FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

IL SALE
La poesia di Mariano Peyrou

di Alessio Brandolini



Il nulla si dilata.           

Mariano Peyrou           

Mariano Peyrou nasce a Buenos Aires nel 1971, ma con la sua famiglia si trasferisce a Madrid nel 1976, dopo il colpo di stato militare, e qui tutt’ora vive. È sassofonista e si è laureato in Antropologia sociale. Ha pubblicato le raccolte poetiche: La voluntad de equilibrio (Fundación María del Villar, 2000), A veces transparente (Bartleby Editores, 2004), La sal (Pre-Textos, 2005) e Estudio de lo visible (Pre-Textos, 2007). In Argentina sono state pubblicate due antologie della sua opera: De las cosas que caen (Bajo la luna, 2004) e La unidad del dos (EDUCC, 2004). Un’antologia bilingue dei suoi testi è uscita recentemente in Portogallo: O discurso opcional obrigatório (Averno, 2009).

La libertà formale di Mariano Peyrou è una delle caratteristiche più rilevanti del suo lavoro di scrittura, che segue un cammino molto personale nell’ambito della poesia contemporanea spagnola, un impegno teso a “decostruire” le strutture poetiche tradizionali, utilizzando il monologo interiore, l’intreccio di conversazioni reali o oniriche o immaginarie, il flusso di coscienza, zumando poi su un singolo oggetto, una parola, un gesto, un’immagine, “mormorando una lingua che/ comprende qualsiasi cellula”. Un procedimento che ricorda la école du regard, ma senza eccessi sperimentalistici e curando molto la musicalità del testo, marcando la necessità e l’urgenza della scrittura (“parlo per potermi immaginare/ che sono vivo”). Una ricerca poetica radicale e appartata, che coinvolge costantemente i ricordi: la loro mutevolezza nel tempo, nella mente, la loro potenza spesso incontrollabile nell’incidere/bloccare il presente. Una lingua franta, comune che a volte procede fluidamente ma a volte sintatticamente s’inceppa, come se il verso fosse uno specchio che riflette ambiguità e sofferenze dell’autore, del mondo circostante.

Non manca il gusto dell’ironia, dello sberleffo nel riprodurre il linguaggio effimero e piatto delle immagini, lo stesso che sta uccidendo la parola scritta, la riflessione che scalfisce la superficie e poi scava nell’anima, nell’inconscio. Allora il dolore è percepito, ma senza masochismi, come il sale della vita, qualcosa che dà spessore ai giorni, alle proprie indefinite sensazioni, al Nulla che si estende intorno a noi, che si dilata e avvolge ogni cosa: la deforma, la assorbe fino a cancellarla. Il dolore come necessità del ricordo, di salvaguardare la propria infanzia dagli strappi violenti dei giorni, dall’esilio e dalla solitudine.
Il sale/dolore che aiuta a identificare un io sempre in movimento, o duplice, o in maschera ma che ha il coraggio di andare in mezzo agli altri, di attraversare il mondo, contrastando l’innato desiderio di starsene rinchiusi nell’idea e nell’immagine che si ha di se stessi. Il sale che brucia sulle ferite, ma poi le cicatrizza e fa sì che il sangue non ristagni nei labirinti dell’anima, della psiche, che non si dilati l’incomprensione della vita. Il bianco del sale è, quindi, anche la luce che esplora l’oscuro (l’inconscio) e il visibile (la realtà) e tiene uniti i pezzi della propria identità.

Il sale è un testo più compatto e monotematico della successiva raccolta Studio del visibile (2007), è un lungo e suadente poema diviso in venti movimenti.
I testi qui proposti provengono tutti dalla raccolta La sal (Il sale, pubblicato in Spagna nel 2005, dalla casa editrice di Valencia Pre-Textos). Il libro è in uscita in Italia, in mia traduzione, presso la casa editrice Raffaelli.




POESIE DI MARIANO PEYROU
da Il sale



*

Suena el timbre y puede ser
cualquiera pero no es cualquiera sino
típicamente una tía o amigos de
los padres. Nunca hay que abrir la
puerta a los desconocidos, como mucho a un
señor que ofrece cosas insignificantes. Pudo
haber también un policía, con esa
ambigüedad que tienen a los siete años,
para qué acordarse ahora de algo. La apertura
de esas primeras puertas desde abajo, instante
siempre mal estructurado a ambos
lados de la mirilla, y la siempre
inútil simpatía de los adultos que por
fin entran en casa. El salón
está tan ordenado, ahora es ajeno,
daría casi miedo ser yo mismo o mis
dibujos y raquetas, daría casi
ganas de contar que los padres mienten
y esta seriedad de los sillones y la
mesa y de los padres es disfraz, que hay
té pero el azucarero está lleno de sal.

Existen distintas maneras de abrazar
a la almohada, como se puede
uno meter en la bañera cuando aún
no está llena, o tener y por lo tanto
ser en secreto algún insecto. Desde la
cama son gritos las palabras en
el cuarto de al lado, y el ruido
de las copas una vajilla rota. Las
certezas: sé que soy yo
el que abraza esta almohada porque esta
almohada es la mía; sé que esta almohada
es la mía por su forma de abrazarme.


*

Suona il campanello e può essere
chiunque però non è chiunque bensì
tipicamente una zia o amici dei
genitori. Non si deve mai aprire la
porta agli sconosciuti, al limite soltanto a un
signore che offre cose insignificanti. Poteva
esserci anche un poliziotto, con quella
ambiguità dei sette anni,
perché ricordarsi ora di qualcosa. L’apertura
di quelle prime porte da sotto, istante
sempre strutturato male in entrambi
i lati dello spioncino, e la sempre
inutile simpatia degli adulti che
finalmente entrano in casa. Il salone
così ordinato, ora è estraneo,
farebbe quasi paura essere io stesso o i miei
disegni e racchette, verrebbe quasi
voglia di raccontare che i genitori mentono
e che questa serietà delle poltrone e del
tavolo e dei genitori è maschera, che abbiamo
del tè però la zuccheriera è piena di sale.

Esistono distinte maniere di abbracciare
il cuscino, come si può
entrare nella vasca da bagno quando ancora
non è piena o avere, e per tanto
essere, in segreto un insetto. Dal
letto sono grida le parole nella
stanza confinante, e il rumore
dei bicchieri una stoviglia rotta. Le
certezze: so che sono io
colui che abbraccia questo cuscino perché questo
cuscino è mio; so che questo cuscino
è mio per il modo in cui mi abbraccia.


*

Murmurando un idioma que
entiende cualquier célula, llega el
mar hasta las puertas de un niño que
se moja. El mar hospital es el mar
aeropuerto, a diez kilómetros de altura
se traza una línea sobre la arena donde no
alcanzan las olas con sus manos maternas
y hasta siempre el agua por los
tobillos. El mar verano no es el
único, está también el mar en la ciudad
exilio: el cable del teléfono enterrado
en el fondo, nombres que superan el
naufragio y se arrepienten y reclaman
apellidos, la gestación de una mitología,
la necesidad de aprender a despedirse
sin haber aprendido a saludar
y sobre todo la precaución de
no pisar las junturas de las baldosas, no
acercarse a los bordes ni conjurar
lo liminal o la antizona. El mar
asoma en todo lo que es
puerta: los ocasos, las bocas, la
música, estar solo; asoma y anticipa
la isla y el azar, la sensación de
consecuencia sin causa conocida.

El mar dos polos también finge, simula un
pez lineal, adusto, recurrente; y pájaro,
se resiste al resumen y a la síntesis, pez
cuyo vuelo se aloja en otro mar.


*

Mormorando una lingua che
comprende qualsiasi cellula, arriva il
mare fino alle porte di un bambino che
si bagna. Il mare ospedale è il mare
aeroporto, a dieci chilometri di altitudine
si traccia una linea sulla sabbia dove non
arrivano le onde con le loro mani materne
e per sempre l’acqua fino alle
caviglie. Il mare estate non è
l’unico, c’è anche il mare nella città
esilio: il cavo telefonico sotterrato
nel fondo, nomi che superano il
naufragio e si pentono e reclamano
cognomi, la gestazione di una mitologia,
la necessità di apprendere a dire addio
senza aver appreso a salutare
e soprattutto la precauzione di
non pestare le giunture delle mattonelle, non
avvicinarsi ai bordi né evocare
il liminale o l’antizona. Il mare
si affaccia in tutto ciò che è
porta: i tramonti, le bocche, la
musica, stare da solo; s’affaccia e anticipa
l’isola e il caso, la sensazione di
conseguenza senza causa conosciuta.

Finge anche il mare due poli, simula un
pesce lineare, severo, ricorrente; e uccello,
resiste al riassunto e alla sintesi, pesce
il cui volo alloggia in un altro mare.


*

Piedra que pega contra el
metal de una farola, piedra otra vez
hasta que estallan la bombilla y la
celebración. Piedras las consignas
de la tribu, uniformes los disfraces
transgresores, doctrinas las tesis de los ateos,
de las larvas rebeldes que pasan una llave
sobre la chapa de los coches grabando qué
desgarro, que arrancan y vacían extintores en
la calle para apagar qué incendio.
En su camino hacia la mariposa
no pueden eludir el laberinto de la televisión
o la miseria y se arrancan la piel
por no saber pedir una caricia, la
piel que no se regenera y hará falta una
máscara, piedra que pega contra el
espejo y no lo rompe.

La sal es la sal de la
vida, aletheia constante, y al no haber vida
el resultado es una intensa sed que simpatiza
con el fuego, emergencias que comparten
solución y construyen puentes ocultos
por los que sin embargo se puede conducir
del miedo al hecho, del
deseo a la fe, asociaciones
que prometen y se esfuman, córtate
una oreja y serás un genio de la
pintura, patadas piedras a retrovisores
y papeleras; nada contiene toda mi
basura y conviene no
ver, no oír.


*

Pietra che batte contro il
metallo di un lampione, pietra un’altra volta
fin che esplodono la lampadina e la
celebrazione. Pietre le consegne
della tribù, uniformi i travestimenti
trasgressori, dottrine le tesi degli atei,
delle larve ribelli che passano una chiave
sulla lastra delle auto incidendo che
taglio? che strappano e svuotano estintori per
strada per spegnere quale incendio?
Nel loro tragitto verso la farfalla
non possono evitare il labirinto della televisione
o la miseria e si strappano la pelle
per non sapere chiedere una carezza, la
pelle che non si rigenera e bisognerà fare una
maschera, pietra che colpisce contro lo
specchio e non lo fa a pezzi.

Il sale è il sale della
vita, aletheia costante, e al non esserci vita
il risultato è un’intensa sete che simpatizza
con il fuoco, emergenze che condividono
la soluzione e costruiscono ponti nascosti
per i quali tuttavia si può guidare
dalla paura al fatto, dal
desiderio alla fede, associazioni
che promettono e svaniscono, tàgliati
un orecchio e sarai un genio della
pittura, tiri calci a pietre, retrovisori
e cestini; nulla contiene tutta la mia
spazzatura ed è meglio non
vedere, non ascoltare.


*

Hablo para poder imaginarme
que estoy vivo, camino la función
primordial del lenguaje, salgo
allá donde el anhelo y las
ideas duran hasta que abro
la boca, poco menos que los efectos
ontológicos del eco. Los dedos
interrogan al buzón y los corresponsales
fallan. Hablo, salgo,
pero mi actividad constitutiva es gastar la paciencia.
El destino puede empezar a cumplirse en cualquier
nombre, verbo hasta entonces ilusorio, perseverante,
único. Algo habrá que transvase y amortigüe la demanda:
desvalijar carteros, agotar las funciones
secundarias, imantar los discursos que resbalan
por ahí.

El material viscoso prende en cualquier
oquedad, la ausencia de lenguaje es capaz
de segregar lenguaje: una mirada
es un beso en potencia, un silencio
una orquesta que duerme, cualquier palo
es un cetro deseante de corona.

Se dilata la nada.
La realidad es lo alterable por
error, el derroche fecunda el
ojo ajeno y ya están germinando los retratos.


*

Parlo per potermi immaginare
che sono vivo, percorro la funzione
primordiale del linguaggio, esco
là dove l’anelito e le
idee durano fino a che apro
la bocca, poco meno che gli effetti
ontologici dell’eco. Le dita
interrogano la buca delle lettere e i corrispondenti
falliscono. Parlo, esco,
ma la mia attività costitutiva è spendere la pazienza.
Il destino può iniziare a compiersi in qualunque
nome, verbo fino allora illusorio, perseverante,
unico. Qualcosa ci sarà che si travasi e attenui la richiesta:
svaligiare postini, esaurire le funzioni
secondarie, calamitare i discorsi che scivolano
per lì.

Il materiale viscoso afferra qualunque
vacuità, l’assenza di linguaggio è capace
di segregare linguaggio: uno sguardo
è un bacio in potenza, un silenzio
un’orchestra che dorme, qualunque palo
è un scettro bisognoso di corona.

Il nulla si dilata.
La realtà è l’alterabile per
errore, lo spreco feconda
l’occhio estraneo e già i ritratti stanno germinando.


EL DISCURSO PASIONAL

La luna obligatoria, prohibido
el reflejo, prohibida
la luz del mediodía.
Obligatorio el musgo,
obligatorios el paso y el abismo.
El cielo obligatorio y el infierno
opcional. Lo contingente
prohibido, la paciencia prohibida
y la contabilidad. ¿Lo provisorio? Depende,
pero nunca opcional. Obligatorio
el velo, obligatorio despojarse del velo,
la llave obligatoria o prohibida.
Los fundamentos prohibidos, vuelo integral,
tensión obligatoria. Opcional el recurso a lo
biológico, opcional el empleo de tristezas,
opcional el de la analogía y otros síntomas.
La gota prohibida,
obligatorio el mar.
La herida obligatoria y la sangre
tampoco, circulación total y sin embargo prohibido
mencionar la mitral o la tricúspide.
Prohibida la ley, prohibido
redactar el contrato vigente, prohibidos los ojos
en sus órbitas y en órbitas extrañas.

El discurso opcional obligatorio.


IL DISCORSO PASSIONALE

La luna obbligatoria, proibito
il riflesso, proibita
la luce del mezzogiorno.
Obbligatorio il muschio,
obbligatori il passo e l’abisso.
Il cielo obbligatorio e l’inferno
opzionale. Il contingente
proibito, la pazienza proibita
e la contabilità. Il provvisorio? Dipende,
però mai opzionale. Obbligatorio
il velo, obbligatorio spogliarsi del velo,
la chiave obbligatoria o proibita.
I fondamenti proibiti, volo integrale,
tensione obbligatoria. Opzionale la risorsa al
biologico, opzionale l’impiego di tristezze,
opzionale quello dell’analogia e altri sintomi.
La goccia proibita,
obbligatorio il mare.
La ferita obbligatoria e il sangue
nemmeno, circolazione totale e tuttavia proibito
menzionare il mitrale o il tricuspide.
Proibita la legge, proibito
redigere il contratto vigente, proibiti gli occhi
nelle sue orbite e nelle orbite estranee.

Il discorso opzionale obbligatorio.


EL DISCURSO ESTÉTICO

Significante sin
significado, acto más acá de lo simbólico,
metáfora sin tenor estable, palabra y
punto y más sentido en el punto
que en la palabra: otra manera de
hablar de amor o distribuir la
sal, la desdeñada por esos superficiales
para los que la belleza no es
lo más importante. La
belleza: un texto que no se deja
leer, aquí y aquí una línea exige
cerrar los ojos, detenerse a mirar;
un viaje que se disfruta
mediante la idea del retorno.

Adiós a la supremacía
de la denotación. Vacío, nada más
que el vacío de raíles que corren
sin punto de llegada, puro origen,
y se bifurcan en secreto y
llegan sin saber si algo corre
sobre ellos: otra manera de
ser exactos.

Inspirar con confianza y oxigenar el
signo; tu nombre, rostro invisible de
tu rostro, te sobrevive y siempre vuelve
otro, diferente de sí, trayendo días y raíles.
Esa riqueza, la del olfato, hace justicia
a lo único que admite ser mirado:
el leve, fértil movimiento de lo
que permanece.


IL DISCORSO ESTETICO

Significante senza
significato, atto più in là del simbolico,
metafora senza un saldo referente, parola e
punto e più significato nel punto
che nella parola: un altro modo di
parlare d’amore o distribuire il
sale, disprezzato da quei superficiali
per i quali la bellezza non è
la cosa più importante. La
bellezza: un testo che non si lascia
leggere, qui e qui una linea esige
di chiudere gli occhi, fermarsi a guardare;
un viaggio che si gode
attraverso l’idea del ritorno.

Addio alla supremazia
della denotazione. Vuoto, nient’altro
che vuoto di rotaie che corrono
senza punto di arrivo, pura origine,
e si biforcano in segreto e
arrivano senza sapere se qualcosa corre
su di loro: un altro modo di
essere esatti.

Inspirare con fiducia e ossigenare il
segno; il tuo nome, viso invisibile del
tuo viso, ti sopravvive e sempre torna
un altro, differente da sé, portando giorni e rotaie.
Quella ricchezza, quella dell’olfatto, fa giustizia
all’unico che ammette di essere guardato:
il lieve, fertile movimento di ciò
che rimane.


*

Bocinas luces ella el
volante qué dibujan
qué dicen los
análisis las
células las
ruedas en la
lluvia se extiende las
noticias que ella tapa con sus
nervios crecen giros hoy
hay prisa porque
así es la vida así
es la suerte es
la fuerte más
menos las distancias
un limpiaparabrisas que
levanta un puente el
otro que lo borra
la esperanza
ella es blanca
querida y tiene
la ciencia las
ciudades y sus
sábados y sus aeropuertos
volar volante pisar
ahora calcular
las lágrimas en las
ruedas la sangre en
los cristales los crist
alicia los frenos

No soy Alicia señor soy su enfermera.


*

Clacson luci lei il
volante che disegnano
che cosa dicono le
analisi le
cellule le
ruote nella
pioggia si allarga le
notizie che lei copre coi suoi
nervi crescono giri oggi
c’è fretta perché
così è la vita così
è la sorte è
la forte più
meno le distanze
un tergicristallo che
innalza un ponte
l’altro che lo cancella
la speranza
lei è bianca
cara e ha
la scienza le
città e i suoi
sabati e i suoi aeroporti
volare volante pestare
adesso calcolare
le lacrime nelle
ruote il sangue nei
vetri i vet
alicia i freni

Non sono Alicia signore sono la sua infermiera.


*

Silencio al fin,
silencio en los espejos y en
los libros, silencio en el descenso hacia
el hogar. Un hijo es el hogar más
huérfano, la palabra es un
hogar arrendado y ajeno,
el olvido es un hogar superpoblado,
la sal no ha sido nunca y nunca
será hogar. Silencio ante la huella
de la aventura, silencio
el equipaje. La
mayor aventura es levantarse
y dibujar un ser humano en las paredes
de la gruta, palpar con manos nuevas
la diferencia entre el objeto y su
representación, derramar y beber la
creación del concepto. Silencio
en la figura y de fondo el rumor tenso
que el teléfono emite en exclusiva para
quien espera inútilmente. Alguien,
ésa es la mayor aventura,
debería avisarme cuando se ahogue el último
pez. Entonces abriré las puertas
de todos mis hogares y que
salga el viento y después quién
sabe; por lo menos el olvido, más azul
que blanco, más agua que sal,
de los que se quedarán un rato más.


*

Finalmente silenzio,
silenzio negli specchi e nei
libri, silenzio nella discesa verso
casa. Un figlio è la casa più
orfana, la parola è una
casa affittata ed estranea,
l’oblio è una casa superpopolata,
il sale non è mai stato e mai
sarà una casa. Silenzio davanti l’impronta
dell’avventura, silenzio è
il bagaglio. La
più grande avventura è alzarsi
e disegnare un essere umano sulle pareti
della grotta, palpare con mani nuove
la differenza tra l’oggetto e la sua
rappresentazione, rovesciare e bere la
creazione del concetto. Silenzio
nella figura e dal fondo il rumore teso
che il telefono emette in esclusiva per
chi aspetta inutilmente. Qualcuno,
quella è la più grande avventura,
dovrebbe avvisarmi quando si annegherà l’ultimo
pesce. Allora aprirò le porte
di tutte le mie case e che
esca il vento e dopo chi
sa; almeno l’oblio, più azzurro
che bianco, più acqua che sale,
di quelli che rimarranno un po’ di più.


Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini




INTERVISTA A MARIANO PEYROU
di Alessio Brandolini



Foto di David García


Nella tua nota biografica leggiamo: Mariano Peyrou è nato a Buenos Aires, ma vive a Madrid. Parafrasando un vecchio e noto film, potremmo dire: “un argentino a Madrid”. Come mai questo cambio? È accaduto qualcosa nella tua vita?

Sì, i miei genitori dovettero fuggire in esilio durante la dittatura militare di Videla, nel 1976, io avevo soltanto cinque anni. Da allora vivo a Madrid, tranne quattro anni trascorsi in Olanda per approfondire i miei studi musicali.

Sei musicista e antropologo: che cosa hanno a che fare queste discipline con la poesia, con la letteratura?

Quello che hanno in comune queste discipline si può riassumere in una sola parola: interpretazione. Se ci troviamo di fronte a una realtà oggettiva (una partitura, un testo, un rito), è soltanto attraverso un processo d’interpretazione che possiamo sapere qualcosa del suo significato.

Presto uscirà in Italia la traduzione del tuo libro di poesia Il sale (Raffaelli Editore). Una raccolta poetica molto compatta: venti testi fortemente relazionati l’uno all’altro, come se fosse un unico lungo poema.

Esatto: Il sale è una lunga poesia in venti movimenti.

Leggendo e traducendo le tue poesie viene da pensare che “il sale” potrebbe essere il dolore che dà senso e spessore alla vita, come se fosse costantemente necessario e importante porsi davanti ai propri ricordi, anche quando sono dolorosi.

Nella mia interpretazione - che non è più legittima di qualsiasi altra interpretazione - il sale è un simbolo di un qualcosa non molto concreto, che inoltre si va modificando nel corso del poema. In un determinato momento si oppone a ciò che è dolce, in un altro si pone in relazione con la sete, più avanti con la sua funzione dentro un mito, ecc. Naturalmente, ha a che vedere con lo spessore: le distinte interpretazioni si vanno sovrapponendo, formando un tessuto dove il dolore e il piacere, i ricordi e le aspettative si intrecciano intimamente.

Essendo di origine sudamericana ma vivendo a Madrid penso che tu abbia rapporti diretti sia con poeti spagnoli che argentini o, in generale, sudamericani: con quali di loro ti senti più vicino, in riferimento non soltanto all’amicizia ma anche al linguaggio poetico?

A volte scopro affinità con linguaggi poetici lontani, e questo è indipendente dalla nazionalità o dalla propria origine: mi succede tanto con spagnoli e argentini come con francesi, brasiliani e svedesi. Potremmo dire che il linguaggio di un poeta è una specie di straniero dentro la sua stessa lingua. Questo è il suo valore, la sua forma di illuminare o trasmettere qualcosa.

Nella tua poesia c’è una ricerca che molto spesso turba il linguaggio classico e allora il verso si deforma, muta rapidamente come se soffrisse accanto all’autore, come se fosse lo specchio delle proprie emozioni.

Mi piace come lo dici, e magari sarà proprio così. Ma potrebbe anche accadere che il linguaggio goda della sofferenza del poeta. Se io fossi linguaggio preferire che mi deformassero e modificassero in continuazione, anziché starmene sempre nello stesso identico stato. Ovvero, preferire giocare, lavorare e costruire qualcosa che rimanere quieto e statico.

Il sale è stato pubblicato nel 2005 e dopo, sempre con la stessa casa editrice (Pre-Textos), è uscito anche Studio del visibile (2007), che sostanzialmente è un libro più articolato e vasto del precedente, però il linguaggio poetico non cambia, come se fosse il marchio, e insieme l’essenza, della tua voce poetica.

Il linguaggio poetico non cambia, ma il gioco è un altro. In Il sale il progetto era quello di lavorare con simboli instabili e indefiniti; in Studio del visibile non ci sono simboli, non c’è nulla che stia al posto di un’altra cosa e ora si tenta di investigare come si giustappongono i contesti dai quali procedono le distinte frasi, idee, situazioni e immagini che formano ciascuna poesia. Detto diversamente: si chiede al lettore di affrontare il testo nello stesso modo in cui percepisce la propria vita quotidiana. Quello che normalmente è strano e deforme in una poesia è perfettamente articolato e logico: avanza un passo dietro l’altro sempre nella stessa direzione, senza distrazioni o improvvise deviazioni. Nulla funziona così nella realtà, né il pensiero né la percezione. Questo può farlo solo il linguaggio strumentale.

Parliamo un poco dei tuoi progetti poetici.

Tra qualche mese uscirà un libro intitolato temperatura voz, mi ci sono voluti dieci anni per scriverlo, per metterlo a punto. È un gioco diverso, più astratto, più musicale, più centrato sulla singola parola che sui versi. In fondo (o, più precisamente, in superficie) i temi sono sempre gli stessi: la precarietà dell’identità, il desidero di permanere nell’immagine che uno ha di se stesso, la paura, la incomprensione del mondo e il tentativo di trovare piacere in questa incomprensione. Però la strategia compositiva è totalmente diversa.

Al termine di un’intervista come questa, si trova sempre la tipica domanda: «Cos’è per te la poesia?». Io non voglio chiederti questo, ma più semplicemente: «Che cosa non dovrebbe essere per te la poesia?».

Non sembra possibile trovare un’unica definizione che abbracci la poesia di tutte le epoche e di tutte le culture, a meno che essa sia così vaga da non servire a nulla. Tipo, per esempio, “arte fatta con parole”, o qualcosa del genere. Per questo mi sta bene che tu abbia invertito la domanda.
Allora la mia risposta è questa: quando il linguaggio lo si usa semplicemente in maniera strumentale, per trasportare un’idea o un messaggio o un’emozione al ricevitore; quando questo si limita a ricevere e deve solo decodificare il testo; quando il testo scritto trasporta unicamente qualcosa da una persona a un’altra, per quanto il linguaggio possa essere adornato, ebbene questo io non lo chiamerei “poesia”.

Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini


alexbrando@libero.it