L’ultima raccolta poetica di Viviane Ciampi, Le ombre di Manosque, è stata pubblicata nel maggio 2011 dalla nuova casa editrice di Chiavari Internòs e si presenta come un unico blocco, senza titoli né ripartizioni in sezioni. Un largo poema diviso in settantasette poesie dove protagonisti sono la campagna e il viaggio. La campagna con i suoi colori: i gialli e i viola che “erompono dai cespugli”; gli alberi campioni di longevità, guardiani dei mutamenti ed è bello ascoltare i monologhi dei rami che “dirigono la musica d’un altro regno”, interrogare le radici, accarezzare la scorza dei tronchi, le foglie lisce o dentate, fino ad ammalarsi di “alberitudine”, metafora che fa venire in mente la “territudine” del poeta venezuelano Eugenio Montejo; gli animali e non solo quelli domestici, da cortile o al pascolo, ma anche volpi, formiche, cicale, corvi, civette, barbagianni e gli ungulati “che si moltiplicano all’infinito”. La campagna con i suoi silenziosi contadini chinati a lavorare, incollati alle zolle, devoti al sacrificio e alla terra; i vecchi che pesano le parole; il suono delle campane, gli spari dei cacciatori e il cielo denso “come un unguento”. Il calore estivo stordisce e a volte un incendio infiamma la notte, allora ci si preoccupa e, insieme, ci si lascia sedurre perché il fuoco stana i sogni, rianima ricordi e paure ancestrali, sospende l’attimo, il presente e, quindi, imbriglia il futuro, lo allontana.
La campagna vista anche dall’alto, in un volo in mongolfiera.
Un attraversamento della natura e di se stessi nato dopo un lungo soggiorno a Manosque, il paese di Jean Giono. Un viaggio in una realtà agricola umile, di area mediterranea e francese, l’Alta Provenza, dove il paese e la campagna sono cinti da mare e montagna. Una realtà apparentemente immobile nelle sue abitudini secolari ma che nasconde “ombre” (quelle dei titolo), misteri, richiami, leggende, enigmi, lutti, crimini e fantasmi, come quello di Charlotte, poetessa morta nel rogo della sua casa. Però tutto si tiene, l’ordito non si sfalda anche se la riflessione poetica, verso dopo verso, si slarga, si stratifica in un gioco di specchi, di luci oblique e immagini riflesse o ingrandite. Ci sono scrigni che si aprono all’improvviso e saltano fuori storie e fiabe.
Alla descrizione di un panorama, una persona, un bosco spesso fa seguito un epilogo, una fulminante riflessione sul senso e l’enigma della vita (“talvolta scende tra le vertebre / la pietra del non esserci / la gelatina del nonsenso”). Le parole si ripetono per creare echi interni e segreti (“dense voci quassù più dense”), o definire il tempo che svapora, l’allegria esplosa dopo una lunga camminata e poi replicata nel sonno. A fine lettura di Le ombre di Manosque si delinea un vasto paesaggio che ospita tutte le cose viventi: dalla fatica dei contadini all’instancabile lavorio delle formiche. Colpisce questa metamorfosi piena di attese ed ombre, questo passare da una foglia all’anima, dal paese che vibra nei suoi risvegli ai sogni che s’inerpicano sui monti, dalla forma perfetta d’una foglia a quella astratta del tempo, dai lenzuoli che fanno dispetti agli ungulati albini che di soppiatto attraversano le strade.
POESIE DI VIVIANE CIAMPI da Le ombre di Manosque
*
Nell’eco dei dirupi ruderi che non sanno di esistere cascinali raccolti nel vagolare ordinato sotto la chiesa e statue di pietra nel palpito del visibile. I villini occhieggiano verso il mare occhieggiano soltanto senza il canto dell’onda come ricchezza. Chissà che avranno da dire – vite devote al sacrificio – coloro che sudano attorno alle macine nelle cantine
*
Aguzza l’occhio interiore, non battere i denti non crearti alibi. Qualcosa subentra: un battito segreto che non è poca cosa. Ora l’affanno si placa gli occhi non sbiancano di menzogna l’energia rotola lungo le caviglie! Strumento dialettico imprescindibile è la musica che torna per gli orecchi duttili arriva dove sale l’odore del muschio, scaccia la sorte avversa. E racconta storie di venti sulle foglie, sulle spine.
*
Di notte, altre note: mentre il vento-mostro imbocca il solito sentiero i cani dei cacciatori abbaiano come avessero annusato il diavolo. È l’ora speciale degli ungulati che si moltiplicano all’infinito. Qualcuno ha teso loro inutili trappole: finché c’è un foro lo allargheranno.
*
Luce obliqua del sole sulla cinta dell’orto. Musica delle cicale nei timpani. Hai appena sfiorato la stoffa dell’armonia. Col passare dell’ore le ombre di Manosque si stagliano avanzano come l’edera che accompagna gli alberi e li ascolta crescere.
*
Il bosco come la giungla cela le sue pagine. Esiste come una sfida alle voragini emotive. Anfratti e tronchi ricreano l’affabulazione. È il nascondiglio di sciabole e lance di civette e barbagianni. È lo scrigno degli spiriti di altre intrusioni eteroclite. Vi sono fiabe dolci e velenose di folletti fattisi lupi. Vi ci dormono invisibili guardie piumate.
*
Essere di passaggio equivale a far parte del paesaggio, inutile accasarsi. E c’è questa continuità della campagna che ti mette lentamente in postura d’attesa ti fa bere un latte di poche chiacchiere e rosicchiare il biscotto dell’armonia. Osservi la linfa e le metamorfosi ed ecco che il piombo si tramuta in oro a parziale indennizzo del dolore.
*
Lasci un sogno e ne agguanti un altro puoi persino addentrarti nel sogno di qualcuno così sono sufficienti il fischio del merlo nella ceppaia e il sibilo argentato degli ulivi a scombinare un pensiero foss’anche il pensiero più consistente.
*
A guardare laggiù con occhio di tramonto tra le lame che dividono il giorno dalla notte quando il reale non si fa decifrare ti par di scorgere una statua rosicchiata dal tempo appena screziata di luce che – misteriosa – ti fissa.
|
Viviane Ciampi, Le ombre di Manosque, Edizioni Internòs, 2011, pagg. 83, euro 10,00
|