FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

ATTESE

di Roberto Deidier



*

Forse il tempo non è che la dose
Di quanto c’è dato, se con tale leggerezza
Senza accorgerti ne tieni il respiro
E lo affretti a un presente assoluto
Così che non so più dove voltarmi,
Su quale paesaggio posare lo sguardo,
Le macerie delle vite attraversate
O la nebbia innocente che pervade il domani
E lo allontana in questo sonno
Frenetico, in quest’abbraccio pieno
Che più stringe e più chiude la mente
E fa di me il pozzo colmo, buio
Desiderio dove il tempo annega,
Mani senza età, e di te il passeggero
In attesa a una fermata abolita,
Nella tasca una lettera mai aperta
E sempre viva.


1943

Forse le bombe cadranno, forse no,
L’allarme è suonato già da un pezzo.
E tu in sottana balli senza ritmo
Un ballo che non t’appartiene. O forse sì.

I figli con la giovane sartina
T’accompagnano, incredula cornice.

Restano di te poche tracce infinite.
Quello che hai sognato s’è avverato.

Sono qui, dall’altra parte del millennio.


*

Questo è il lungo, il solo viaggio
Verso nonso, dov’è l’aria dei giusti
E il vento spinge a una meta
Naturale e se il cielo s’oscura
I bambini ancora giocano per strada.

Questo è il verso inatteso, la riga
Tracciata dritta sopra la lavagna
O la lettera infine spedita
Dopo il coraggio d’una finestra,
Sola a brillare come stella urbana.

Altrove qualcuno sta muovendo
E senza ormeggi, resistenze
O timore di stalli viene a te
E mentre naviga su uno schermo d’asfalto
Ti chiedi cosa mai potrà portarti,

Se un’arida tempesta o un tesoro
Di dolore, una corsa libera oppure
Un contrasto di colori, una terra
Per resistere, nuove scarpe e a notte tarda
La pietà d’una mano che spegne la luce.


SOTTO IL TENDONE

Questo cielo di plastica, e le stelle
Così uniformi non ingannano nessuno
E pure è un cielo e qui sotto un’arena
Come le mura basse di una città
In miniatura. Solo che è sempre notte
E migliaia di watt su circuiti colorati
Sospendono il tempo –
Quelle stelle sono più posticce –
Qui o fuori non importa, se oltre il nero
Gli anni luce vibrano galassie –
Stesse acrobazie nei volti.

E se ognuno è una notte nella notte
Io sono stato una finestra aperta
Su fuochi d’artificio. Restano intorno
Carrozzoni, gabbie. Fate attenzione,
Orsi e leoni, anche ammaestrati,
Mandano ombre troppo lunghe
Sui riflessi dell’alba.


*

Gli ultimi giorni nella casa che dovrò lasciare.
Sotto un cielo di nuvole basse
Come non ho visto mai da queste parti,
Pare crollare in un istante
Ma non crolla e quasi mi delude.

Giro gli occhi altrove
Ed ecco scoppiare i vetri al tuono
Che fa virare la stagione,
Forse un segnale giunto troppo tardi.

Quanto è stato inutile aspettarla,
Questa pioggia. Avrei voluto prima
Che il cielo si squarciasse, s’abbattesse
Il libeccio, quando la tempesta
Giunge come una liberazione.

Questo cielo non mi ha accontentato mai.
Di questo freddo, ora, non m’importa.


ALBA

Non dorme, si rigira, le serrande
Filtrano il latte oscuro dei lampioni,
Prematerico silenzio uniforme.
Non dorme, si rigira, passa l’alba,
Ridisegna le stanze dove scorre
E il mondo fuori, la buia cornice,
Ora al centro ha di nuovo l’araucaria.

Io sono stato il primo che ha cantato
Può dire dio o chi per lui spezzava
Quel silenzio musicando le forme.
Nel pulviscolo di questa penombra
Sale un fruscìo di ruote dalla strada.
Sono i ciclisti ad annunciare il giorno,
Un cane abbaia verso la statale.


UNA NOTTE INFORMALE

Pensavo di non avere più memoria,
Come un peso invisibile sul collo.
Apparsi da uno sfondo senza tempo
Mio padre e mia madre sono chiusi
In una vettura rossa.
Dietro gli anabbaglianti
Riconosco a malapena i loro sguardi,
Sul parabrezza
Si riflette la luce dei lampioni.
Ma non possono essere altri:
Le labbra mimano la disperazione
A lungo custodita al posto loro.
Le mie vene sono le strade percorse
Da quell’auto.
Li ho sentiti sbandare nel mio corpo
Quante volte, come un’agonia.

Mi svegliavo con il pudore d’un bambino
Che ha appena scritto la sua prima poesia.


AUDEN

La direzione è quella che avresti amato.
M’immetto sulla corsia, è agosto,
Ma l’autostrada è un cantiere di tristizie,
Villeggianti di cemento come pilastri armati
Immobili in un domino perverso.
Così li vedo mentre tu, alle mie spalle,
Resti come una scia mentale.
E adesso dovresti ritornare
Un’ombra: non ho più realtà
Di questo autogrill sperso in un deserto.

Avevo ancora negli occhi le tue foto,
Una vita intera: un residuo di sigaretta
Tra labbra giovani e i primi compagni;
Una camminata a New York sotto la neve,
Infine il viso come un lenzuolo sfatto
Dove qualcuno ha riposato male.
Adesso eri lì davanti al banco,
La studiata sciatteria di chi non ha rimorsi.
Mi guardai nel tuo stesso sguardo,
Il circolo vizioso della solitudine:
Eri senza bagaglio.
Questa è la legge, avevi scritto,
Soltanto questa. E non so più
Con certezza a quale nome risponda
La città che m’abbraccia ogni mattino.


La silloge è inedita.



r.deidier@tiscali.it




Vedi anche, su questo numero,
Roberto Deidier, Gabbie per nuvole
di Alberto Toni