FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 17
gennaio/marzo 2010

Dissonanze

 

ANONIMA SCRITTORI, IL BIT DELL’AVVENIRE

di Alessio Brandolini



Leggendo Il bit dell’avvenire mi sono venute in mente delle cose. Anzi, già osservando da vicino la copertina del libro mi sono venute in mente un sacco di cose: Saragat, per esempio, e il suo vecchio PSDI, il Giappone, traumatizzato dal grido banzai dei kamikaze che puntano le portaerei americane con la fascetta incollata sulla fronte. Per via di quel grande sole che risplende e sembra voler allungare i suoi raggi ben oltre la stessa copertina. Poi uno pensa – tenendo in mano il libro, quasi soppesandolo – alla Rivoluzione, a quel Sol dell’avvenire, appunto, agli anarchici, ai socialisti e comunisti rivoluzionari (magari non a quelli stalinisti), e si scotta le dita con ’sto sole dell’avvenire e i tanti sogni infranti. Allora si soffia sulle dita, per raffreddarle, ci si afferra al presente e si tira avanti, giorno dopo giorno.
A noi il futuro ce lo ha confezionato silenziosamente e senza truppe d’assalto il giovane americano William Henry Gates III, più noto come Bill Gates, nato a Seattle nell’ottobre del 1955, che a tredici anni mette in piedi con i suoi amici la Lakeside Programmers Group per trafficare con i primi rudimentali e giganteschi computer scolastici, poi, nel 1972, la Traf-O-Data con la quale progetta un computer per misurare il traffico stradale e incassa il primo assegno e, infine, nel 1975 fonda, con il socio Paul Allen, la Microsoft Corporation, che tutto il mondo ora conosce. Il resto è storia recente: la diffusione del PC ovunque (in Africa hanno distribuito una versione a manovella), il portatile, windows vista, il palmare, il Kindle per leggere gli e-book, lo sviluppo vertiginoso della comunicazione satellitare con la conseguente trasformazione di Bill Gates nell’uomo più ricco del mondo: da un piccolo bit, potremmo dire, a un grande patrimonio di oltre 40 milioni di dollari!

Non a caso Bill lo ritroviamo in queste pagine: il miliardario americano arriva in limousine, con tanto di autista con cappello, a Nettuno, per reclamare i propri diritti dal tecnico Mario Orlandi, che usa i programmi della Microsoft senza averli prima “registrati”. Questo accade in uno dei 24 racconti che danno reale consistenza a un progetto virtuale, nato da un’idea di Davide Ferrari (che nitidamente introduce il libro) per festeggiare i dieci anni della sua attività imprenditoriale con la Deltaeffe, azienda operante nel settore delle tecnologie legate a Internet e, quindi, scaturita in qualche modo dalla geniale intuizione di Gates, che nel frattempo si è ritirato dagli affari e ora inneggia (o straparla, dipende dai punti di vista) di un capitalismo creativo, ovvero di un capitalismo che apporti benessere a tutti (tranne a Bill, che lui è già autosufficiente), soprattutto nelle aree più povere e depresse del mondo. Al miliardario va dato atto, comunque, che la sua fondazione per la lotta all’AIDS in Africa sta facendo di più di quel che fanno dieci stati nazionali messi assieme.
Scrive Ferrari: “C’è la Rete dove chiunque può esprimere la sua idea e la sua visione di futuro in un dibattito aperto. Questo è il punto di partenza de Il bit dell’avvenire”.

Ecco: la Rete, ci siamo arrivati.
Anche questo mi ricorda un sacco di cose. Per esempio di quando mi incontrai nel giugno del 2001 con Giulio Mozzi (“scrittore e consulente editoriale perennemente ambulante”1) a piazza del Pantheon e chiacchierammo della rivista vibrisse, il nostro “bollettino di letture e scritture” nato nel 2000 e i primi tempi inviato via mail. Lì avevo scritto, qualche mese prima, un pezzo intitolato Memorie di un frequentatore di newsgroup, in cui parlavo degli scambi di idee nei gruppi di discussione, della rapida espansione della Rete, del rischio di rinchiudersi eccessivamente nel virtuale, tant’è che in esergo avevo messo questi versi:

      Nulla è virtuale.
      Se non il nulla
      che ci circonda.
Attribuendoli allo scrittore messicano Eduardo Torres2, probabilissimo frutto della fervida fantasia di Augusto Monterroso. In realtà quei versi erano miei o, meglio, di Alex Brando, come mi firmavo all’epoca. Il bit dell’avvenire prende avvio da questo Nulla e lo riempie, un progetto partorito grazie alla Rete – non solo per via del finanziatore – ma perché dietro c’è il decisivo contributo di Anonima Scrittori, un collettivo di autori che nel web opera dal 2004. Il gruppo, che firma il libro, ha selezionato i testi giunti in redazione (più di una settantina), ha limato, dato consigli e poi consistenza estetica al libro. Così il progetto ha preso corpo, si è fatto carta per descrivere il cambiamento in corso, ovvero l’inarrestabile innovazione tecnologica nei vari campi della comunicazione, della genetica, dei viaggi spaziali e temporali, con tutti i disagi e le aspettative che questo comporta. Lo sguardo non è rivolto esclusivamente verso un ipotetico avvenire, osserva attentamente il presente immerso nella scienza e anche il passato quando all’improvviso si trasforma in futuro, come accade al giovane che assiste, nella Parigi del 1896, a una delle prime proiezione cinematografica dei geniali fratelli Lumière.
Accanto a nomi noti: Pascale, Pennacchi, Pavolini (3 P, si allude a qualcosa di matematico?), appaiono nomi conosciuti ai frequentatori di riviste on-line, come Stefano Cardinali, Giorgio Galetto e altri, e poi coloro che pubblicano per la prima volta, alcuni molto giovani, come Fabio Bianchi Giusti (1990) che nel suo racconto Dillo alla luna incrocia musica e scrittura, o pensionati come Edoardo Micati (1936) che dopo decenni di lavoro corona il sogno di dedicarsi alla creazione letteraria.

I racconti del libro (non è esatto definirlo “antologia”) hanno tutti una buona qualità di scrittura, il tono è spesso ironico, lo stesso tema li tiene ben saldi, e sono stati intercalati con gusto (ironia, fantascienza, ologrammi, navigatori innamorati...). Se a firmare il lavoro è Anonima Scrittori credo che la fatica maggiore (e insieme il merito) aspetti ai cugini (e coniugi in scrittura) Massimiliano e Graziano Lanzidei che qui usano il nome de plume Xaph & Torque Lanzidei per una delle storie più esilaranti della raccolta (L’officina), quella di cui si parla di Bill Gates che come Paperon de’ Paperoni batte cassa fino all’ultimo centesimo.
I racconti contenuti ne Il bit dell’avvenire sono ventiquattro ma alla fine ci si imbatte in un venticinquesimo pezzo a cura di Anonima Scrittori e che ha per titolo Rapsodia in bit, una specie di esperimento dadaista perché la narrazione (che ha un suo irrazionale raziocinio) è fatta di intarsi di frammenti delle varie storie qui presenti, più altre prese da quelle inviate per partecipare all’iniziativa. Con piacevole sorpresa il libro si chiude con una breve silloge poetica di Giancarlo Baroni (“Appunti di viaggio in Fiandra”), dove il progresso (finto o vero che sia) è colto in fatti remoti, come a suggerire che il bit dell’avvenire si perderà nel vuoto se non saprà inserire i piedini dei suoi chip nel sole (e nelle ombre) del nostro passato.

Il libro conserva qualcosa di positivo, nonostante i tanti affondamenti mediatici, e di concreto. Un oggetto di carta e cartone, di frasi e concetti che seguita ad affascinare e a incuriosire. Un manufatto che si può presentare in libreria, collezionare (se ben scritto) in uno scaffale e riprenderlo in mano di tanto in tanto per leggerne l’incipit o qualche rigo scelto a caso, o passare a un amico lettore, o a un figlio che vuole conoscere il mondo in cui vive e un buon libro in questa scoperta, in questo viaggio di conoscenza, può aiutare davvero molto. Il virtuale invade le nostre case, i nostri sogni, influenza le nostre scelte quotidiane e politiche, si è fatto più reale del mondo reale, ovvero di quel mondo che, fino a qualche decennio fa, era del tutto estraneo alla tecnologia, all’informatica, al bit. Allora questo libro di racconti che giunge a noi dalla Rete propone un nuovo equilibrio, uno scambio senza polemiche, un positivo incontro tra nuovi e vecchi mezzi di comunicazione. Non sarà il sole dell’avvenire, sì, ma è qualcosa di buono, di godibile e presente.



1L’ultimo libro di Giulio Mozzi, Sono l’ultimo a scendere (Mondadori, 2009), è una raccolta di racconti “nati” in rete tra il 2003 e il 2008 nel suo “diario in pubblico” che, come dichiara l’autore stesso nella riflessione finale, poiché questa forma di scrittura si è trasformata rapidamente in un evento di massa rappresenta una novità assoluta della rete.

2Di Eduardo Torres si raccomanda la lettura del “Decalogo dello scrittore”, in Augusto Monterroso, Il resto è silenzio (Sellerio, Palermo, 1992).


Anonima scrittori, Il bit dell’avvenire,Tunué, Latina, 2009. pagg. 166, euro 14,50.

Testi di Marco Berrettini, Nicola Villa, Giorgio Galetto, Lorenzo Pavolini, Stefano Carbini, Antonio Pennacchi, Stefano Tevini, Luca Baldini, Camilla Cannarsa, Stefano Cardinali, Daniela Rindi, Angelo Orlando Meloni, Antonio Pascale, Gabriele Santoni, Vedrana Martinovic, Silvia Mericone, Fabio Bianchi Giusti, Roberto Marinucci, Gerardo Rizzo, Anna Profumo, Andrea Bonvicini, Vittorio Rainone, Zaph & Torque Lanzidei, Edoardo Micati e Giancarlo Baroni.




da IL BIT DELL’AVVENIRE


Stefano Carbini, Il bozzolo

(...)

La scena si era oscurata per l’ultima volta. Charun si tolse gli occhiali, auricolari, guanti e tornò a essere Matteo, trentadue anni, celibe. Ancora scosso per il prolungato effetto dell’adrenalina, provò pochi passi e si lasciò andare su una confortevole poltrona del salotto.

Sentiva nausea, stanco morto ma nervi tesi, i sensi ancora all’erta, tanto che era sicuro di aver visto un attimo prima due mangiapolvere sfrecciare sul pavimento. In condizioni normali era impossibile scorgere in giro per casa quegli aggeggi. Grandi meno di un topo, si muovevano furtivi e fulmini raccogliendo ogni briciola, ogni granello di polvere; si riusciva a vederli solo quando stavano attaccati alle prese di corrente.

Tirò giù due cialde di Ansioblast, appoggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.

L’avevano massacrato. Da quando era entrato in servizio l’avevano ucciso più di quattrocento volte. E ogni partita andava peggio. Era troppo vecchio. C’erano ragazzini che si muovevano sul terreno come fulmini. Il tempo di vederli ed eri bello che morto. La guerra era ormai roba per loro.

«Bah, meglio così», pensò, «cinquant’anni fa sarei morto una volta sola».

(...)


Antonio Pennacchi, Il telefonino

Il telefonino? Io non so nemmeno cosa sia. Già non posso sopportare il telefono vero, quello con il filo, figuriamoci quello finto, senza fili, che ti suona pure in tasca. Una rottura di coglioni.

Da ragazzo queste cose non c’erano. Volevi parlare con qualcuno? Prendevi la bicicletta e andavi a casa sua. Strillavi sotto la finestra – pure il citofono lo hanno inventato dopo – e quello s’affacciava. Se gli andava di chiacchierare scendeva, se no ti faceva rispondere dalla madre che non c’era. Tu giravi la bicicletta e andavi da un’altra parte. Vaffanculo.

Sì, sapevamo che esisteva questo cavolo di telefono, non foss’altro perché lo avevamo visto al cinema. Al cinema dei preti. Facevano sempre quei film americani. E tagliavano tutte le scene dei baci. Ma i telefoni li lasciavano. Sapevamo che esisteva, ma era roba americana. Che ce ne fregava a noi? Mica stavamo in America.

(...)


Zaph & Torque Lanzidei, L’officina

(...)

Mi sono avvicinato e ho battuto la mano sul portabagagli per attirare l’attenzione dell’autista. «Follow me», gli ho detto. Ha alzato lo sguardo dalle ruote. La fronte lucida di sudore. Mentre alzavo le braccia e lo direzionavo a forza di «a little right» e «little left», nel millimetrico pertugio che gli era rimasto libero, sembravo un addetto all’atterraggio di un boeing. Alla fine è riuscito a uscire a marcia indietro e l’ho fatto sistemare all’inizio della strada. «Park here», gli ho detto. Ha spento il motore ed è uscito sbuffando dalla macchina. Lo sportello posteriore si è aperto prima che lui potesse fare il giro della limousine e il passeggero è sceso. Sembrava stupito mentre guardava le case intorno. Come se si fosse aspettato di trovarsi in un altro posto.

«I’m sorry, mister Gates», tentava di dire l’autista. Ma quello lo aveva già tacitato con un gesto e aveva detto – rivolto verso di me – «I’m looking for mister Orlandi».

(...)


alexbrando@libero.it