Matteo rischia di essere travolto. Aut Aut, per essere controcorrente, non è nemmeno il solito romanzo buonista, dispensatore di speranze a buon mercato e di soluzioni. Perché l’autore sa bene che la via d’uscita, la vita easy, molto spesso è lì a due passi. Basterebbe allungarsi per afferrarla. È easy il suo amico Enrico, che riesce a far convivere la vita pubblica e piena di responsabilità con la voglia di divertirsi e di fare cazzate, è easy Silvia, l’avvenentissima compagna d’avventure dell’assessore, la cui unica preoccupazione è quella di piacere alla gente che piace e che, magari, ha anche un po’ di potere. È easy a suo modo anche Elisa, la ragazza che Matteo rifiuta di baciare, e che non rinuncia alla sua conquista perché invaghita.

Potrebbe sembrare strano che, dopo aver letto un romanzo dal titolo Aut Aut, mi siano venuti in mente gli Eagles e non abbia pensato, invece, all’ingombrante paragone con Kirkegaard e la sua omonima opera. In parte forse è dipeso dal fatto che l’autore, spesso, ha rifiutato questa associazione – d’idee e di opere – perché troppo impegnativa. E l’ha fatto in presentazioni, interviste e articoli. È la prima cosa che dice: "so che il titolo fa venire in mente Kirkegaard ma giuro che non c’entra niente." In parte forse perché appena finisco di leggere un romanzo, non razionalizzo immediatamente con paragoni, richiami e citazioni. Le associazioni mentali che vengono fuori arrivano tutte dalle sensazioni che ho provato, dalle identificazioni che ho immaginato. Dalla mia sfera interiore, insomma.
A pensarci bene però, il paragone con Kirkegaard – fatte le debite proporzioni, perché Santoni non ha la minima intenzione di scrivere un saggio di filosofia, il suo è un romanzo a tutto tondo – il paragone con Kirkegaard, dicevo, non è poi così campato in aria. D’altronde che l’aut aut sia una realtà nella vita di tantissimi di noi, soprattutto in un momento del genere, è un fatto assodato. Il filosofo danese, certo, aveva modelli di vita ideali. L’Enten-Eller diventa un excursus tra l’edonismo, la ricerca continua del piacere, e il dovere etico.

Nel caso di Santoni c’è da un lato la via del ‘take it easy’ – con tutte le tentazioni che ne derivano, perché vivere easy, prima non l’ho scritto, è piacevole, dà soddisfazione, crea molti meno problemi – e quella del proprio essere, delle proprie idee, della propria personalissima storia. Da un lato una via lastricata d’oro che magari porta verso il nulla (o magari no) e dall’altra la via tortuosa del tener fede a se stessi, compreso tutto ciò che siamo stati e che ci ha reso ciò che siamo adesso – sarà lo spirito di Kirkegaard, che si rigira nella tomba proprio in questo istante, che m’ha fatto scrivere una frase come l’ultima –.
Aut Aut è anche un romanzo scritto molto bene. Nonostante il poco tempo che Santoni ha avuto a disposizione per terminare una storia che covava dentro da chissà quanto. Siamo coetanei ed è scattato in me il meccanismo di identificazione in molte delle situazioni descritte. Magari perché luoghi – l’Università o il call center –, politica ed epoca sono molto simili a quelli che ho vissuto anch’io. Ma anche perché Gabriele ha una capacità descrittiva molto efficace, che evoca profumi, rumori e visioni che ti fanno subito calare nella realtà che ti mette di fronte. Le prime pagine, quelle dell’università e dell’omicidio di Marta Russo, m’hanno fatto rivivere gli anni in cui frequentavo giurisprudenza, i giorni precedenti e successivi all’omicidio. La calca, i professori, i colleghi studenti.

Ultima e chiudo la recensione, giuro. L’unico modo per vincere l’abisso non è distogliere lo sguardo, ma calarsi in esso. La frase nel libro è attribuita a Jim Morrison – è Elisa a ricordare di averla scritta un giorno su un diario delle medie, con tanto di sigla J.M. d’accompagnamento – anche se su internet più di qualcuno l’attribuisce ad Oscar Wilde. A tutti e due, Morrison e Wilde, sono state attribuiti almeno il doppio degli aforismi da loro pensati e almeno il triplo degli aforismi che sono riusciti a scrivere. Vai a sapere chi l’ha detta quella frase o chi l’ha detta per primo. A me, a proposito di abisso che è presente nel libro, presente carsicamente perché s’intuisce che Matteo è proprio all’abisso che pensa, a quello dentro e fuori di sé, oltre a gli Eagles e a Kirkegaard, è venuto in mente anche Nietzsche: «E se guarderai a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te», da Al di là del bene e del male. Matteo lo guarda solo di sguincio per tutto il tempo, e appena può fugge, rifugiandosi nelle scelte degli altri. Alla fine però, a forza di sbirciare, l’abisso riesce a guardare dentro di lui.


Gabriele Santoni, Aut Aut, Giulio Perrone Editore, 2012, pagg. 173, euro 12,00


TRE BRANI DA AUT AUT


Era l’università dove avevano insegnato Aldo Moro, fino al giorno del sequestro, e Vittorio Bachelet, prima di essere freddato dalle BR mentre scendeva la scalinata di Scienze Politiche. Una sventagliata di mitra per il primo, raggomitolato nel cofano di una Renault 4, tre colpi di revolver per il secondo, sparati a freddo da una donna in una assolata giornata di febbraio.
Era l’università dove aveva perso la vita Marta, studentessa della stessa facoltà di Matteo.

(incipit)


Era pieno inverno e avevano deciso di “battersi” tutta la borgata, bussando ad ogni porta per consegnare materiale informativo sulla loro lista e sul sindaco che sostenevano. Erano i tempi in cui militavano tutti e due in Rifondazione. Non sapevano però che, pochi giorni prima, il candidato del centrodestra aveva avuto la stessa idea ma che al porta a porta aveva distribuito centinaia di buoni di benzina in cambio di voti. Quando bussarono Enrico e Matteo, gli inquilini pretesero almeno il doppio di benzina in cambio del voto.


Avrebbe dovuto fermarsi e fare marcia indietro. Lo sapeva, ma non lo aveva fatto. E ora la stradina si stava facendo sempre più stretta e tortuosa. Non vedeva più nemmeno le luci della città, solo i fari che illuminavano il buio davanti al lui. Non aveva scelta, doveva proseguire. La scelta. Non ce l’aveva mai. Per una serie di motivi. Uno fra tutti perché gli altri sceglievano per lui. Oppure perché era sempre attratto dalla scelta più sconveniente, dalla via più impervia o inconcludente.




Gabriele Santoni
è nato a Velletri nel 1977. Redattore e reporter fino al 2001, attualmente vive e lavora a Milano. Membro dell’associazione Anonima Scrittori di Latina ha partecipato con i propri racconti a diverse iniziative letterarie, prima fra tutte l’antologia Il Bit dell’Avvenire (Tunué-2008). Nel 2010 ha vinto il Premio Speciale Città di Roma – Subway Letteratura (con il racconto “Meglio Prete che Operaio”) e Pensieri d’inchiostro, concorso per racconti brevi indetto dalla Giulio Perrone Editore. Numerosi racconti compaiono in raccolte e sul web.


graziano@lanzidei.it