FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 24
ottobre/dicembre 2011

Crisi

 

LA FRANCIA: CRISI, ERRORI, RIFORME

di Alain-Gérard Slama



Mi ribello contro la leggenda secondo la quale la Francia sarebbe incapace di autoriformarsi senza passare attraverso i tripudi d’una rivoluzione. Osservando gli altri, non mi risulta che negli Stati Uniti le riforme di Obama – quelle ispirate dalle forme previdenziali europee – abbiano scatenato un successo fenomenale. Non mi sembra che in Gran Bretagna la politica di austerità voluta da David Cameron sia scaturita da altro motivo che dall’aggravarsi del deficit budgetario; deficit dovuto al fatto che la Gran Bretagna ha vissuto troppo a lungo sugli allori dei suoi guadagni petroliferi. L’Inghilterra – pure lei – paga i conti del passato. La Germania ha giocato d’anticipo, in quanto a riforme, perché a suo tempo adottò il piano Schroeder, riformandosi prima della Francia. Ma la stessa Germania è stata protagonista di un crollo demografico. Ora, quest’ultima si ringalluzzisce del suo consenso sociale democratico al tal punto da farci la ramanzina. Inoltre, la sua scommessa di ritirarsi dal nucleare senza altre alternative che carbone, eoliche, gas russo e sole del Qatar, mi pare un salto nell’ignoto alquanto rischioso!
Quindi, non penso che la Francia faccia peggio della Germania scegliendo un mix di energie che partono dal nucleare per arrivare all’eolico.

Molti parlano dell’eccezione francese, ma a ben vedere quale nazione non ha la sua eccezione? Dire che la Francia è incapace di autoriformarsi significa supporre che il nostro Paese non sia capace di cambiamento. Invece cambia eccome!
Questo diniego, d’altra parte, lasciar intendere che la situazione è abbastanza grave per giustificare una rivoluzione. Sono pregiudizi che meritano qualche considerazione: i cambiamenti che riguardano la società francese, il suo Stato, le istituzioni, sono in accelerazione, da una ventina d’anni, con un ritmo sorprendente.
Sotto la Quinta Repubblica il primo pensiero di chi era al potere andava subito in direzione della stabilità. E le riforme operate ritualmente agli inizi di ogni mandato presidenziale sono sempre state interrotte in breve tempo. Quindi la situazione odierna risulta la stessa rispetto ai mandati precedenti.

Le riforme preconizzate da Sarkozy (accusato di “reformite acuta”) sono state abbandonate a causa della crisi, ma dobbiamo tener presente che la destra è conservatrice nel suo DNA e detesta il conflitto. D’altronde il nostro Presidente della Repubblica ha parlato di “spaccatura”. Solo che il termine “spaccatura” non appartiene né al vocabolario né al temperamento della destra.
Ricordo che durante questo quinquennio, abbiamo avuto le revisioni della Costituzione, lo Stato previdenziale in materia di salute, di pensioni, d’impiego, della giustizia, della difesa, dell’università, delle finanze pubbliche, del dialogo sociale: tutti elementi che hanno fatto cambiare molte abitudini. Il vero problema è capire perché prima ancora dell’aggravarsi della crisi queste riforme furono male accettate e giudicate inefficaci.
Come spiegare questo sentimento di non appagamento, d’inconcludenza?
Per quanto riguarda la riforma contro l’abolizione del giudice istruttore dobbiamo constatarne il fallimento. L’asimmetria di ognuna di queste riforme ne mostra anche l’incompletezza, perché mal condotte.

Ma vorrei uscire dalla congiuntura per soffermarmi sugli aspetti culturali, generali e permanenti della domanda che spesso viene posta: «la Francia è capace di autoriformarsi?».
La risposta si trova, a mio parere, nell’illusione prettamente francese della “spaccatura”. La patria delle Grande Rivoluzione ha una certa tendenza a fare della riforma un mito. Noi vogliamo persuaderci che non potremo mai cambiare nulla alla nostra vita politica finché non avremo cambiato la nostra stessa cultura politica. L’errore del Presidente uscente è stato quello di essersela presa con questa cultura e di rimetterla in auge con uno stile che ha provocato la sorpresa e il rifiuto.
Per dirla in poche parole, la pretesa di riformare la cultura soffoca la cultura della riforma.

È stato controproducente, infatti, far precipitare le nostre istituzioni nella pratica di una “iperpresidenza” che ponendo il Capo dello Stato perennemente in prima linea lo ha, di fatto, indebolito. È stato altrettanto controproducente aggravare le relazioni incestuose tra il potere politico, i ruoli decisionali dei media e le posizioni più strategiche della finanza e dell’industria rischiando di fare ricadere, come già abbiamo constatato, la responsabilità delle guerre tra capi, quella dei disfunzionamenti, degli eventuali abusi di beni sociali, dei conflitti d’interesse, e altri fatti di corruzione che scopriamo ogni giorno, sull’insieme di un sistema identificato nei suoi responsabili più labili. Così come è stato controproducente, per lottare contro le disuguaglianze, adottare la soluzione delle discriminazioni positive. Quella soluzione non appartiene alla nostra cultura. È stato controproducente, infine, usare una politica d’integrazione fondata sulla nozione d’identità, con il risultato d’incoraggiare lo spirito d’appartenenza, di aprire brecce nello zoccolo del consenso laico.
Per concludere, è temerario sregolare la bussola quando si cambia rotta!
E la pretesa di cambiare tutto è il miglior modo per far sì che nulla cambi.


(da Le monde vu par – France-culture)

Traduzione dal francese di Viviane Ciampi