Alberto Arcangeli è un cantautore urbinate. Magari vi sarà capitato di sentire una sua canzone (è quella dello spot pubblicitario degli pneumatici Continental) e i più attenti tra i venticinque lettori di questa rubrica ricorderanno che era una delle voci del progetto Mellon Collie And The Infinite Power di cui avevo parlato nel numero precedente. Un paio di anni fa Arcangeli ha pubblicato un nuovo disco, Dreamsongs, a sette anni di distanza dal suo esordio avvenuto con Sette Gocce Di Liquido Lunare.
Dreamsongs è un bel mix di originali e cover, queste ultime scelte da un repertorio riconoscibile ma non comunissimo (molto bella, ad esempio, la versione di Kind Woman dei Buffalo Springfield). I pezzi inediti scritti e cantati da Arcangeli si rifanno invece a un morbido pop di chiara matrice sixties, che strizza l'occhio ai Beatles ma anche al folk inglese di scuola Canterbury.
Insomma, un bel disco che ha ottenuto positive recensioni sulle testate on line che si occupano di musica leggera. Ma qual è la vera particolarità? È gratis. Già, andate sul sito dell'artista www.albertoarcangeli.com e ve lo scaricate, legalmente e senza spendere un centesimo di euro.
Le forme alternative alla grande distribuzione - in tutti gli ambiti dell'arte - mi hanno sempre incuriosito, ma arrivare al punto di scegliere consapevolmente di regalare il frutto del proprio talento è qualcosa che va oltre la ricerca di un compromesso tra le esigenze del marketing e quelle di raggiungere il maggior numero possibile di persone. Ho allora contattato Alberto Arcangeli per chiedergli un po' di parlarmi delle ragioni di questa scelta.
Perché un artista decide di distribuire gratis le sue opere?
Quando ho deciso di mettere in free download Dreamsongs non l’ho fatto dopo una approfondita riflessione, ma d'istinto. Quello che mi sono detto è (mettendo a frutto anni di studi di economia): a che pro mettere in vendita un prodotto per il quale non c’è alcuna domanda? E poi mi sembrava ridicolo distribuire il CD a pagamento per guadagnarci, nella più rosea delle previsioni, poche centinaia di euro.
Ma se un musicista volesse vivere di musica cosa dovrebbe fare?
Sono pochissimi quelli che vivono dei proventi ricavati dalla vendita dei CD. La stragrande maggioranza si guadagna da vivere facendo concerti o suonando nei locali. Quanto mai può aspettarsi di guadagnarci un esordiente, o un musicista indipendente? A posteriori, sono certo che, se avessi dato un prezzo alla mia musica, quasi nessuno ne sarebbe venuto a conoscenza e, paradossalmente, non sarei nemmeno riuscito a guadagnarci, come poi è invece avvenuto quando ho venduto a un'agenzia pubblicitaria i diritti del brano Dream Song per lo spot Continental.
In altre parole la musica che un tempo era il prodotto finito sta ora diventando una sorta di biglietto da visita che serve solo per ottenere entrate di altro tipo (appunto: ingaggi per concerti e serate, diritti di sfruttamento per spot pubblicitari, etc.)?
Per certi versi è così. Autopromuoversi non significa svendersi, ma appunto concedersi una possibilità di visibilità in un mercato sovraffollato e distratto. Umberto Eco, in un'intervista che ho letto qualche tempo fa, diceva che non si stupirebbe se fra 50 anni si scoprisse che oggi in Francia è nato il nuovo Proust e nessuno se ne è accorto. Io aggiungo che, probabilmente, il nuovo Proust si starà autopubblicando, ed avrà magari un blog come vetrina per i propri scritti.
E le case discografiche, in tutto questo, che fanno?
Purtroppo non fanno più scouting, a parte poche eccezioni. Si limitano a pescare da vivai come “Amici” o “X-Factor”. Per il resto rientrano nella migliore tradizione italiana, fatta di forti barriere all’entrata nel mondo del lavoro, nel pubblico come nel privato.
Cosa pensi della rivoluzione portata da iTunes, la cosiddetta "musica liquida", i brani in vendita a 99 centesimi acquistabili direttamente in rete e così via?
Per il prossimo album avevo considerato l’opzione della vendita su iTunes e simili, anche per la possibilità di vendere solo le singole canzoni, appunto. E poi perché pensavo che l'iTunes Store potesse essere una vetrina aggiuntiva. In realtà, dopo aver sentito le esperienze di altri musicisti in merito mi sono convinto di nuovo per il download gratuito. Sembra che i ricavi ottenuti tramite iTunes siano irrisori. Anzi, quegli stessi musicisti mi hanno confidato di non essere riusciti a raggiungere quel “vasto” pubblico che la gratuità del prodotto, invece, gli aveva fatto sperare.
I Radiohead hanno sperimentato per i loro ultimi due album forme alternative di distribuzione. In Rainbows era acquistabile con un prezzo a sottoscrizione (da 0 a n sterline, a scelta dell'acquirente). Anche l'ultimo The King Of Limbs è stato venduto in anteprima solo in formato digitale per un massimo di 11 euro, poi da maggio anche su supporto fisico a 39 euro. Va bene che i Radiohead sono una delle band più famose del mondo e possono permettersi di giocare un po' con le leggi del marketing, ma non credi che comunque possa esistere una via di mezzo tra la vecchia cultura dell'industria discografica e la musica gratis?
Eh, ma io penso che ai Radiohead riescano giochetti del genere proprio perché sono, appunto, una delle band più famose in circolazione! In realtà, quello che fanno loro lo hanno già fatto migliaia di artisti in tutto il mondo, solo che non hanno venduto che poche copie e, soprattutto, non se ne è parlato (proprio perché non sono i Radiohead).
Per dire: anche il mio Dreamsongs è gratuito, ma c'è la possibilità di fare una donazione. Solo che ad oggi con le donazioni che ho ricevuto mi ci uscirebbero giusto un paio di pizze...
Tornando alla domanda: esiste una via di mezzo? Io credo di sì, ma la risposta non sta nell’ostinarsi a mettere un prezzo a prodotti che nessuno vuole comprare, quanto nel trovare metodi alternativi per far sì che la gente sia disposta a pagarli. In fondo, stiamo parlando di un’industria (quella discografica) abituata per decenni a fare utili piuttosto facilmente e con investimenti minimi. Per di più, gestita spesso da persone ignoranti di musica, che non fanno altro che fingere di amministrare qualcosa che invece va avanti da sé, per inerzia. Forse dovremmo guardare ad altri settori che hanno già affrontato, o stanno affrontando, il problema della “immaterialità” del prodotto. Pensa a Microsoft: quanti di noi hanno intenzionalmente comprato Windows? Io credo pochissimi. La maggior parte di noi se lo trova già nel pc quando lo acquista, con un piccolo aggravio di costi a cui neppure fa caso. Gli stessi prodotti vengono invece venduti (e a caro prezzo), a chi li utilizza per scopi professionali. Allora, magari, si potrebbe trovare un metodo per addebitare agli utenti la fruizione della musica, senza che questi debbano volontariamente decidere di acquistarla (ad esempio facendo pagare l'uso di programmi per il peer to peer).
Visto che hai introdotto il tema dello "scambio" di file musicali, chiudo l'intervista con una domanda polemica: non temi che la scelta di mettere a disposizione gratuitamente la propria musica su internet possa legittimare la posizione di chi ritiene giusto scaricare musica illegalmente? Uno potrebbe dire: «se alla fine i musicisti guadagnano dai concerti e dalla pubblicità allora scaricando musica che tanto non comprerei non arreco loro nessun danno. Tanto meglio se l'autore è così saggio da scegliere, lui stesso, di regalare il frutto del suo talento». Un simile modo di pensare, alla lunga, non diventa pericoloso?
Credo che occorra fare delle distinzioni. Gli autori emergenti hanno sempre messo a disposizione la propria musica gratuitamente, fa parte del concetto stesso di promozione. Anche quando si metteva in vendita il proprio CD (o musicassetta), in realtà si chiedeva un rimborso spese, più che un riconoscimento economico. Ad oggi, la distribuzione digitale fa sì che il rimborso spese sia superfluo o addirittura, a fini promozionali, deleterio. Il fatto è che per un artista emergente non esiste alcuna domanda da parte dei consumatori, quindi la stessa idea di poter fissare un prezzo è insensata.
Diverso può essere il caso di artisti affermati, nel cui caso potrebbero verificarsi gli effetti da te immaginati. Credo, però, che una persona che vive di musica non faccia mai nulla per nulla. Se distribuisce musica gratuitamente lo fa perché intravede altri ritorni: più gente ai concerti, pubblicità gratuita, e così via. Certo, come dici tu, potrebbe essere una di quelle concorrenze sul prezzo che portano al fallimento di tutti i concorrenti. In ogni caso, credo che il download illegale non vada in cerca di legittimazione: continuerà a esistere comunque.
federico.platania@samuelbeckett.it
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