FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 18
aprile/giugno 2010

Aquiloni

 

AQUILONI DI FUOCO

di Carlo Bordini



HALE

Le scintille del fuoco sono più belle
della cometa


C’È QUALCOSA DI OSCENO

Noi che
siamo tutti rannicchiati nei nostri sogni
sappiamo che
C’è qualcosa di osceno nei sogni altrui
C’è qualcosa di osceno
che consiste nel fatto che i sogni altrui sono /assurdamente/ e spaventosamente
uguali ai nostri
e svelano la vergogna
dei nostri sogni privati

la loro pochezza infantile

il loro carattere vergognosamente (per noi) prefabbricato
e poiché sono tutti uguali noi siamo gelosi di essi
e li odiamo quando sappiamo che essi sono sognati da altre persone
trovando osceno che altre persone sognino le nostre stesse cose intime;
e scoprendo negli altri la nostra stessa vergogna privata
che è resa pubblica dal fatto che gli altri possono conoscere minuziosamente il nostro sogno
vorremmo che sia solo nostro e che nessun altro potesse conoscerlo
anche se lo abbiamo acquistato l’altroieri al supermercato della coscienza
dove c’era la svendita di uno stock avariato
che ci ha attirati con la sua facile offerta.
E come l’amante che preferisce uccidere la propria amata fuggitiva
o il mitico eroe dell’antica Grecia
svende in pochi spiccioli un terremoto di fine erbe
noi, come il Minotauro, fracassiamo le nostre teste nello spigoloso labirinto,
nuotando felici nei gorghi dell’immensa galassia
dove le nostre menti si sono sperdute in un intrico cieco


POESIA DEMENTE

Il mondo fu fatto
in pochissimo tempo,
tra grandi litigate,
e solo all’ultimo
momento fu deciso,
per sfiducia,
di istituire la morte e di dividere i sessi.
Dio era molto geloso
dei suoi quattro o cinque colleghi e per ripicca
disse:
Ma tanto in pochi anni saranno tutti rotti, chi senza
un braccio, chi senza una gamba, tanto vale
farli morire!
E un altro disse:
E quelli nuovi come li fai?
Non li faccio io, li fanno
loro! Bella roba. E così,
all’ultimo momento,
in pochi minuti, inventarono l’istinto sessuale,
e l’infanzia. Quasi vennero alle mani.
E uno disse: ma non vedi
che così sarà pieno di guai?
Chi se ne frega – disse Dio.
– Tanto questo mondo non mi piace.
È venuto male. Bella roba –
interloquì un altro. – Cosa pretendevi, con l’idea che tutti devono mangiarsi
l’uno con l’altro? È logico che si sarebbero
consumati. E allora? Tu che avresti fatto?
Quasi
vennero alle mani.


*

io non creo ma sono
creato, non
scrivo ma sono scritto,
e quindi
non sono un
creatore
ma una
creatura


EPITAFFIO

Mio padre morì senza averne bisogno
la vita era per lui chiara e netta
i confini delle cose precisi
perché scrivo queste cose
prima della morte di mio padre
non so ma certo
qualcosa in lui non lo spingeva a morire


LUCE

Luce
La luce ti ferisce e ti fa dormire
La luce ti ferisce e ti fa dormire,
la luce ti ferisce
la luce ferisce te che dormivi e che
vorresti continuare a rannicchiarti cisposo,
in un letto di umano odore.
Ma non è possibile.
Doppiamente
La luce ti ferisce e ti fa dormire,
tremando,
come se tu non potessi dormire,
come se tu non potessi rannicchiarti senza dormire,
senza che la luce ti ferisca,
fiscale,
materna, burocraticamente
assassina.


NON SI PUÒ ESSERE UMANI

Non si può essere umani
non ci è più concesso
bisogna essere insensibili come animali
provare sensazioni semplici
piccoli dolori
piccole colazioni artigianali
piccole scempie
non si può riflettere meditare
tirare conclusioni
bisogna mangiare erba


ODIO

Io mi odio al punto,
che odio chi mi ama


MAGRITTE

La foglia contiene già in sé l’albero
il profilo dell’uomo contiene la sua serata
La nuvola contiene in sé l’orizzonte
e la memoria è una ferita
sulla tempia di una statua olimpica.
La mela si erge sopra un collo inesistente,
testa vegetale
e il titolo è sempre necessario,
sempre necessario.
Mentre la nuvola entra nella nostra intimità,
e il mondo vegetale si mischia con quello animale,
i vestiti si mischiano col corpo
le funzioni col mezzo (l’uccello col cielo)
una mela ascolta invadente
e noi, con le nostre tre lune,
guardiamo i pani sfilare nel cielo,
e dalla finestra, inquietanti,
ci guardano scomposti
cinquanta dei nostri ii
orrenda
vendemmia di morte.
Mentre un uccello di pietra
vola
in un cielo dipinto
delle nostre facce
addio sole,
triste sul vestito nero.


POLVERE

Sarò sempre un po’ meno di quello che sono,
e anzi, molto meno. Polvere. Ho perso molto.
Ciò che si perde è irrecuperabile, e se lo si recupera esso
è ormai disperso, non rientra più nell’ordine prestabilito
delle cose. Sono contento
se di me non rimane che un lieve
involucro. Ho perso
molto. In questa levità,
ciò che più importa è l’assenza di acuti,
che tutto sia tondo e raccolto. Basta
questo. Tutto ciò che è devastato può divenire rotondo,
ancora rotondo. Come un vaso. È ancora possibile.
La polvere può essere recuperata. La polvere era una volta
detriti. Ora la polvere non è detriti,
è lenta friabile. La polvere
è un po’ meno, ma può essere
tenuta insieme. Le ferite
possono diventare polvere, raccolta
e conchiusa. Sono contento
di non capire le cose. La loro
ragione. Vi sono cose che ignoro, e sono
contento. Appaiono come misteri,
tranquille. Ad esempio,
la ragazza che incontro sempre, mi ama
o no? Non lo so. Sono contento
di non saperlo. Sono contento di non sapere
se l’amo, o meglio, so che non l’amo, che potrei
amarla; sono contento
di non sapere se avrei potuto amarla. Questo mistero
mi rassicura più del suo amore.
È bello non sapere. Non sapere, ad esempio,
quanto vivrò,
o quanto vivrà la terra.
Questa sospensione
sostituisce l’eternità.
(...)


FACILE PROFEZIA

Le macchine si muoveranno di loro propria autonoma
volontà, e saranno vive.
Qualcuno penserà di farle funzionare meglio facendo
provare loro un senso di benessere
quando un’operazione riesce,
e magari un uguale senso di benessere a certe parole
di lode degli uomini o al tono della loro voce.
E un senso di malessere quando saranno guaste, e quando
gli uomini non saranno contenti di loro;
e un senso di malessere, all’opposto,
quando hanno lavorato troppo e si danneggiano.
E un senso di malessere, infine, quando mancherà loro
l’energia
necessaria. E allora le macchine avranno fame,
e cercheranno il cibo e cominceranno
a contenderselo e a contenderlo agli uomini. E tutto ciò
che è funzionale e armonioso e piacevole sembrerà loro
bello,
ed esse saranno come noi.


Le poesie qui proposte sono tratte dalla raccolta I costruttori di vulcani (Tutte le poesie 1975-2010) pubblicata da Luca Sossella editore (maggio 2010), con la prefazione di Roberto Roversi e la postfazione di Francesco Pontorno.


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