L’univers est vrai pour nous tous, et dissemblable pour chacun.
Questa frase di Proust, “l’universo è vero per tutti, diverso per ciascuno”, è il un po’ il tema di questo intervento. Mi accosto all’opera di Erich Auerbach, Mimesis, e il problema che questo libro pone è il fatto che, al suo interno, confluiscono molti fili, la cui origine non è semplice da ritrovare. Uno dei temi dell’opera è quello del rapporto, che si può affrontare da tanti punti di vista, tra molteplicità e unità. È quello che, a prima vista, si coglie nella frase di Proust: ci sono le forme che ciascuno di noi vede in modo diverso, ci sono le forme molteplici, e poi c’è, in qualche modo e da qualche parte, un’unità di queste forme.
Arrivato alla fine del 1936 a Istanbul, Erich Auerbach - a parte alcuni articoli eruditi - vi scrive due opere, l’Introduzione alla filologia romanza e Mimesis. Esse sono legate tra loro non soltanto perché sono state scritte più o meno contemporaneamente (l’edizione originale di Mimesis porta le date di maggio 1942-aprile 1945, l’Introduzione alla filologia romanza è scritta, dice l’autore, nel 1943) e perché l’autore è lo stesso, ma anche perché non sarebbe sbagliato leggere la prima, l’Introduzione alla filologia romanza, come una specie di preparazione alla seconda.
L’Introduzione alla filologia romanza non è il libro tecnico che il titolo promette. La filologia di cui Auerbach parla non è lo studio dei testi in vista dell’edizione, cioè quello che normalmente si intende per filologia. Quello che intende Auerbach è lo studio di testi per scoprire cose nuove di storia, lo studio di singoli testi brevi come strumento di ricerche. È un piano molto ambizioso, perché sono ricerche di dettaglio, ma allo stesso tempo l’ambizione è quella di dare una sintesi, di non fermarsi al particolare specifico come fanno gli eruditi specialisti, ma, studiando il dettaglio, arrivare a scoperte storiche sintetiche nuove. Questo è il motivo per cui l’Introduzione alla filologia romanza non è quello che il lettore si aspetterebbe, ma molto di più. Naturalmente ci sono anche i rudimenti dell’arte di leggere e pubblicare i testi, e le notizie manualistiche sulle lingue e letterature romanze.
Già in questo libro, si nota che i singoli fatti di linguaggio, che Auerbach esamina, sono dettagli, estratti da quadri di una civiltà unitaria. Lo "specifico" della filologia come strumento di ricerche storiche è l’analisi del linguaggio, di parole e di testi. Questi brevi testi o esempi testuali sono comunque dei particolari di ampi quadri di civiltà: questa è l’ambizione sintetica di Auerbach. In particolare, questi quadri di civiltà, questi testi a cui Auerbach ci vuole introdurre, nel suo libro scolastico perché è destinato alla scuola, rappresentano l’Europa: questo è il quadro di civiltà, l’unità che sta sotto la molteplicità.
Molti altri libri di questo periodo, non casualmente, sono una specie di "europeologia" – così come Auerbach aveva definito il suo libro, presentandolo all’editore Klostermann – ma l’Introduzione alla filologia romanza lo è in un senso particolare. In questo momento, durante la guerra, cioè un tempo durante il quale non si sa bene come e dove andranno a finire le cose, la civiltà europea coincide per Auerbach con l’Occidente. Vedremo che in un secondo momento farà distinzioni più sottili.
In questo momento, però, l’Europa è "l’Europa più l’America": in vari punti del libro dice “in Europa e in America”, come se fossero esattamente la stessa cosa, e questo è il suo Occidente. Una conseguenza di questo approccio è che in questo libro manca l’Oriente, non solo perché nella ricostruzione del quadro dell’Europa l’Oriente non trova posto, ma non c’è, semplicemente, perché Auerbach non lo considera. L'autore naturalmente sa che le relazioni con l’Oriente mediterraneo e medievale, che potrebbero tranquillamente trovare un posto in un quadro dell’Europa, ci sono state, solo che non le mette in evidenza: è un ritratto della civiltà europea chiusa in se stessa. Se c’è un ruolo che Auerbach fa giocare in questo libro agli Arabi, per esempio, è quello per cui, riprendendo la famosa tesi di Henri Pirenne, in conseguenza della conquista araba dei paesi del Mediterraneo, il Mar Mediterraneo non è più un lago europeo e la civiltà cristiana e romanza si deve spostare verso nord: è il momento in cui c’è una modificazione, indotta dall’esterno, della civiltà europea.
È anche il momento in cui i vari luoghi in cui c’era un’unità culturale latina sono separati a causa della conquista araba e tale separazione dà luogo alle varie lingue vernacolari, contribuendo alla nascita dei volgari. Il ruolo che Auerbach assegna alla conquista araba è quindi quello di una forza esterna alla civiltà europea che non interagisce o di cui non vuole sottolineare o presentare le influenze realmente esercitate.
La struttura dell’Introduzione alla filologia romanza è in tre parti, che non sono uguali, perché le prime due sono più brevi e la terza è molto lunga.
La prima parte è una specie di introduzione alla filologia, dove ci sono una serie di definizioni e esempi molto intelligenti, lunga circa una cinquantina di pagine. La seconda parte è quella propriamente tecnica ed è lunga una settantina di pagine: qui c’è la trattazione dell’origine delle lingue romanze: come, dall’unità linguistica del mondo mediterraneo, sotto cui naturalmente covavano una serie di sostrati che restarono vivi, si produce una molteplicità di lingue volgari. La parte più lunga è la terza, che è una presentazione delle epoche letterarie. In questa terza parte, che occupa circa 160 pagine, si trova la presentazione della civiltà europea, avvicinata dal punto di vista dei fatti di lingua e di letteratura. Questa parte comprende a sua volta tre capitoli, il primo dedicato al medioevo, il secondo al Rinascimento e il terzo ai tempi moderni, che nella trattazione di Auerbach arrivano praticamente fino agli anni Quaranta del Novecento. Medioevo e Rinascimento sono preceduti da osservazioni preliminari ed è in questi capitoli introduttivi che Auerbach fa una specie di ritratto dell’Europa nei vari momenti storici. Parla del rapporto che c’è, in quel periodo, tra la lingua, la politica, la religione, la cultura, nel caso del Rinascimento anche le scoperte geografiche, l’orizzonte intellettuale che si allarga, l’economia.
Nel capitolo sul Rinascimento c’è la definizione, su cui ci soffermeremo, che il sedicesimo secolo è una specie di embrione dei tempi moderni: c’è già, in quel secolo, tutto ciò che ci sarà dopo.
Sempre parlando della struttura, i primi due capitoli di questa terza parte del libro hanno poi una suddivisione di tipo linguistico: c’è un paragrafo sulla cultura e la letteratura francese nei capitoli sul medioevo e sul Rinascimento, c’è la cultura italiana nel capitolo sul medioevo, la penisola iberica nei capitoli sul medioevo e sul Rinascimento. L’ultimo capitolo sui tempi moderni ha invece una suddivisione di tipo cronologico: c’è il Seicento, il Settecento, poi il Romanticismo e infine uno sguardo all’ultimo secolo. È una struttura molto articolata. Ricordo che questo libro fu poi tradotto immediatamente in turco e costituiva la base dell’insegnamento di filologia occidentale, che Auerbach teneva a Istanbul, dopo essere emigrato dalla Germania nazista a causa delle leggi razziali.
Leggere questo libro come preparazione a Mimesis significa individuare alcuni temi. Naturalmente, in un’introduzione alla civiltà europea come quella che scrive Auerbach, si parla di tante cose. Ci sono però alcune cose che sono più importanti e su cui mi fermerei.
Innanzitutto, c’è una valutazione della cultura antica che in Mimesis invece non c’è: in questo quadro ordinato di come si forma la civiltà europea, Auerbach naturalmente comincia dal mondo dell’impero romano, ancora prima parla dei Latini e delle loro progressive conquiste. Dei Latini e dell’impero romano, offre un’immagine che forse potrebbe sembrare un po’ troppo tranquilla, perché la conquista del Mediterraneo è spiegata come se fosse stata un’assimilazione abbastanza pacifica di popoli diversi, quando invece sappiamo che ci sono stati durissimi conflitti. Ad esempio il conflitto con i Cartaginesi si conclude con la distruzione dell’altro. È una cosa che colpisce, perché è una valutazione del mondo latino e romano, da parte di Auerbach, estremamente positiva. Auerbach scrive:
La formazione dell’impero fu resa possibile da qualità amministrative, giuridiche e militari proprie dell’antica razza latina. C’era una salda tradizione di tenacia, buon senso, coraggio costante e freddo, estremo conservatorismo, capacità di adattamento, istinto divinatorio per il punto centrale.
È una raffigurazione - offerta agli studenti turchi che di queste cose non ne sanno assolutamente niente - profondamente positiva.
C’è poi il modo in cui Auerbach presenta la religione ebraica nel mondo greco-romano. Qui parla l’emigrato di origine ebraica.
È un momento difficilissimo, forse il più difficile in assoluto per coloro che appartengono a questa religione, eppure il tono di Auerbach è estremamente spassionato e distaccato. Fa un quadro della religione ebraica nel mondo greco-romano effettivamente come se trattasse di un tema assolutamente freddo. Anche questo colpisce. Ma l’asse centrale del ritratto dell’Europa che fa Auerbach è la valutazione positiva, tranne che per alcuni aspetti che vedremo, della tradizione cristiana. Questa valutazione positiva, che mette la tradizione cristiana, come unità culturale, praticamente al centro della storia europea, assume vari aspetti.
Uno di essi è l’interpretazione generale del mondo e della storia che la cultura cristiana permette, di cui Auerbach evidentemente sente la mancanza. Auerbach sa benissimo che quest’unità del medioevo latino e cristiano si è interrotta ed è esplosa, ma ciò gli ispira, in qualche modo, una forma di nostalgia. Ad un certo punto scrive:
Gli scritti cristiani davano, per mezzo della tradizione ebraica che interpretavano in modo simbolico, una spiegazione della storia universale, che stupiva per la sua unità, semplicità e grandezza.
Qui, per prima cosa, egli segna un legame tra la tradizione ebraica e quella cristiana: questa centralità della tradizione cristiana è riagganciata immediatamente alla più antica tradizione ebraica, proprio perché gli scritti cristiani interpretano la tradizione ebraica in modo simbolico (più tardi dirà: figurale). Poi dice che l’interpretazione cristiana della storia stupiva per la sua unità, semplicità e grandezza: qui è operante obiettivamente una nostalgia per un’unità culturale e di visione che si è persa.
Auerbach riconduce anche molte tradizioni specifiche della letteratura ad una matrice cristiana. Ad esempio scrive:
Tutta la tradizione europea di introspezione, di indagine dell’io risale a sant’Agostino.
Poi valorizza l’attività dei monasteri, che salvano la cultura antica, ma non solo. Senza l’attività pratica e organizzatrice della Chiesa in generale, l’idea stessa di civiltà e giustizia si sarebbe persa.
C’è il mondo antico, ma c’è un momento di snodo importantissimo, che nella sua visione è il medioevo, in cui la Chiesa ha non solo la funzione di assicurare l’unità culturale, ma anche di trasmettere le idee stesse di civiltà e giustizia. Il compito, che secondo Auerbach ha svolto la tradizione cristiana, è stato effettivamente decisivo.
È una valutazione estremamente positiva, non solo dei valori cristiani, ma anche della Chiesa stessa. A pagina 124, ad esempio, c’è un elogio della Chiesa e qui spunta la parola “oggi”: è questo che mi fa parlare di una nostalgia che poteva sentire per quell’unità - ricordiamoci che siamo in tempi di guerra, scatenata da due potenze, di cui una si può definire pagana, quella tedesca, e l’altra orientale, il Giappone.
Nel medioevo la Chiesa è riuscita a realizzare, per molti secoli, qualcosa, che in seguito si sarebbe potuto attuare solo in modo incompleto e che anche oggi è ben lontano dall’essere realizzato nella misura che si desidererebbe, cioè una attiva unità della vita intellettuale di molti popoli e di tutte le classi sociali.
Qui aggiunge qualcosa: non si è trattato soltanto di un’unità culturale dei popoli, ma anche trasversalmente, secondo lui, di unità di classi sociali diverse. C’è il discorso del parlare agli umili, con le immagini e il linguaggio semplice, proprio della predicazione.
Questa unità fu spezzata nel Rinascimento, in parte per colpa della Chiesa cattolica che non trovò più in questo momento la forza di adattarsi e di riformarsi, con sufficiente prontezza per salvare l’unità spirituale europea.
Ecco affermato un altro importante momento di svolta: tale unità spirituale si spezza nel Rinascimento. Qui ritorna il tema, che ho accennato, del Rinascimento come momento embrionale di tutta l’epoca moderna: l’unità spirituale si è frantumata, in nuce vi è tutto quello che accadrà dopo.
La valutazione diventa leggermente più negativa nel momento in cui Auerbach si trova a parlare delle crociate. Parla di “spirito cavalleresco del tempo delle prime crociate”, spirito guerresco, feudale, fanaticamente cristiano, paradossale miscuglio di cristianesimo e di imperialismo aggressivo.
Questo è il lato oscuro del mondo medievale unitario, un "paradossale miscuglio di cristianesimo e di imperialismo aggressivo". Usa, naturalmente, dei termini attualizzanti, perché l’imperialismo aggressivo è quello dei suoi tempi. Qui afferma la centralità della civiltà medievale, in quanto unitaria, in quanto cristiana e in quanto unità culturale di tutte le classi sociali.
Dai fatti di linguaggio, Auerbach risale alla sfera della civiltà. Per questo l’Introduzione alla filologia romanza non è soltanto un manuale, ma un saggio sulla civiltà europea. Guardate, ad esempio, come spiega l’abbandono delle declinazioni e delle coniugazioni. L’unità culturale che si basava sul latino si fondava su una lingua complessa, che sintatticamente e grammaticalmente era articolata su declinazioni e coniugazioni. Le nuove lingue abbandonano questa struttura grammaticale. Se leggiamo la spiegazione di Auerbach, vediamo che passa dal concreto fatto linguistico al fatto di civiltà.
L’abbandono delle declinazioni e delle coniugazioni è avvenuto perché si è diffuso un senso del concreto nei problemi quotidiani. Non c’è più un orizzonte che abbraccia la terra intera in un vasto sistema ordinato.
Lo strumento linguistico duttile, che permette di esprimere la finezza e la precisione, come il sistema latino di declinazioni e coniugazioni in cui tutti i casi e tutti i tempi sono articolati, era al servizio di una visione ordinatrice unitaria: questo è il mondo del latino, che corrisponde ad una visione ordinatrice unitaria. Quando questa si inabissa, prevale il concreto e la visione del mondo quotidiano. L’esigenza di classificare e ordinare tutti i fatti, propria del latino classico, non c’è più. Non c’è più, perché non c’è più l’unità di un mondo in cui circola il latino classico e la sua capacità ordinatrice.
Questo è il senso dell’evoluzione, dal latino alle lingue romanze; è la tendenza a rendere più concreti, tanto visivamente quanto sensibilmente, i fenomeni particolari e ad abbandonare ogni sforzo per ordinare e classificare i fenomeni in un sistema.
Cosa significa che non c’è più l’unità? Significa, in parallelo, che non c’è più la tendenza ad organizzare, classificare, ordinare tutti i singoli fenomeni molteplici in un sistema. In questo modo, dal fatto linguistico si è passati al fatto di civiltà. Nascono allora, e si sviluppano, le lingue volgari.
Questa è una storia di fatti linguistici. Per un certo periodo, fino al Rinascimento, le singole lingue volgari “lottano” con il latino, che continuava a essere la lingua della comunicazione alta, dell’aristocrazia, della comunicazione internazionale. Finché nel Rinascimento, dice Auerbach, “le lingue volgari distruggono la posizione di predominio del latino in campo letterario”. Questo avviene – anche qui saltiamo dal fatto linguistico al fatto di civiltà – in parallelo con la formazione delle coscienze nazionali: è chiaro che la formazione della coscienza nazionale del gruppo circoscritto e la formazione della lingua volgare sono due processi che vanno in parallelo. Inoltre c’è anche un parallelo processo sociale, che vede la borghesia contro i cavalieri feudali, i gruppi di borghesi organizzati con il potere centrale che si oppongono alle forze particolariste: questo è il processo per cui si formano Stati e nazioni. Lo sviluppo della lingua volgare è parallelo a tutto ciò.
Questo movimento ha condotto in molti paesi, e avrebbe dovuto condurre in tutt’Europa, all’istituzione dei grandi raggruppamenti nazionali. In alcuni casi, Germania, Italia, circostanze contrarie hanno ritardato lo sviluppo e hanno reso l’unità nazionale più difficile e problematica.
Il fatto che questi due paesi non si siano unificati è inquadrato in un complesso affresco della civiltà europea: Italia e Germania, ma sicuramente Auerbach si sofferma di più sulla Germania, sono anomalie in tale processo. L’anomalia si spiega con il fatto che, in questi due paesi, le tendenze al particolarismo erano più forti che altrove e perché in questi due paesi c’erano due poteri centrali, l’imperatore e il Papa, che perseguivano mire universaliste più che nazionali. Esse sono fallite, perché sono state contrastate anche dagli altri raggruppamenti nazionali come la Francia, l’Inghilterra e la Spagna.
Le loro aspirazioni universaliste, che sono fallite, hanno contribuito a mantenere la disgregazione politica in questi due paesi fino al diciannovesimo secolo. C’è un disegno più ampio, nel quale Italia e Germania, in questo affresco dell’Europa, assumono il colore dell’anomalia.
Torniamo al tema della distruzione dell’unità culturale, perché questa avviene, come abbiamo detto, nel Rinascimento.
Non si tratta, però, solo del Rinascimento ma anche della Riforma: qui è di nuovo lo scrittore tedesco che parla:
La Chiesa non trova il santo che avrebbe potuto salvarla. Fu la fine dell’unità religiosa in Occidente, ma fu anche l’origine delle idee più importanti della società moderna, libertà di coscienza, di pensiero, tolleranza, da cui si genera l’idea della libertà politica, della democrazia, con tutto ciò che esso comporta per l’autonomia e i diritti dell’uomo e con tutte le sue conseguenze in campo amministrativo, giuridico, scientifico ed economico. Tutto questo, in Europa, deriva dalla Riforma..
Quindi, il momento in cui l’unità medievale si spezza è anche il momento in cui, durante il Rinascimento e a causa della Riforma, si avvia un processo, durante il quale prevalgono i valori della libertà di coscienza, di pensiero, di tolleranza, di democrazia. Per questo il sedicesimo secolo ha un carattere embrionale: è l’inizio della storia europea dei tempi moderni, che quindi è una storia, dice coraggiosamente l'autore nel tempo incerto della seconda guerra mondiale, di libertà di coscienza, di tolleranza e di progressiva affermazione di questi valori. Anche rispetto a questo, che cosa sono l’Italia e la Germania? Proprio a causa della mancata unificazione nazionale, e nel caso italiano del doppio vuoto, perché in Italia non c’è neanche la Riforma, queste due aree assumono sempre di più i colori del caso eccezionale ed anomalo.
Nel nuovo paesaggio, che si forma a partire dal sedicesimo secolo, in campo letterario, secondo Auerbach, è la Francia che diventa l’elemento aggregatore. “È sua la supremazia, di civiltà e di lingua e letteratura”: questo vale fino al diciannovesimo secolo. Poi le cose diventano più complicate.
Nel frattempo, però, c’è un altro tema che attraversa tutto il libro e di cui si deve parlare, perché anch’esso prepara Mimesis. Non sarebbe stato possibile che Auerbach, avendo sulla stessa scrivania due libri in preparazione, non travasasse dall’uno all’altro anche i temi propri che sono di Mimesis, cioè il tema dell’arte imitativa.
Il tema dell’arte come imitazione seria della realtà quotidiana, naturalmente, si trova anche in vari passaggi della Introduzione alla filologia romanza. Nei primi capitoli, dedicati al cristianesimo, si sottolinea che la matrice della trattazione seria della realtà quotidiana è nella storia di Cristo, che è insieme una storia sublime e umile. Allo stesso modo, c’è la valutazione positiva dell’arte nel medioevo, che per il suo linguaggio era allo stesso tempo sublime e umile. Ma il “travaso” di temi del libro Mimesis nell’Introduzione alla filologia romanza acquista la sua presenza più evidente nell’ultimo capitolo del libro, lo Sguardo sull’ultimo secolo, che chiude la dottrina delle epoche letterarie. È qui che i due progetti convergono. Il ragionamento che fa Auerbach è quello di chi debba presentare che cosa è accaduto in letteratura, nell’ultimo secolo – scrive nel 1943 ed ha una ricchissima varietà di forme letterarie da presentare. Naturalmente il suo scopo non è soltanto quello di presentare le varie forme letterarie, ma anche di spiegarle e di far vedere l’unità, che sta sotto la varietà.
Parte dalla storia, dal fatto che, nonostante ci sia stata una restaurazione alla fine del periodo rivoluzionario, le idee della Rivoluzione francese in realtà avevano trionfato. Quel progresso in tanti campi, non solo civile, politico, economico o tecnologico, non si era arrestato; si era creato un evidente anacronismo tra i sistemi politici della Restaurazione e l’atmosfera politica in cui vivevano le società. Ma, tutto questo, ai fini di una caratterizzazione dell’Europa, significava soprattutto che l’Europa aveva acquisito l’egemonia mondiale. Il dato storico-politico, da cui Auerbach parte per far vedere l’unità che sta sotto la molteplicità dei fatti letterari, è quello dell’egemonia mondiale dell’Europa.
Le guerre e le rivoluzioni non hanno intralciato questa evoluzione; l’hanno a volte accelerata. Dal 1871 al 1914, in Europa non si ebbero né guerre né rivoluzioni di qualche importanza; in alcuni paesi prosperità e sicurezza avevano raggiunto un livello che difficilmente potrebbe immaginare chi non sia vissuto in quell’epoca.
Auerbach, nato nel 1892, ha poi partecipato alla Grande guerra e aveva circa ventidue anni quando è scoppiata: quindi è vissuto in quell’epoca, che caratterizza come un’età dell’oro, un’epoca in cui, dal punto di vista culturale, la libertà di espressione aveva trovato la massima diffusione. Ma età dell’oro anche perché questa linea evolutiva di progresso, iniziata alla fine del Settecento, non faceva immaginare le catastrofi che poi sarebbero accadute.
Ancora allo scoppio della guerra, nel 1914, la maggior parte degli uomini, pur atterriti dal fatto che un tale avvenimento avesse potuto prodursi - la Grande guerra - erano ben lontani dal sospettare la quantità di crisi latenti che sarebbero giunte a maturazione, o la lunga serie di catastrofi che si sarebbero rovesciate sull’Europa e sul mondo intero; non immaginavano fino a che punto la vita sarebbe cambiata.
Nello stesso tempo sta parlando di uno scenario mondiale e della vita quotidiana che cambia, esattamente quello che è accaduto nella sua personale esperienza. Seguono una serie di osservazioni sulla letteratura, sulle forme letterarie e sul pubblico della letteratura. Però, ad un certo punto, nella sua argomentazione assume di nuovo centralità la questione della civiltà.
La civiltà europea, che era egemone nel mondo, secondo Auerbach, si basava sulla libertà di pensiero e di parola; questo è stato anche, dal suo punto di vista, uno dei motivi per cui questa civiltà e la sua egemonia sono finite. La civiltà borghese poggia sul liberalismo; il principio di tolleranza, di libero scambio delle idee, di libero incontro delle forze, è così connaturato, fin dall’origine, all’essenza stessa di questa civiltà da costringerla a permettere l’espressione di idee che minacciano la sua vita e a partecipare alla loro discussione.
In pratica, scrive Auerbach, dal seno della civiltà europea sono nate idee che, in realtà, puntavano alla sua distruzione.
Proprio in un momento di pericolo mortale la civiltà borghese, in alcuni paesi europei, ha abbandonato il principio della libertà di pensiero e di parola, e questa è stata la sua fine: per timore di essere assassinata, si è suicidata.
Quali sono questi paesi europei?
Guarda caso, sono quegli stessi paesi che erano al margine del ritratto storico che aveva fatto, quelli un po’ anomali, l’Italia e la Germania.
Ma questo suicidio non è stato commesso dappertutto; i paesi anglosassoni e alcuni altri hanno resistito.
Qui c’è l’omissione della Francia. Auerbach individua con lucidità il difficile caso francese, dove, dal 1940, il fascismo stava trionfando.
Sapremo presto se sarà possibile conservare in un mondo trasformato e sotto una nuova forma questa libertà senza la quale nessuno che l’abbia provata vorrà vivere.
Sentite la drammaticità di questa frase? Perché, nel momento in cui scrive, non si sa come andranno a finire le cose. Auerbach sa benissimo che, in quanto di origine ebraica, in un mondo, in cui dovessero prevalere i paesi che si sono suicidati rispetto alla civiltà europea, lui non potrebbe vivere, certamente non per sua scelta. Infatti in nota trovate scritto: “è stato scritto nel 1943”. Questo è l’inquadramento storico generale, poi seguono una serie di elementi molto acuti sulle forme letterarie.
Dov’è che convergono i due progetti, quello sull’imitazione seria della realtà quotidiana e questa introduzione alla civiltà europea?
Una conquista letteraria dell’Ottocento mi sembra particolarmente importante e produttiva: quella della realtà quotidiana, espressa soprattutto nella forma del romanzo (o della novella) realista, ma i cui effetti si fecero sentire anche sulla scena, nel cinema, e persino nella poesia lirica.
Questo è il tema di Mimesis: la conquista della realtà. È un tema immenso e sintetico. Si capisce che il filologo, in quanto scopritore di cose nuove a partire da esempi ben scelti, si sia applicato ad un tema così immenso, perché il suo scopo non è darci dei dettagli eruditi su problemi scientifici, ma compiere una ricerca di storia. Il tema della conquista della realtà è, dice Auerbach, “la conquista letteraria dell’Ottocento”.
Nei paragrafi che seguono spiega che cosa significa conquista letteraria della realtà e accenna in particolare al principio della mescolanza dei generi, che è l’asse della ricerca di Mimesis. In pratica, scrive Auerbach, esiste un antico criterio estetico, moralistico e aprioristico, secondo il quale esistono diversi stili che non vanno mescolati e ci sono alcuni temi che si possono trattare soltanto in uno stile elevato. Secondo questo principio estetico antico, la realtà quotidiana non si può trattare con uno stile elevato, ma soltanto con uno stile umile o medio e quindi la rappresentazione della realtà quotidiana è destinata a trovare forma solo nella commedia. Questo principio della separazione degli stili - questa è la storia che racconta Mimesis - ad un certo momento viene travolto: è la conquista della realtà.
Questa mescolanza, detta comunemente realismo, mi pare la forma più importante e più efficace della letteratura moderna, poiché segue da vicino i rapidi cambiamenti della nostra vita, abbraccia tutti gli aspetti della vita degli uomini sulla terra, e in questo modo permette loro di avere una veduta d’insieme della realtà concreta in cui vivono e la coscienza di quel che sono.
In queste righe, riassume esattamente il progetto di Mimesis, il capolavoro che stava scrivendo in quel momento. Poi, poco più avanti, accenna ad uno sviluppo molto interessante di questa conquista della realtà. Conquistata la possibilità di parlare seriamente, in modo elevato, delle cose quotidiane, c’è stato uno sviluppo ulteriore.
La realtà, di cui parla lo scrittore, di cui il regista prevede la messa in scena filmica, si disintegra e non esiste più una realtà oggettiva comune a tutti, ma realtà diverse, secondo la coscienza degli individui e quindi racconti che esprimono tale disintegrazione della realtà.
Il primo scrittore, conclude, che abbia applicato, in modo coerente e metodico, questa nuova concezione del mondo fu Marcel Proust.
L’allargarsi del nostro orizzonte, iniziato nel Cinquecento e progredito con un ritmo sempre più rapido, aprendo i nostri occhi a una massa sempre crescente di fenomeni, di forme di vita e di attività simultanee, ci impone il prospettivismo, per quanto soggettivista sia in origine, come il metodo più efficace per giungere a una sintesi concreta dell’universo in cui viviamo – quest’universo che è, come ha detto Proust, vero per noi tutti e dissimile per ognuno.
È in questo modo che il ritratto della civiltà europea si conclude sull’indicazione del perché sia importante la ricerca di Mimesis, che lo scrittore ha sulla scrivania. È importante, perché soltanto il progetto sintetico (come si vedono le cose della realtà quotidiana) è in grado di esprimere una sintesi unitaria della coscienza umana.
Questa, che suona come un’affermazione di principio e che chiude il ritratto dell’Introduzione alla filologia romanza, sembra una frase enigmatica, ma l’approfondimento di Mimesis servirà proprio a capire perché l’osservazione della realtà quotidiana sia l’unica speranza sintetica, di dare una forma unitaria alla molteplicità.
Nota
La filologia come strumento di nuove scoperte storiche, e via d’accesso per ricerche “sintetiche” è metodo originale, ma non esclusivo di Auerbach, naturalmente (da ricordare almeno Gramsci, che aveva avuto formazione glottologica con Matteo Bartoli a Torino e, per uno sguardo lucidissimo e propriamente storico sui fatti del linguaggio, la più recente, drammatica, profetica esperienza di Pasolini).
Il pezzo qui proposto è tratto dalle mie lezioni tenute all’Università di Roma “La Sapienza” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (Corso di laurea in storia), dedicate a “Oriente e Occidente” (Anno accademico 2006-2007).
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