FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 21
gennaio/marzo 2011

Futuro

 

UN LUNGO FUTURO

di Massimo Viganò


[...] ma un lungo futuro è l'attesa lunga di un futuro
Sant’Agostino, Confessioni




futuro anteriore
(una passeggiata nell’entroterra)

quando sarai partito certo avrai lasciato la sedia e il letto da
rifare la porta chiusa a due mandate sicché vorrai serbare da
dove procedi a breve (e trovarlo com’è rimasto) ma tant’è il
mondo sempre gira con regolarità e ci saranno pur sempre
altri ventri e visioni e qualcuno t’avrà seguito certo o
accompagnato magari avrai consumato il tuo pasto per la
strada (e bevuto in abbondanza data la predilezione per
oracoli e suggestioni)

sarai l’animale che pur pensando avrà guardato a ciò che è
stato rassegnandosi a ciò che trova nell’aria e precede il
movimento così purtroppo avrai finito per essere ignorato
dal tempo
che su di sé precipita ad ogni bivio
proprio quei momenti di attesa
codesti passi o questi passaggi in ombra


l’avvenire del mondo

essendo venuto al mondo
vivo e decorato
e con questa abilità
particolare (e nascosta)
tra le scapole che sorge dal petto voglio
dire ogni cosa e
trovarne il nome (se già esiste) o inventarlo
poiché
chiamando ogni cosa per nome
(col suo nome)
di ognuna decreterò il fato
che delle cose chiama anche morte
e per me dirò sempre un mondo
nuovo e un acerbo avvenire

e voglio dire che tutto si riduce a cosa
anche se non si vede né si tocca
ma basta si chiami


l’angelo (suicida) del futuro

m’uccido e precedo l’umanità nella mancanza
sicché per prospettiva essendo e procedenza d’ignoto seme
sguardo (fissamente) alle storie come fossero specchio e dissi (denunziando il
tempo
dell’azione) ma non vedrò che fratture e corpi d’allora in avanti
oltre
quelli decimati (e la guerra quella a far che macinare e far macerie)

non vedo che sperare e spirare (di tutto che ho alle mie spalle) e attendere
cadute ancora cadute e voli che donassero petto e membra
insomma indicassero i ricordi come da sottrarre alle morti
ché
a volare (in leggere spire costretto) come una foglia sospinta senza indirizzo né
motivo (che non fosse l’assenza
o le dolci mani della morte)
sempre il tempo avanza irrevocabile nel movimento a precipizio
e solo s’accompagna a giacere l’amata memoria (o temuta) a cui m’abbraccio
(poiché l’amo
e sarà la mia semenza)

stupito (e stupido sussurra il padre in un sorriso) osservo e rivelo attraverso il
segreto (sguardo
d’invidia e di gelosia)
a chi mi guarda e che di me ha facile comprensione
per scambievole natura e mutua ignoranza m’ostino al vissuto
essendo il male guardare oltre le spalle alate
verso il futuro in attesa ovvero ho la vita che con me
impigliata s’appende
e s’ostina (per sempre) a non lasciare


Leyenda del atravesamiento oceánico
Frammento IV – la terra promessa

partendo

cos’altro si aspetta lo stesso destino
se non il viaggio nella terra promessa
a volte questa sia di auto tivvù lavatrici e tramvai
sopraelevate come di aerei e meno fango

che non sia nemmeno la polvere da scuotersi di dosso
quando uscii la mia sola casa per l’ultima volta
quando ora che siete per lasciare la riva
quando infine affogherà nel vuoto profondo del mare

finalmente arrivato


l’uniforme

sto comprando una divisa
da ussaro in alta uniforme
stivali e i pratici calzoni
con raffinato fermo-sottoscarpa
dollman scarlatto con alamari
la fascia di marocchino
rosso a coprire la bandoliera
l’immenso shako nero coi fiocchi dorati
la placca ed il cordone
il candido pennacchio infine
la pelisse turchese a drappeggiare
la spalla sinistra e una pipa

manca solo la camicia
che sia bianca
quando l’avrò comprata
l’uniforme sarà completa
e finalmente
sarò pronto per la parata


il grattacielo

lentamente
nella mia città stanno costruendo
un grattacielo bianco
lo vedrò ogni mattina e per molti anni
affacciandomi in veranda
come un miraggio dalla collina

lentamente
nella mia città questo corpo bianco
vedrò ogni mattina e per molti anni
crescere poco a poco
(affacciandomi in veranda)
nell’attesa

o che riveli d’improvviso
quanto sarà stato (e fu) il mio passato


la resurrezione di lazzaro
[domani (come ieri)]

oggi deposto eppoi
come ieri domani
sarò
nuovamente carne
vulnerabile e tenera per quanto lo possa
un corpo abbondante e abbandonato un corpo lento
come il mio e solo sarò e disabitato
insonne
di nuovo sarò conteso esposto
innocente (alla ruota) dunque mutevole
ereditandone il senso ed il giro
un corpo nuovo animato e caro
polpa da (in)vestire ancora spoglia
sarò una creatura e nient’altro
finalmente quel che si dice
carne
di carne nuovamente creatura
fattasi (debole) in carne

nella lingua avrò l’unico
tratto paterno
(sicché pur sempre siamo figli)
rimastomi e che mai tace per sempre
ma rivela
(a chi sa leggere) e divina

spero solo (e credo) che non vi deluda
ancora
il mio corpo (incompleto)
da allevare come fosse carne
da cibo per gli anni restati


anatomia patologica
la sorte del profeta

perché contare le teste (neppure i busti incompiuti?)
allora perché aver teste solo per farne
                     una girandola?
mi suona d’inganno insomma
la ruota è la ruota sempre
e se gira non è per fuga
                     o per progresso
piuttosto per tornare (mai uguale)
ma dunque (meditate dottori)
                     rispondete una figlia
non può avere le sue belle mani?
e la testa gioiosa a far salti
                     su d’un piatto?
oppure il profeta pronunciando l’oggi
non è magari per dire il domani?
e i presunti misteri?

sentite dunque sulla trumeau monumentale
intarsiata di bei legni
e con pregevoli specchi
conservo un ritratto divino
un busto che parla
e in parte scuoiato
espone i suoi vasi (contrassegnati
per voi credenti o marinai per voi studenti)
e decollato dispensa oracoli
l’ho chiamato johannes
o jean baptiste
rischiando l’accusa di blasfemia
eppure sorride e sorridendo
                     divina
(in tutto quell’avorio)
per (attraverso) le labbra della carne


(riflessioni in) sala d’attesa

                 comunemente ogni sala d’attesa ha un certo numero di sedie o poltroncine per evitare che le persone attendano in piedi. a volte è disponibile una (o più d’una, per ambienti molto affollati) toilet con un lavandino, e distributori automatici di dolci e bevande, oppure riviste e, raramente, libri: giacché il tempo deve passare (e dove scorre trascina con sé corpi e oggetti, proprio come fa l’acqua).

        non so molto delle creature
        che popolano questi luoghi d’attesa e delle divinità
        che qui governano né dei misteri ma
        se il mio futuro (voglio dire
        l’immediato e concepito s’una sedia) dev’essere
        uno solo (a caso)
        tra il volo e la caduta addirittura
        la perdita (di peso o di capelli oppure il senno
        l’animo o il tempo) non ho
        che attendere e senza aspettarmi
        ma sonni e timori e sospetti
        paure
        eppure
        nacqui per aprirmi al cambiamento

        ascoltate
        nell’attesa (più della musica e delle voci)
        e osservate perché
        questo è il futuro che s’attende cambiare d’abito e sostanza
        e d’àmbito come fosse ogni momento
        la domenica mattina
        o più in generale (col movimento che ricorda
        la pupilla e il suo contrarsi per la luce
        con le tonnellate d’anni
        che ne rivelano l’età)
        dolcemente attendere che la vita cruda
        si concreti e precipiti imprimendo
        almeno un senso
        all’attesa
        una direzione

        finché alzare finalmente (dalla sedia o dalla poltroncina)
        fare un passo e uscirsene discreti in acqua e nel tempo



my last supper in alabama
[12+1] scene (pop) da una cena

        i.
        mio padre sbadigliò
        c’è da tagliare l’erba del prato
        io scomodamente seduto
                                     alla sua destra (angusta)
        un coltello nella sinistra
        guardai la sedia vuota
        accanto alla mia e mi domandai
                                     sottovoce
        chi si sarebbe accomodato
        (mai?)


        ii.
        figlio (destrimano) con un gran appetito
                                     per il cibo e la lettura
        da mio padre appresi
        il segno della croce
                                     secondo l’uso occidentale
        mi mostrò come
        unire le dita sussurrando
        i santi nomi e il cosissia
        tirai su col naso e ringraziai silenzioso
        mamma per il suo polpettone con purea di piselli
        ne incrociai lo sguardo mentre traversava la sala
        da pranzo reggendo il piatto da portata
        e feci il mio primo segno della croce
                                                         (ma) fui
        troppo rapido a imparare e arrabbiato
                                              per partire?


        iii.
        walt disney mi porse
        l’insalata il pollo e il formaggio che
        mamma preparava il giovedì
        lodiamo il signore come cucciolo ha insegnato
        disse indicandolo con il mento
        restai in silenzio mentre il nano pazzo
        rubava (a mia madre) il terzo bacio
                                                   della sera e walt
        si serviva un’altra fetta di pane all’aglio
        il volto contratto in una smorfia divertita


        iv.
        fermati (con la sua voce baritonale)
        dimentica il tuo orgoglio e mangia
        lascia che i minuti e le interminabili ore
        ammansiscano l’ansietà di gambe ed occhi
        d’ossa e mosche
        ch’è l’annuncio del futuro


        v.
        mamma fece segno d’usare il tovagliolo
        con la croce bizantina ricamata
                                      in filo vermiglio
        intonando il ben noto motivetto
        mentre in lacrime
        mi chinavo a baciarle il piede
        e la scarpina
        bevi l’acqua e mastica per bene
        manda giù guarda in su


        vi.
        appeso sopra il camino
        della grande dining room elvis
        dondolava mollemente
        e fissava ancheggiando inquieto
        lo sguardo spinato d’un jimmy dean
        silver plated e muto
        intento a mangiare la torta di mele
                 e fumare


        vii.
        "mom, how come you're wearing two different shoes?"
        mia sorella (americana) sempre attenta
        alle calorie ed alla verginità
        s’alzò e si ritirò nel bagno
        accanto alla cucina
        pronunciando la formula di rito
        i miei giorni sono stati più veloci d'una spola, sono finiti
                                               e senza speranza


        viii.
        allora pà (dad) mi versò del vino
        (schietto) e porgendomi il bicchiere
        bevi a piccoli sorsi (disse) io pensai
        comincerò la rivoluzione nel mio letto!
        ma beviamo dunque
        e il pendolo dava i suoi sette tocchi
        mi chiesi cosa ha detto
        al diavolo comincerò comunque


        ix.
        in alabama come a parigi
        (e forse ovunque si guardi) le foglie coprono
        il viale ogni volta in autunno
        è più difficile addormentarsi
        anche sfinendosi di preghiere
        quando i pensieri rimbalzano
        dal tetto sull’erba che ora è da tagliare
        (ripete papà) magari ma
        questa è la stagione in cui si cade


        x.
        captain ahab ruggendo finalmente stese
        del corpo (mom?) la mappa mostrando-
        mi come oltre i punti cardinali
        e la fiammeggiante croce esistevano
        mari dove incrociare e i marosi
        che avrei dovuto cavalcare


        xi.
        ogni volta così fino al dessert
        (ma ora basta) e mi vidi costretto
        vista la posizione
        della sedia a uccidere raggelato
        chi alla mia sinistra stava per (inn)alzarsi
        e lasciare la cena per la veranda
        sicché la cosa doveva esser fatta


        xii.
        avrei dovuto salutare
        anche mio padre?
        agitando la mano?
        stringendola con fermezza? (walt e i nani
        avrebbero fatto altrettanto con mamma e mia sorella?)
        meglio un bacio sulla guancia
        avrà pensato alla fine pa’
        sussurrando traditore
        (porta almeno il sacro cuore
        con te del cristo
        biondo e rasato di fresco)


        xii.+i
        tieni ogni cosa sempre con te ragazzo
        disse ahab e m’indicò col bastone
        l’oceano
        che ruggiva oltre la porta in fondo al viale
        e chiudi la porta mi raccomando
        non voltare


La silloge qui proposta è inedita.



massimovigano@katamail.com