FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 27
luglio/settembre 2012

Attese & Risvegli

 

ORIZZONTI D'ATTESA

di Daniela Carmosino



«Se puo’ attendere altri dieci minuti, l’editore ha telefonato che sta parcheggiando».

Come se avesse possibilità di scelta, il giovane scrittore aspirante esordiente decide di aspettare.

«Veramente avevo l’appuntamento alle 12, quasi mezz’ora fa…» prova a lamentarsi con la segretaria, ma ormai può solo seguire, con sguardo inebetito dal caldo, il suo sedere spianato: minigonna e occhiali spessi, gli tacchetta di spalle, riempiendo di vuoto il corridoio.

Per pochi minuti torna un silenzio afoso. È luglio, e fuori dalle stanze non è prevista l’aria condizionata. Se non fosse per un ventaglio di libri appena editi, in bella mostra su un tavolino basso Ikea, sembrerebbe di stare in una ASL. «Speriamo che almeno qui non mi cavino il sangue…».

In precario equilibrio sulla seggiolina rigida di plastica azzurra, il giovane scrittore brucia le ultime dolorose energie in spasmodici mutamenti di prospettiva.

«Buongiorno a tutti! Buongiorno! Un attimo e sono da lei», finalmente tuona, con forzata cordialità, l’immenso editore. Sbuffando caldo, divora con passo padronale lo spazio che lo separa dalla sua stanza, l’ultima in fondo, mentre, senza fermarsi, ingaggia una lotta per liberarsi dalla giacca del gessato blu. Lampeggiano, a tratti, i gemelli d’oro sui polsini candidi.

“Ce l’ha fatta!” commenta dentro di sé il giovane scrittore, ormai disidratato. Oddìo, a vederlo, pare il buttafuori d’un locale”.

«Venga, venga pure!» rituona l’eco del vocione da dentro la stanza. Che, si percepisce immediatamente, dev’esser dotata di un potentissimo condizionatore.

«Si sieda. Scusi sa, ma è un’impresa parcheggiare ’sto cavolo di Porsche al centro di Roma, qui è tutto un vicolo, ci passano giusto i cavalli e i cammelli…»

«Cammelli?!» riflette in automatico l’esordiente, mentre dal muro laccato di giallo amarognolo gli fanno l’occhiolino una decina di vecchi politici di nuovi partiti.

«Cosa guarda?» si vanta l’editore.

“Eh, ’ndovina?!” gli viene voglia di rispondere “Prima li piazzi lì e poi mi chiedi: cosa guarda?”

«Ah, sì» l’editore si risponde da solo «ho fatto un po’ d’attività politica, ma sa… peccati di gioventù» e intanto sputa nei due oblò degli occhiali da vista, per poi lucidarli con un kleenex.

«Ma parliamo di lei. Mi dica tutto. Chi ce l’ha mandata?»

Lo scrittore non capisce “È una battuta?”

«Dico lei, da noi, chi l’ha mandata. A nome di chi viene».

«Veramente» balbetta il giovane, più sorpreso che intimidito «ho letto sul vostro sito che potevo inviare un manoscritto, ho chiesto un po’ in giro, mi hanno parlato bene… So che la casa editrice è sorta da poco. Piuttosto che aspettare per sei mesi un’eventuale risposta, ho preferito prendere un appuntamento».

«Ah! Staremmo freschi se facessero tutti come lei!» stigmatizza, senza saperlo, l’editore, irrigidito, mentre continua a lucidare le lenti ormai trasparenti per consunzione. Ora lo fissa senza sorridere, posa con garbo i palmi sulla scrivania, se ne allontana di colpo con un’atletica spinta inferta alla poltrona girevole. Poi si riprende e intaglia il viso in un ghigno da elfo dei boschi.

«Bravo, mi piacciono le persone intraprendenti. Allora, di che parla il suo libro? La prego, però: in due parole».

«In due parole» ripete l’esordiente, sprecandone subito tre, mentre pensa alla velocità dei neutrini: “cavolo, non si potrà recensire un tramonto, ma pure raccontare un romanzo in due parole, è dura!”.

«Allora… parla di un giovane del Nord Italia che per amore si trasferisce al Sud…»

«Beeello! Originale questa cosa. Eccerto, non è il solito meridionale che va al Nord… Vada, vada avanti».

«…E da lì parte tutta una serie di disavventure, generate, come può immaginare, dallo scontro delle diverse mentalità. Una cosa tragicomica, insomma…»

«Sì. Naturalmente, più comica che tragica»

«No, veramente… proprio tragicomica»

«Vabbè, tanto poi lo aggiustiamo. Vada, vada avanti»

«E allora… niente, il libro descrive queste disavventure, denuncia…»

«Per carità, che denuncia! Qui nessuno denuncia nessuno»

“Ammazza che coda di paglia”, grugnisce tra sé e sé l’esordiente, “sarà per via dei peccati di gioventù”.

«Veda. Se un libro è da ridere, non mi ci metta dentro le denunce sociali, che il lettore non se l’aspetta, mi rovina l’effetto…»

«Veramente, non è un libro comico… comunque, dicevo, vengono alla luce le differenze di mentalità…»

«Ho capito, ma che succede?»

«Alla fine il nostro settentrionale comincia a ragionare, o meglio, a far finta di ragionare, come un meridionale… è per denunciare… scusi, volevo dire per dimostrare, che è facile sostenere che il Sud dovrebbe liberarsi di un certo modo di pensare: se uno vive in quell’ambiente, alla fine può solo soccombere».

«Vabbè, questo poi si vedrà. Ma io voglio sapere che succede. I fatti, voglio dire, che stanno dentro al libro, tra quando il settentrionale arriva al sud e quando, per così dire… vi si assoggetta». E, fiero per come si è espresso, l’editore alza il mento, gongolando verso il soffitto con grugno mussoliniano.

Il giovane scrittore si sente inchiodato con le spalle al muro. Proprio lì, tra Forlani e De Mita.

“Mi può fare un’altra domanda?”, vorrebbe implorare torcendosi le dita, ma quello già ricomincia: «I lettori si aspettano i fatti, qualcosa di grosso deve succedere, la sua donna gli mette le corna – e ci infiliamo una bella scena di sesso – lui affronta il rivale – e sfioriamo l’omicidio. Anzi no, ce lo mettiamo proprio!».

Lo scrittore, paradossalmente, rimane senza parole.

«Vabbè» prosegue l’editore, «la storia si può rimpolpare. Ora lei deve dirmi» e l’occhio gli si fa sottile sottile per la provocazione «perché io dovrei pubblicare la sua storia?».

“Oddio”, pensa lo scrittore, “se non lo sai tu?” «Ma non è che prima vuole leggerla, magari si capiscono tante cose…»

«Non mi risponda con una domanda!»

«Va bene, ecco, mi pare una storia interessante, che sfiora il grottesco…»

«Cioè?»

«Cioè… cosa?!» Poi l’esordiente si ricorda della quarta di copertina di un romanzo pubblicato da quell’editore, l’ha leggiucchiata mentre aspettava in corridoio. Prende così a recitare: «gli avvenimenti si susseguono incalzanti, spiazzando il lettore a ogni pagina…» poi, quando non si ricorda più, va a braccio: «… avvenimenti che sfiorano il grottesco»

«Aridai!»

«Ma anche no… Ah, e poi» la memoria giovane dello scrittore, come un salmone, dà un colpo di reni e una botta di genialità. Almeno così crede. «E poi c’è la scrittura! È una scrittura originale…»

Ecco che l’editore mette mano alla pistola. Metaforicamente, se sapesse cosa vuol dire.

«Originale? Vabbè, ma si capisce?»

«S-sì» deve rispondere il giovane scrittore, sempre più dubbioso sul poter esordire. «Certo che si capisce. È una scrittura che mescola linguaggi, gerghi diversi. Sa, come parlano i giovani, come parlano al sud… volevo rendere le diverse prospettive…»

«Ma si capisce o no? E su, che non è più tempo di sperimentalismi! Lei, poi, che è giovane… Veda, se compra un libro comico, il lettore si aspetta che lo faccia divertire, no che gli complichi la vita»

“Eh, come tu a me”, pensa il giovane scrittore. «Le ripeto, se volesse leggere qualche pagina…».

«Ma tu credi davvero» sibila l’editore, accavallando le gambe e scavalcando la formalità del lei «che al lettore gliene freghi qualcosa della scrittura? Se legge le prime righe e non capisce subito di che parli, quello lo richiude e arrivederci. Che vuoi, che lo mettiamo in vendita cellophanato, il tuo libro?».

“Oddìo, alla confezione veramente non avevo ancora pensato…”

«Comunque» si rianima quello, riaccostandosi alla scrivania e puntellandovi sopra i gomiti mentre incrocia a ingranaggio le mani tozze «parliamo di cose serie. Tu fai parte di un giro di scrittori, che fai nella vita, hai degli amici che comprerebbero il libro, verrebbero alle presentazioni?»

«Beh, non lo so, ho gli amici dell’università, suono in un gruppo rock...»

«Famiglia allargata?»

«Sono figlio unico e ho perso mio padre tre anni fa»

«Male! E tuo padre non aveva anche un’altra famiglia?»

«Diomio, no! … Che io sappia, almeno»

«Male! Vedi, io te le organizzo pure un paio di presentazioni, ma poi chi ti ci viene? Vabbè. E… conosci qualche grosso critico che possa recensirti? Non so, un passaggio televisivo…»

«Scusi, non dovreste pensarci voi? Magari l’ufficio stampa…»

«Parliamoci chiaro: ma chi te lo fa uno straccio di recensione se nessuno ti conosce!»

«Cavolo!» sbotta il giovane scrittore, ormai fuori di sé e sprovvisto, al momento, di più ragionevoli alter ego, «non dovrebb’essere la recensione a farmi conoscere?»

L’editore lo penetra con occhi maligni e ridenti a un tempo: «Ma tu, ragazzo, dove hai vissuto fino ad ora?»

«Mi scusi, è che io mi aspettavo una cosa diversa, volevo parlare del mio libro, del perché l’ho scritto, di come…»

«Ascoltami, io faccio l’editore… »

«Da un anno, mi pare…»

«Che cosa c’entra adesso!» sobbalza sulla poltrona l’editore esordiente, punto nel vivo. «Ho esperienza da vendere, fidati. Quello che stavo dicendo è che io faccio l’editore, conosco l’orizzonte d’attesa dei miei lettori, le cose che gli piacciono e le dinamiche per fargliele piacere. Tu fai lo scrittore…»

«Eh, vorrei, ma qui… »

«Tu fa lo scrittore» incalza l’editore calcando sulle T «preoccupati solo di scrivere cose che interessano alla gente, che parlano della vita vera, di tutti noi, in cui il lettore si riconosce, che quando le legge dice: porca miseria, sì, è vero, è proprio così!»

«Tipo se mangio asparagi la faccio verde?»

Il gelo del condizionatore raggiunge d’un balzo temperature da vodka.

Lo sguardo dell’editore è ormai quello di un husky.

«Ginevraaaaa!»

Riecco i tacchetti affannati «Zio, m’hai chiamato?»

«Se gentilmente accompagni il signore… Scusi sa, ma ho parcheggiato un po’ male e a quest’ora arrivano i vigili. Comunque, le faremo sapere se siamo interessati».

«V-va bene. Ah, un’ultima cosa. Eventualmente, voi chiedete un acquisto copie?»

Gli occhi dell’editore riaggallano di botto, come un pagina pop-up: «…Ginevra, scusami, vai pure. E lei si sieda, la prego, parliamo ancora due minuti»

«Ma… i vigili?»

Rifiorisce, l’editore, in un sorriso primaverile: «Volendo, i vigili, non sono un problema... E neanche la pubblicazione del suo romanzo, mi creda. Veda, io devo essere un po’ duro, all’inizio: non sa quanti perdigiorno, quanti sognatori…. Si credono tutti Sarammàgo! Lei, insomma, mi può garantire l’acquisto, che ne so, di qualche centinaio di copie… Che poi le fa circolare, le regala a sua madre, a suo padre… »

«Veramente mio padre… »

«Vabbè, non stia a puntualizzare, dico per dire. Parenti, amici. Poi semmai, qualche critico ‘vigile’… glielo troviamo noi» Ed esplode in una risata alla Gambadilegno.

Il giovane ora lo sa, lo sente, lo fiuta: è a un passo dall’esordire.

«E… quanto sarebbe… Insomma, quante copie dovrei… »

«Mah, giusto un quattro, cinquecento…. Se no, mi creda, le finiscono subito!»

«Quindi?»

«Non so, bisogna vedere… Quanto l’ha fatto lungo?»

«… Prego?!»

«Di quante pagine è ’sto romanzo?»

«Adesso, con precisione, non saprei».

«Vabbè, diciamo, quattro, cinquemila?»

«Ma scherza?! Saranno duecento pagine scarse»

«Appunto. Le pagine determinano il prezzo di copertina… lei prende le copie al trenta per cento di sconto… Quattro-cinquemila euro è il minimo per coprire le spese, mi creda» si spiega l’editore con voce di melassa, “non un buttafuori, ecco che sembra: un agente immobiliare!” s’illumina il giovane scrittore e non s’accorge intanto che l’editore medita “vedi come poi ti tiro solo le copie che mi compri, sennò le altre me le tiro, sì, ma in fronte…”

«Senta, magari, se è possibile avere una bozza di contratto», prova a cautelarsi l’esordiente e intanto posa maldestramente, sul tavolo in radica, la tracolla di tela avion. Sta per estrarre qualcosa quando:

«Ma che fa?!»

«Beh, a questo punto le lascio il libro».

«Il libro?!».

Per la prima volta l’editore pare sincero, nel suo stupore.

«Ah, certo, il libro… E sì, così intanto gli diamo un’aggiustatina noi…»

«E io che faccio?»

«E lei deve stare tranquillo. Deve solo aspettare».


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