FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 15
luglio/settembre 2009

In cornice

 

MARIO BENEDETTI, PITTURE NERE SU CARTA

di Alessio Brandolini



                          Yo digo que si el alma tiene un sitio,
                          ese sitio es el ojo.

                                                     Jorge Debravo


Il nuovo libro di Mario Benedetti (Udine, 1955) arriva a distanza di quattro anni dal precedente lavoro Umana gloria (2004) che ne aveva rivelato l’originalità e la forza espressiva, e quei versi larghi e distesi e le prose poetiche ne avevano decretato il buon risultato, se non di pubblico (visto che parliamo di poesia), di premi e – soprattutto – l’attenzione e la partecipazione critica. Ma come capita ai poeti più coraggiosi, qui, in Pitture nere su carta, Benedetti spariglia i fogli sul tavolo e cambia registro: fa un libro difficile e oscuro, a tratti persino violento, dove la pagina del libro è la tela (o la carta) sulla quale dipingere/tracciare in versi le proprie visioni. Come se la parola fosse stata frantumata (dal dolore e dalla morte, dal tempo e dagli incubi), ridotta in segni, in macchie, in colori, in schegge e il poeta-pittore tentasse ora una difficile ricomposizione della figura, della parola, del segno, del corpo disfatto, sgraziato (Lucian Freud), degli uomini “senza quasi viso”, come se volesse audacemente ri-conquistare il significato delle cose più semplici (vedi le elencazioni, anche ripetute a distanza), degli oggetti e, in definitiva, della vita che ci attraversa.

Non una raccolta di poesie, quindi, come in Umana gloria che fu anche una ricapitolazione di tutto il lavoro compiuto fino a quel momento (un lavoro lungo e appartato), ma un compatto poemetto proiettato al nuovo.
“Reliquiari”, “Smalti” e “Lacrime” sono tra le sezioni (dall’autore chiamate “capitoli”) di questa ricerca-avventura, giusto per dare un’idea di come si espande, in gallerie d’arte, questo libro. Come se il titolo dell’intera raccolta fosse, alla fine, sostanzialmente ribaltato, ovvero: segni bianchi (bagliori e allucinazioni) su una lastra totalmente nera (buia, oscura), come in una acerrima lotta contro il Nulla (parola ricorrente, parola feticcio), contro il quotidiano disfacimento delle cose, del linguaggio e dei pensieri. Della stessa poesia.

Ci sono le ossa e i profili dei morti, le ombre dei ricordi (del padre), frammenti di lingue amate (il dialetto friulano, il latino, lo spagnolo, il tedesco, il francese), in questa poesia di detriti e di scaglie, qualcosa di deformato, di obliquo che buca, squarcia il foglio, la tela (alla Lucio Fontana), e si mette di traverso all’armonia, a quel “fiore blu” di novalisiana memoria, alla bellezza. Dell’umana gloria della precedente raccolta restano solo frammenti, l’essenziale, ovvero quel ripetuto balbettio di un pensiero-visione.
Tantissimi sono i riferimenti all’arte, alla pittura, a partire dalla copertina in cui si riproduce uno spettrale olio su tela di Enzo Cucchi (Roma... sogna, 1998-1999), alle due epigrafi che nominano Francisco Goya, in diretto riferimento ai più cupi e sofferti lavori del grande maestro spagnolo, legati all’invasione francese, alle fucilazioni, ai corpi ammassati, a quella proclamata libertà iniziale trasformatasi in crudeltà e cieca violenza. A Cézanne, a Sebastian Matta, con i suoi “sfolgoranti colori”, e tanti altri artisti.

Tutto passa attraverso l’occhio, quindi, e tutto lì si deposita, si accumula, si trasforma. Come se l’occhio fosse il luogo della coscienza (o dell’anima), e viene in mente un verso della precedente raccolta di Benedetti: “Ho pensato ogni giorno a questo solo stare senza sguardo”. Lo sguardo qui resta, certo, ma le visioni appaiono deformate e solo nel menomato, nel mostruoso è possibile “vedere” (in profondità) gli occhi di tutti gli altri, dei vivi e dei morti, della vita e della morte, così come soltanto nella vastità e nella durevolezza della morte si possono cogliere i momentanei bagliori della nostra breve esistenza.

Verso la fine il canto riprende un passo più largo e regolare, torna ad aprirsi nella breve sezione delle “Supernove”, come se nel frattempo qualcosa fosse esploso e poi, dalle macerie o dal quel cratere, si sciogliesse (colasse), finalmente, “il nuovo”, più fresco e luminoso:

      Candida rosa, fiore maturo,
      la mente sospesa dal corpo si disnoda
e aumentasse, di conseguenza, la percezione dei “frammenti nel nero”. Forse per via di un voluto (necessario) distacco dai ricordi, dalla memoria, dal superamento del passato, dalle rovine. Così, nelle due sezioni finali torna un verso più generoso e ampio, lanciato verso il futuro: “Voglio non essere muto, potendolo, in una voce nuova”.
Ecco, probabilmente era tutto necessario: il rimescolarsi nel passato, nei morti, nel dolore ha reso possibile questo nuovo momento (o passaggio) verso la “voce nuova”. Qui, in questi due capitoli ci sono le poesie più belle, ma rese forti e “necessarie” da tutto quello che viene prima, dai quei triti, cupi e scheggiati versi/visioni dei precedenti segmenti.

Pitture nere su carta lo si può leggere anche come una narrazione sperimentale in versi, divisa in otto brevi “capitoli”, articolata e “allestita” con scrupolo, dove l’ispirazione poetica si affianca a un raziocinante lavoro di meditazione e riflessione sui sogni, sugli spasmi del corpo, sulle immagini creatrici/distruttrici di altre immagini e sulla scia e sul solco che esse lasciano nella mente. Su una ricerca linguistica (Celan, Eliot e Zanzotto) che dà uno smalto insolito – che alla lingua fonde lo sguardo – alla lirica italiana contemporanea.


Mario Benedetti, Pitture nere su carta, Mondadori, Collana Lo Specchio, Milano 2008, pp. 114, euro 14.




POESIE DI MARIO BENEDETTI
da Pitture nere su carta



COLORI 6

E questi altri colori,
fiato maculato da corpo a corpo.

La pelle che hanno voluto, data,
per vivere. Ora hanno i tuoi occhi.

E il rosso, il blu, l’arancio, il viola.

Sai l’odore,
dove richiamata corri. Sempre.

Infinite mattine, infinite notti.
Va dolce il nulla,

il dolcissimo nulla.


Lacrime – 6

Casa, lastre che sono state occhi,
e il proprio nulla. Vaga

nel silenzio. E io so dire e non dire,
fu il perdono antico.

Non so, dove e quando, casa
degli uomini e delle bestie,

del loro nulla, come
sia nostro mondo, da lastre

a bastoncelli, la nostra luce
nell’universo, e questa pagina.


Capitolo quarto

2

Umana mandibola,
cranio con fratture,
datati con il metodo
del potassio-argon.

Sui nuclei, sulle schegge,
la fratturazione, il taglio.
Mandibola di bambino
al limite paleomagnetico.

Daino, cervo, gazzella,
pietre, meravigliosamente eccitate.
Olmo, abete, betulla,
pietre meravigliosamente eccitate.


SFARZO 2

Vernissage. Rue des Beaux-Arts, Parigi.
Sfolgoranti i colori di Sebastian Matta.

Toni di rosso, del blu, del brunito.
È deflagrato. L’oroscopo del giardino.

Christie’s. Fine costumes.
In azzurro e oro, a righe, di raso,

l’abito con blu, rosa, and gold flowers.
Di seta azzurra ricamato di seta rosa.

Atelier. Parigi. Rue de Verneuil.
Acciaio ossidato. Liberty. Molto fuoco.

Poltrone e divani, lampade.
Stoffe rosse e blu, chemiluminescenti.


SUPERNOVE 1

Candida rosa, fiore maturo,
la mente sospesa dal corpo si disnoda.

Grande Nube. Bianca, fucsia. Bianchi,
innumeri frammenti nel nero.

Corte celeste, moltitudine volante
di banco in banco, di foglia in foglia.

Aurea fiamma degli spiriti assolti.
Eco di luce che non da sé è vera.


Capitolo settimo

7
                                         Persia

Acquarello opaco, acquarello opaco,
sul foglio tinto di inchiostro, d’oro e colore.

Disegno e colore. Cime di viola pallido,
radura verdolina, e alberi soltanto segnati.

La tigre, uomini senza quasi viso.
Timbri serrati, multicolori, e le linee.


Capitolo ottavo

6

Dalla notte il mattino la notte,
pantaloni verdi, pantaloni blu,
il nero, l’azzurro, il ramato, tutto.

Perché non è più qui una parola.
Sono case i mari, le strade,
e strade e mari, le case.

La pietra affonda senza corda intorno al collo.
Affiorano a cerchi le parole sulle sue labbra.
Ma non importa, non importa.

Qualche vocale, lungo il viso bianco,
e nero, di capelli, la sua luce.
Affossata su un fianco. Accucciata.

Dietro di te, e davanti, oltre, non c’è niente.




Mario Benedetti è nato a Udine nel 1955, ma da molti anni vive e lavora a Milano. Ha pubblicato le raccolte:

  • 2008   Pitture nere su carta (Mondadori)
  • 2004   Umana Gloria (Mondadori)
  • 2000   Borgo con locanda (Circolo culturale di Meduno),
  • 1999   Il parco di Triglav (Stampa)
  • 1997   Una terra che non sembra vera (Campanotto),
  • 1992   I secoli della Primavera (Sestante)
 



alexbrando@libero.it