FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

CON E PER LA VITA
La poesia di Luz Mary Giraldo

di Martha Canfield



Secondo una conosciuta e fortunata lettura critica della letteratura colombiana, sarebbe stata precisamente la tradizione poetica di questa nazione a creare il particolare stile narrativo di Gabriel García Márquez. La teoria è stata confermata dall'interessato, che diverse volte ha raccontato con quale esaltazione, nei suoi anni studenteschi, leggeva e imparava a memoria le poesie dei suoi connazionali “piedracielistas” (vale a dire della generazione Piedra y cielo, così chiamata in onore di Juan Ramón Jiménez). Le letture avvenivano soprattutto durante i suoi spostamenti in tranvai, da una parte all'altra del lunghissimo altipiano sul quale è costruita la città di Bogotà, e gli servivano per isolarsi dalla fredda e malinconica capitale andina, in contrasto con il suo carattere solare e la sua modalità caraibica. La poesia piedracielista colombiana dunque avrebbe dato uno straordinario frutto imprevedibile: la magica prosa ritmica e folgorante di Cent'anni di solitudine. E su questo tutti sono d'accordo. Invece, ciò che non è ancora troppo evidente, e che pure possiamo ipotizzare, è l'influenza che la prosa di Cent'anni, insieme a tutta l'opera di García Márquez, ha avuto sulla poesia degli anni '80 e '90. Un esempio rappresentativo di questo lo troviamo nell'opera di Luz Mary Giraldo, in particolare nella sua raccolta del '96, Con la vida (prefazione di Cristo Rafael Figueroa, CEJA, Bogotá, 1996).

La scrittrice (nata a Ibagué, Colombia, nel 1950, primo libro El tiempo se volvió poema, del 1974) ha dimostrato fin dall'inizio la sua preferenza per uno dei due poli della poesia colombiana contemporanea, quello rappresentato da Giovanni Quessep, con la sua poesia armoniosa e raffinata, costruita sulla metafora e sul mito, per opposizione alla poesia vitalista, cronachistica e popolare di Mario Rivero. Attraverso la linea di Quessep, la Giraldo si collega sia ai piedracielisti che a García Márquez, ma è soprattutto di quest'ultimo che si sente la traccia nei suoi versi: una particolare combinazione di lingua immediata e molto ritmica – predominano gli endecasillabi, mascherati dietro contesti apparentemente prosastici –, l'ambientazione insieme familiare e magica in cui gli oggetti vivono e sentono, ritratti di personaggi fortemente caratterizzati dai relativi ruoli. Si vedano ad esempio questi versi:

      La frase d'amore persa nella memoria
      si risveglia come per opera di magia
      e salta nel mezzo del pomeriggio.
      Sorprende il suo gesto dimenticato
      e il colore contagioso dei tempi.
      Come una farfalla vola di fiore in fiore
      e alla fine della notte cade,
in cui la parabola della frase d'amore sembra rimandare al meccanismo di creazione tipico del realismo magico. E si vedano in particolare i commoventi ritratti del padre, della madre, dei figli, degli amici, degli scrittori amati, che sembrano voler soddisfare quel potente desiderio di «raccontare un mondo», tipico del creatore di Macondo.
Perfino la bella epigrafe di Blas de Otero, con cui si apre la sua raccolta Con la vida, appare in sintonia con il mondo di angeli troppo umani e poco efficienti di García Márquez: «Angelo fieramente umano / accorre a salvarvi, ma non sa come!».

Eppure, gli autori citati dalla Giraldo, tra cui predominano i colombiani almeno nella prima fase della sua poesia, sembrano assimilati e modificati all'interno di una visione che appartiene completamente all'autrice. Per esempio, nel componimento dedicato a suo padre, la citazione di Mutis («Che la morte ti accolga con tutti i tuoi sogni intatti») non ha il significato scoraggiante del degrado dei sogni lungo la vita, proprio di Mutis, ma si presenta piuttosto come un dolce augurio per il defunto amato, quasi come una formula magica per agevolare il difficile trapasso.
L'anelito di questa poesia – ed è forse il suo lato più accattivante – rimanda ai miti della femminilità primordiale, dove certi ruoli tradizionali appaiono modificati secondo l'ottica di un osservatore moderno, iniziato ormai alla psicanalisi. L'io poetante può essere Arianna, ma essa si trova nel centro del labirinto (come nelle versioni più antiche del mito) e si confonde con il mostro in attesa di redenzione:

      Come animale in gabbia mi trattengo
      guardo verso la finestra aperta
      ascolto i tuoi passi
      e faccio scorrere il requiem
      che circola per le strade.

      Come animale assillato
      vedo l'ombra attenta
      entrare nel labirinto.

      Forse Teseo verrà a liberarmi.

L'io poetante può essere anche Icaro, che fugge dal labirinto con un volo scuro e solitario, ma che però si solleva, non sotto il sole, che avrebbe bruciato le sue ali, bensì «in mezzo alla notte».
L'eredità di un grande scrittore è sempre imprevedibile. Quella di García Márquez è stata vasta e feconda: lo dimostrano la nuova poesia colombiana e la voce suadente di Luz Mary Giraldo.


NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE

Luz Mary Giraldo è nata nella città di Ibagué, Colombia, nel 1950, e si è laureata in Lettere e Filosofia all'Università Javeriana di Bogotà, dove è stata docente di Letteratura latino-americana contemporanea per circa trent'anni. Attualmente insegna presso l'Universidad Nacional di Bogotà. È poeta e critica letteraria e ha all'attivo numerose pubblicazioni sulla letteratura colombiana, in particolare sulla narrativa, per le quali ha ricevuto diversi premi.
Ha pubblicato i seguenti libri: José Donoso: el laberinto de la identidad, Universitas Humanistica, Bogotá, 1982; La novela colombiana ante la crítica. 1975-1990, Centro Editorial Javeriano (CEJA), Bogotá, 1994; Fin de siglo: narrativa colombiana, CEJA, Bogotá, 1995; Narrativa colombiana. Búsqueda de un nuevo canon: 1975-1995, CEJA, Bogotá, 2000; Ciudades escritas. Narrativa colombiana contemporánea, Convenio Andrés Bello, Bogotá, 2001, 2ª ed. 2005; R. H. Moreno-Durán: Fantasía y verdad, Universidad Nacional de Colombia, Bogotá, 2005; Más allá de Macondo. Tradición y rupturas literarias, Universidad Externado de Colombia, Bogotá, 2006; Germán Espinosa, Señas del amanuense (insieme con Cristo Figueroa e Carmen Elisa Acosta), Universidad Javeriana, 2008; En otro lugar. Migraciones y desplazamientos en la narrativa colombiana contemporánea, Editorial Universidad Javeriana, Bogotá, 2008.
Ha curato le seguenti antologie: Jardín de sueños. Textos para niños, Colcultura, Bogotá, 1988; Ellas cuentan. Relatos de escritoras colombianas de la colonia a nuestros días, Seix Barral, Bogotá, 1998; Cuentos de fin de siglo, Seix Barral, Bogotá, 1999; Café con amor (antologia di poesia e prosa, insieme con Henry Luque), Fondo Cultural Cafetero, Bogotá, 2001; Cuentos caníbales, Alfaguara, Bogotá, 2002, 2ª ed. 2006; Cuentos y relatos de la literatura colombiana, Fondo de Cultura Económica, Bogotá, 2005, 2ª ed. 2006; Una ciudad partida por un río. Cuentos de Medellín, Planeta/Instituto Cervantes, Bogotá, 2008.
È autrice delle seguenti raccolte poetiche: El tiempo se volvió poema, Cafastía, Ibagué, 1974; Camino de los sueños, Instituto Tolimense de Cultura, Ibagué, 1981; Con la vida, CEJA, Bogotá, 1996; Poems/Poemas (insieme con Óscar Torres Duque (edizione bilingue spagnolo-inglese), University of Washington, Seattle, 1998; Hoja por hoja, Universidad Nacional de Colombia, Bogotá, 2002; Postal de viaje, El Malpensante (Universidad Externado de Colombia), Bogotá, 2003; Sonidos en la luz, Hombre Nuevo Editores, Medellín, 2009.




LUZ MARY GIRALDO
Poesie scelte


LA HORA DE LOS PÁJAROS

Inasible y costurera
la palabra
cubre con tela engañosa
la herida de la noche:
juega a la libertad
o sueña la ventura.
Como eterna Penélope
teje la túnica de todos
deshilvana el secreto de la espera
hasta inventar un nuevo rostro
o un espejo sin nombre.
Inasible y costurera oye pasar
el viento fatigado por los pájaros.


L’ORA DEI PASSERI

Inafferrabile ricamatrice
la parola
copre di tela ingannevole
la ferita della notte:
gioca alla libertà
o sogna la fortuna.
Come una Penelope eterna
tesse la tunica di tutti
sfila il segreto dell’attesa
fino ad inventare un nuovo volto
o uno specchio senza nome.
Inafferrabile ricamatrice ascolta passare
il vento logorato dai passeri.


POEMA CON GATO

como una divinidad desdeñosa
JORGE LUIS BORGES

Como el gato
el poema se niega a la caricia.
Juega
camina caprichoso
busca el lugar más elevado
salta
rechaza el sitio inhóspito
desciende
husmea
escarba
aleja la carroña
las cenizas
deja en silencio la soledad
y la palabra.


POESIA CON GATTA

come una divinità sdegnosa
JORGE LUIS BORGES

Come una gatta
la poesia rifugge le carezze.
Gioca
cammina capricciosa
cerca il luogo più elevato
salta
rifiuta i posti inospitali
scende
fiuta
razzola
allontana la carogna
le ceneri
lascia in silenzio la solitudine
e la parola.


ADOLESCENTE ROSTRO QUE DESPIERTA

Como Penélope
tejes el hilo de colores
buscas aquí y allá
gitana adolescente
inventas el hoy de un paraíso
en el amor que a diario te impacienta.

Oyes el ruido de la tarde
y la noche
la oscura de tu alma
trastoca los vocablos
y amar es principio de amargura
encuentro con el arco de la pena.

Adolescente rostro
te despiertas
despides un amor
y a otro das la bienvenida
tejes de nuevo otro tapiz
el sueño
la pesadilla entre la sombra.
Tejes y tejes
Penélope de siempre
aún no sabes que cuando cierras una puerta
se abre en silencio una ventana
florecen girasoles
hay luz
oscuridad
dolor y amor
y gozo de estar vivo
no entiendes que el pasado es arcilla del presente
y que el tiempo es colección de mariposas.

Adolescente innumerable
tu cuerpo se despierta
miras aquí y allá
indagas al espejo
te sorprendes
indagas
y aún no sabes que la vida
hace un balance en tu mirada.

Buscas
y está lejano el día
en que te encuentres a solas:
a solas con la vida.

A Susana Jaramillo, 1996


ADOLESCENTE VOLTO CHE SI SVEGLIA

Come Penelope
tessi il filo colorato
cerchi qua e là
gitana adolescente
inventi l’oggi di un paradiso
nell’amore che ti impazientisce quotidianamente.

Senti il rumore della sera
e la notte
la notte oscura della tua anima
disordina i vocaboli
e amare è l’inizio dell’amarezza
incontro con l’arco della pena.

Adolescente volto
ti svegli
dici addio ad un amore
e a un altro dai il benvenuto
tessi nuovamente un altro arazzo
il sogno
l’incubo tra le ombre.
Tessi e tessi
Penelope sempiterna
ancora non sai che quando chiudi una porta
s’apre in silenzio una finestra
fioriscono i girasoli
c’è luce
oscurità
pena e amore
e l’estasi d’esser vivi
non comprendi che il passato è l’argilla del presente
e che il tempo è una collezione di farfalle.

Adolescente innumerevole
il tuo corpo si sveglia
guardi qua e là
indaghi nello specchio
ti sorprendi
indaghi
e ancora non sai che la vita
tira le somme nel tuo sguardo.

Cerchi
ed è lontano il giorno
in cui ti ritroverai da sola:
da sola con la vita.

A Susana Jaramillo, 1996


PAISAJE ÁRIDO

Si hubiera en este paisaje una mujer estaría sola
si hubiera un hombre
sería un hombre solo.

Frente a un árbol
un pájaro entrena la soledad:
canto seco.

El hombre y la mujer solos
indiferentes al cielo y a los astros
oyen el canto de ese pájaro.


ARIDO PAESAGGIO

Se in questo paesaggio ci fosse una donna
si troverebbe sola
se ci fosse un uomo
sarebbe un uomo solo.

Di fronte a un albero
un uccello allena la solitudine:
canto asciutto.

L'uomo e la donna soli
indifferenti al cielo e alle stelle
ascoltano il canto dell'uccello.


SILENCIO PARA VIVIR

Pido silencio para vivir la flor y el fruto
un viaje de palomas
y peces que dancen en el agua.
Pido silencio y se ahoga la paz en cada esquina
golpea el dolor en el sitio del recuerdo
y el hijo apaga su lámpara bajo la muerte aliterada.

Silencio para vivir
y retornan pasajeros sin sueño
palomas mensajeras sin un ramo de olivos otean el horizonte
donde la voz es un clamor
una triste elegía que viene del diluvio.

Para vivir
para escuchar el murmullo escrito en tantas páginas
y encontrar los ojos perdidos desde siempre
para buscar la paz
para mirarla de frente
si es que existe.


SILENZIO PER VIVERE

Chiedo silenzio per vivere il fiore e il frutto
un viaggio di colombe
e pesci che danzino nell’acqua.
Chiedo silenzio e si affoga la pace ad ogni crocevia
il dolore colpisce il punto esatto del ricordo
e il figlio spegne la lampada sotto la morte allitterata.

Silenzio per vivere
e ridivenire passeggeri insonni
colombi messaggeri senza alcun ramo d’ulivo scrutano l’orizzonte
dove la voce è clamore
una triste elegia che viene dal diluvio.

Per vivere
per ascoltare il sussurro scritto in tante pagine
e ritrovare gli occhi perduti da sempre
per cercare la pace
per guardarla negli occhi
se è vero che esiste.


POEMA CON ADIÓS

Yo soy el que llora y escribe en el invierno.
JORGE EDUARDO EIELSON

Suspendida en el aire
la mano aleja el paraíso

Abanico la mano
se cierra y cae.
El cuerpo entra a la casa vacía
sombra
el silencio llama:
temblor de mar
pájaro taciturno.


POESIA CON ADDIO

Io sono colui che piange e scrive nell'inverno.
JORGE EDUARDO EIELSON

Sospesa per aria
la mano allontana il paradiso

Ventaglio quella mano
si chiude e cade.
Il corpo entra nella casa vuota
ombra
il silenzio chiama:
tremore di mare
uccello taciturno.


PÁGINA EN BLANCO

Oigo caer la noche como una dormidera.
Llamo a la casa de Dios:
Silencio.

Oigo caer la voz
página en blanco
umbral de la memoria.
Atizo el leño en espera de calor
llama que no ciega.

Un pájaro abre sus alas
se posa lento en un ramo de olvidos
una palabra se enreda en su pico.
El dolor alza vuelo.

Para Ignacio Ramírez. En memoria.


PAGINA IN BIANCO

Ascolto cadere la notte come un papavero.
Busso alla casa di Dio:
Silenzio.

Ascolto cadere la voce
pagina in bianco
soglia della memoria.
Soffio sulla legna in attesa del caldo
fiamma che non acceca.

Un uccello apre le ali
si posa lentamente su un ramo di oblio
una parola s'impiglia nel suo becco.
Il dolore spicca il volo.

Per Ignacio Ramírez. In memoriam.

>br>

LOS VALSES DE CHOPIN

Con los valses de Chopin regreso a la joven que un día fui.
El jardín arde y espléndido declara el triunfo de la vida
como cuando las musas existían
y susurraba la hierba en el amanecer.
En el inmenso patio de la memoria
oigo preludios
y me pregunto dónde quedó mi casa
dónde mi razón de ser
y dónde mi sosiego.


I VALZER DI CHOPIN

Con i valzer di Chopin ritorno alla ragazza che un giorno sono stata.
Il giardino splende e magnifico dichiara il trionfo della vita
come ai tempi in cui esistevano le muse
e l'erba nel primo mattino sussurrava.
Nell'immenso cortile della memoria
ascolto preludi
e mi domando dove è rimasta la mia casa
dove la mia ragione d'essere
e dove la mia quiete.

>br>

SIN TREGUA

No alcanzan los enterradores para las fosas comunes.
No hay incienso ni cirio para velar cadáveres.
No alcanzan la voz
ni las lágrimas de las plañideras
no hay tiempo para las honras fúnebres.

¿Para qué la vida si no da tregua la muerte?
Los pájaros entonan un sordo requiem cada día.


SENZA TREGUA

Non bastano i becchini per le fosse comuni.
Non c'è incenso né ceri per vegliare i cadaveri.
Non bastano le voci
né le lacrime delle prefiche
non c'è tempo per gli onori funebri.

A quale scopo la vita se la morte non da tregua?
Gli uccelli intonano un sordo requiem ogni giorno.


CALENDARIO

        ¿Quién me impuso esta misión ajena?
        Esta condena de jilguero
        con sed
        golpeando la luz.

                   MÁRGARA RUSSOTTO

Despertar
con los ojos llenos de días y semanas
buscar en el fondo de las cosas
mientras escribo mi libro con la vida.

Hacerle frente a la pereza
el lunes
lavar la ropa manchada por la sombra
y con placer domesticarla
doblarla el martes
una con otra
como se doblan las ausencias
ponerla en su lugar
y el miércoles
limpiar las telarañas.
El jueves
sacudir el polvo
dar brillo a la nostalgia.
El viernes
arrastrar el tiempo
el peso de los años
y el sábado pensar en el domingo
mezclar ajo con hierbas
con flores y tomillo
amasar la milhoja y el silencio
poner la mesa de un día sobre otro
al centro de la sala.

La campana se une a la fatiga
cuando la noche cae:
señales de vida en el mantel
sombras que ordenaré mañana.

Cae la noche al fondo de mi alma:
despido una vez más otra semana
el mismo calendario
los días enlazados
con el vaso de vino
el mantel bien planchado
y el aceite de olvido en la mirada.


CALENDARIO

        Chi mi ha inflitto questa missione estranea?
        Questa condanna da cardellino
        assetato
        che batte contro la luce.

                   MÁRGARA RUSSOTTO

Risvegliarsi
con gli occhi pieni di giorni e settimane
cercare in fondo alle cose
mentre scrivo il mio libro con la vita.

Fare fronte alla pigrizia
il lunedì
lavare i panni macchiati dall'ombra
e con gioia addomesticarli
piegarli il martedì
uno contro l'altro
come si piegano le assenze
metterli a posto
e il mercoledì
pulire le ragnatele.
Il giovedì
togliere la polvere
lucidare la nostalgia.
Il venerdì
trascinare il tempo
il peso degli anni
e il sabato pensare alla domenica
mescolare aglio con erbe
con fiori e con timo
impastare millefoglie e silenzio
apparecchiare il tavolo di un giorno sopra l'altro
al centro della stanza.

La campana si associa alla fatica
quando arriva la notte:
segni di vita sulla tovaglia
ombre che sistemerò domani.

Arriva la notte in fondo alla mia anima:
congedo ancora un'altra settimana
lo stesso calendario
i giorni associati
col bicchiere di vino
la tovaglia stirata
e l'olio dell'oblio nello sguardo.


Traduzione dallo spagnolo di Martha Canfield
e, per le prime tre poesie, di Silvia Favaretto




INTERVISTA A LUZ MARY GIRALDO
di Martha Canfield



In un vecchio lavoro mio sulla poesia colombiana contemporanea, avevo definito due linee fondamentali rappresentate da Mario Rivero e da Giovanni Quessep. Cosa ne pensi e in quale di queste due linee ti riconosceresti?

Ci sono sicuramente due linee opposte nella lirica colombiana: da una parte, come nel caso di Mario Rivero – considerato dalla critica un poeta di rottura con grande incidenza sulle nuove generazioni – con una poesia spietata, tenera e incisiva, disinvolta, spoglia di retorica, quasi narrativa, e per questo considerata anche come “antipoetica”, si sostiene una visione e un tono molto vicini alla realtà, al quotidiano, alla birberia, alla rovina, agli esseri anonimi, popolari e marginali della città. Anche se lui è stato associato ai Nadaisti e alla Generazione senza nome, può anche essere visto come un poeta insulare, con certi punti in comuni con i nadaisti, in particolare lo spirito irriverente, e anche con la Generazione senza nome per via dell’apertura a nuove possibilità della parola poetica. Io vedo la sua poesia in linea con altri autori colombiani contemporanei quali Jotamario Arbeláez, Armando Romero, Darío Jaramillo Agudelo, María Mercedes Carranza. In tutti loro il disinganno è sdrammatizzato dall’ironia. L’altra linea invece, incarnata da Giovanni Quessep, illustra la tradizione lirica di antica radice colombiana, è quella che si rifà al ritmo dell’emozione e del sentimento, come lui stesso ha affermato diverse volte, “alla lirica dell’anima e dei sogni”. Poesia d’immagini molto visive, di metafore e concetti radicati nel romanticismo, il simbolismo e il modernismo, e nel suo caso specifico con una simbiosi con tradizioni poetiche orientali e classiche, con riferimenti sia alle Mille e una notte sia a Omar Khayyam, Omero, Shakespeare, Keats, Ungaretti, insomma poeti e testi che sostengono gli universali, il ritmo dell’universo e della creazione come sogno guidato, oltre l’immediato. In Colombia questo versante si lega all’intimismo di José Asunción Silva, di Aurelio Arturo, di Fernando Charry Lara. Riconosco nel mio lavoro poetico una maggiore vicinanza a quest’ultima tendenza per quanto riguarda l’intimismo, l’interesse per tematiche universali, il ricorso alla metafora, il piacere del bello, un certo disinganno…

Come vedi la Generazione senza Nome, chiamata anche Generazione di “Golpe de Dados”, per via della famosa rivista fondata da Mario Rivero? Credi che tu fai parte di quella generazione?

Dopo lo slancio ribelle del Nadaismo, che negli anni ‘60 aprì nuove possibilità alla coscienza critica e a un atteggiamento più ludico da parte dello scrittore (il che risultò definitivo per i narratori venuti fuori a partire dagli anni ‘70), e diversamente dai nadaisti, il gruppo di poeti chiamato in un primo momento “Generazione senza Nome” si sganciò da movimenti e proclami e volle restituire alla poesia il valore puramente lirico, che secondo loro era stato messo in crisi dai gesti estemporanei dei nadaisti. In diverse occasioni tornarono su valori più consoni alle concezioni tradizionali, canoniche, restando giustamente importanza agli atti spettacolari e provocatori dei loro predecessori. Così questa generazione, che acquista coscienza di se stessa a partire dagli anni ’70, è costituita da una serie giovani poeti molto diversi tra loro, legati solo dalla spinta generazionale e dal desiderio di costruire nuovi universi poetici. E propiziavano la creazione individuale, non di gruppo: Ecco perché le tendenze oscillavano tra il gusto classico di Quessep (inserito nella generazione in un secondo momento), la preferenza per la lingua colloquiale di Mario Rivero, i modelli spagnoli del ’27 seguiti da Jaime García Maffla, il surrealismo di Henry Luque Muñoz, il culteranismo e il concettismo di Álvaro Miranda, l’intimismo conversazionale di Darío Jaramillo Agudelo, il binomio critica-antipoesia tipico di Juan Gustavo Cobo Borda, l’intimismo riflessivo di Augusto Pinilla, la tendenza avanguardista legata alla riflessione intima di José Luis Díaz Granados, la linea ludico-intimista di Martha Canfield (che divenne anche una delle prime a studiare l’opera in progress di alcuni di questi poeti). In seguito il gruppo si allargò e, oltre ad assumere nuove denominazioni (Generación de Golpe de dados, Generación Desencantada), accolse nuovi protagonisti, come per esempio María Mercedes Carranza, Miguel Méndez Camacho, Juan Manuel Roca, Elkin Restrepo, José Manuel Arango, Harold Alvarado Tenorio, David Bonells, Raúl Gómez Jattin… Formata e riconosciuta ai tempi in cui io ancora frequentavo l’università, è l’ultima generazione poetica importante in Colombia. La sua eterogeneità ha generato, non soltanto il gusto della diversità di proposte, ma anche della singolarità di alcuni dei suoi rappresentanti. Anche se, in senso stretto, considero che erano otto, massimo dieci, i veri protagonisti del gruppo iniziale, dato però che con il tempo andò allargandosi, forse potrei considerarmi anche io parte di questo gruppo. E questo soprattutto per lo spirito dell’epoca, perché storicamente fa parte della rivoluzione del Maggio del ’68, per la costante ricerca, non ultimo per i legami generazionali e di amicizia che mi legano a buona parte di questi autori. Di fatto sono stata inserita in qualche antologia del gruppo.

Quali sono le voci femminili più importanti della poesia colombiana? Come ti senti tu in quel contesto?

Anche se in Colombia c’è molta ingiustizia letteraria nei confronti delle voci femminili in tutti i generi, va riconosciuto che fino a un certo punto sono poche quelle che hanno lasciato una vera traccia, cosa facilmente provata dalle antologie di diverso tipo ed epoca, nelle quali la grande percentuale di voci sono maschili. In ogni caso, della prima metà del secolo XX non si devono dimenticare figure eccezionali come Matilde Espinosa, Maruja Vieira, Meira Delmar, Dora Castellanos, Emilia Ayarza, considerate appartenenti a Piedra y Cielo o a Mito. Tutte loro si muovono tra la tradizione modernista e un ansia di innovazione più contemporanea. Della seconda metà del secolo scorso fino a oggi ci sono diverse voci interessanti, quali Olga Helena Mattei, María Mercedes Carranza, Renata Durán, Anabel Torres, Piedad Bonnett, Luz Helena Cordero, Mery Yolanda Sánchez, Eugenia Sánchez Nieto, Ángela García, e più recentemente Andrea Cote. Non è superfluo ricordare ancora Francisca Josefa del Castillo y Guevara, riscattata tra i protagonisti della letteratura coloniale, divenuta sempre di più oggetto di studio e di riconoscimento. Quanto a me, credo che la mia poesia sia più vicina a quella Piedad Bonnett, per via dell’intimismo domestico, l’immagine metaforica e, da un punto di vista più generale, e cioè pensando alla poesia contemporanea di ogni luogo, per via del tono disincantato, tipico della contemporaneità.

Nella tua poesia noto un’evoluzione da una fase più ludica e insieme intimista, dolce e femminile, verso una fase di maggiore disinganno, dove il dolore sembra essere l’istanza fondamentale. Sei d’accordo? Vedi questa evoluzione come qualcosa di personale o come uno sviluppo normale della peripezia esistenziale?

Mi pare giusta questa percezione della mia evoluzione poetica: femminile, ludica e intimista all’inizio e chiaramente disincantata nei miei libri più recenti, e ancora di più negli ultimi due, ancora inediti. Credo che ci sia senz’altro un’evoluzione personale ed esistenziale, ma credo anche che i colpi della vita, al di là del privato, siano in rapporto con la coscienza della crisi contemporanea e soprattutto con il dolore che vive il mio paese. Riconoscere la decadenza, l’esilio o lo spostamento forzato, la miseria, il crollo delle utopie, la costante incertezza, lascia tracce profonde nel quotidiano vivere (così si chiamerà l’antologia che sto preparando della mia opera: Diario vivir, cioè “Quotidiano vivere”). E anche se uno slogan nazionalista sostiene oggi che «Colombia è passione», e i mass media affermano che un’alta percentuale di colombiani intervistati sono convinti che la Colombia sia popolata dagli esseri più felici del mondo, senza considerare questi sogni o vaneggiamenti, è chiaro che c’è molto dolore e molto distacco, molta morte, molto “falso positivo”, molta creciente, o «fiume in piena», come dice la poesia Álvaro Mutis. Bisogna considerare che la poesia, come ogni atto creativo, è una forma di coscienza, espressione della conoscenza interiorizzata. Se lì si trova la storia personale, c’è anche la storia sociale, quella delle letture e delle affinità, ecco perché i temi e il linguaggio evolvono con l’autore. Nell’istante in cui si scrive è possibile fondere le varietà e le combinazioni di ciò che siamo e di ciò che siamo stati in solitudine e in comunità.

Chi riconosci come i tuoi maestri o le tue fonti?

Riconosco diverse persone come quelli che mi hanno “iniziato”: nella mia infanzia mio padre, che mi regalò libri e mi insegnò che possono essere una vera compagnia; nella mia adolescenza, un’insegnante di letteratura chiamata María Mercedes, che mi fece capire che la vita è proprio là; più tardi ho incontrato Martha Canfield e Giovanni Quessep, e con loro ho imparato ad ascoltare le intuizioni, a riconoscere la potenza vitale e il senso orfico e proteico della parola, l’essenziale. Ognuno mi aprì strade nuove. Martha quella del piacere della lettura e della acutezza critica, il gusto della comprensione e della spiegazione di un testo, di un’epoca, di un autore; Giovanni, quello dei rapporti tra le opere. Grazie a loro sono risalita a diverse fonti che con il tempo si sono diversificate: con Giovanni Le mille e una notte e i racconti fantastici, la Divina Commedia, autori italiani come Petrarca, Giuseppe Ungaretti, Quasimodo, Pavese, Montale, e poi Faulkner, Proust, Jorge Luis Borges. Con Martha altri classici: i greci e i romantici, la scoperta degli autori del boom latinoamericano e poeti come Huidobro e Vallejo, Lezama Lima, Mutis e Paz. Attualmente leggo Anna Akhmatova, Marina Cvetaeva, Wiesława Szymborska, Mahmud Darwish, Michael Ondaatje.

Quali sono i tuoi poeti ispanoamericani preferiti?

Tra le mie letture costanti ci sono: Blanca Varela, Eugenio Montejo, Juan Gelman, Tomás Segovia, Jorge Eduardo Eielson, Gonzalo Millán, Óscar Hann, Idea Vilariño, Ida Vitale, Márgara Russotto e María Inés Zaldívar. Ritorno regolarmente a César Vallejo.

Quali poeti italiani conosci meglio e apprezzi di più?

Dicevo prima che grazie a Giovanni Quessep ho conosciuto Ungaretti e continuo a leggerlo con ammirazione. E grazie a Martha Canfield sono entrata in contatto con poeti italiani contemporanei che ho letto e che m’interessano, tra cui Pasolini, Edoardo Sanguineti, Valerio Magrelli, Paolo Ruffilli, Alessio Brandolini, quasi tutti conosciuti di persona nei loro viaggi come poeti in Colombia. Ma mi interessano pure autori che a partire dalla saggistica e dalla narrativa rimandano a riflessioni sul pensiero e le forme contemporanee, come Gianni Vatimo, Umberto Eco, Italo Calvino, Claudio Magris, Tabucchi, Bufalino, Primo Levi, i quali in qualche modo sono riusciti a costituirsi, accanto ad autori di altri paesi e culture, in fonti di riflessione e di lettura. È chiaro che nella mia formazione letteraria c’è una grande affinità con gli scrittori italiani.

Tu ti sei dedicata a studiare specialmente la narrativa breve in Colombia. Hai scritto anche narrativa breve? Credi che ci debba essere una distanza tra il lavoro creativo e il lavoro critico?

Non ho scritto narrativa breve, anche se in passato ho scritto racconti per bambini pubblicati da varie riviste letterarie. Come studiosa ho cominciato facendo critica poetica e dopo sono passata allo studio della narrativa colombiana e latinoamericana contemporanea senza staccarmi dalla creazione poetica né dalla didattica. Recentemente sono ritornata alla critica poetica. E anche se per diverso tempo ho creduto che la ricerca, l’esercizio critico e la didattica potevano nuocere all’energia della creazione poetica, col passare del tempo ho capito che una cosa alimenta l’altra, se riesci a dare a ogni compito il proprio spazio e la propria dimensione. Le letture critiche, quelle di altre opere letterarie di finzione o di saggistica, tanto quanto quelle poetiche, possono aprire prospettive e nuove visioni del mondo, suscitare dialoghi e interscambi positivi. Il problema sta nel poter godere del lavoro critico o didattico avendo anche il tempo sufficiente per la propria creazione. Forse qui torna il famoso detto che non si può “servire due padroni”, perché qualcuno potrebbe rimanere trascurato, e nel caso della creazione (come nella vita amorosa), questo è abbastanza evidente.


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