FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

UNA RICETTA ESEMPLARE

di Stefano Cardinali



Giorgio guardò la propria mano: l’arma che reggeva era ancora calda, fumante e pesava come un bazooka.

Con un gesto lento posò la pistola d’ordinanza su un ripiano della libreria. Il corpo di Luciano era come raggomitolato ai suoi piedi: il proiettile lo aveva ucciso sul colpo ed era rimasto così, com’era caduto.

Mentre osservava il cadavere del suo vecchio amico, Giorgio ripensò alla discussione che aveva generato quell’imprevedibile epilogo.

Come faceva spesso quando aveva un po’ di tempo libero era andato a trovare Luciano per bere un caffè.

La loro amicizia risaliva al tempo degli scout quando lui, ragazzo timido, era stato preso in simpatia dal compagno più disinvolto del gruppo.

Le prime escursioni, i campi estivi e la conseguente vita in comunità, avevano lentamente smussato gli spigoli del carattere schivo e diffidente di “Ginetto” come Giorgio veniva chiamato dal gruppo.

Poi i due amici si erano ritrovati compagni di classe al ginnasio e avevano proseguito insieme il cammino fino al diploma.

Il loro rapporto si era già definitivamente consolidato nella stagione estiva seguente al primo liceo quando i due, in vacanza in un campeggio in riva al mare, avevano condiviso ripetitivi piatti di tonno e fagioli e serate dove una chitarra e le canzoni cantate in coro diventavano il mezzo più rapido per accedere alle prime esperienze sessuali.

Durante tutto il periodo della loro frequentazione Giorgio aveva continuato a provare una sorta di timore reverenziale nei confronti del più estroverso e sicuro Luciano. Negli ultimi due anni di scuola quelle insicurezze si erano tramutate in un complesso di inferiorità.

Terminato il liceo i due si erano persi di vista. Giorgio s’era arruolato in polizia e fu trasferito in un’altra località. Luciano, figlio di un avvocato, si era iscritto a giurisprudenza per seguire le orme del padre.

Si erano rincontrati casualmente dieci anni più tardi: Giorgio, rientrato da poco nella città natale con il grado di ispettore, si era trovato di fronte in un interrogatorio il vecchio amico, avvocato difensore di uno degli indiziati in un caso di omicidio e la loro amicizia era ripresa esattamente dove si era interrotta, come se quei due lustri non fossero mai passati.

Una cosa però nel frattempo era cambiata: Giorgio aveva acquisito un saldo senso di fiducia in se stesso e ora tentava, in ogni occasione, di cancellare il vecchio complesso di inferiorità nei confronti dell’amico.

Per questo erano cominciate le prime banali discussioni.

Gli argomenti del contendere erano i più disparati: si andava dal disaccordo riguardo una partita di calcio a divergenze di opinioni circa il giudizio dato a un film. Un libro letto da entrambi poteva essere soggetto a discussione continua per giorni e giorni. Anche l’arte culinaria era spesso motivo di accesi dibattiti. Giorgio non lasciava più passare un parere di Luciano sul quale non fosse pienamente d’accordo.

Spesso le liti sembravano senza via d’uscita, solo il buonsenso riportava i contendenti alla calma e raramente risolvendo la questione.

Ogni volta era come se si frantumasse qualcosa, non l’amicizia, che sembrava forte e salda. Era il grado di sopportazione di Giorgio che via via si faceva più sottile, in particolare quando Luciano saliva in cattedra e cominciava a pontificare.

Anche stavolta il motivo scatenante della discussione era stato una ricetta di cucina: Luciano aveva asserito che la preparazione originale dei “bucatini all’amatriciana” prevedesse un fine trito di cipolla da imbiondire in olio extravergine prima di soffriggere la pancetta affumicata.

Giorgio, nonostante avesse già dato segni di insofferenza alla parola cipolla, aveva provato, con tutta la calma di cui era capace, a spiegare all’amico togato che l’ingrediente principale era il guanciale e che la pancetta affumicata la destinava volentieri agli amici crucchi.

A quel punto la strada presa dai due antagonisti era senza ritorno e il gioco si sarebbe ripetuto secondo il consueto rituale: li aspettava un’accesa litigata che sarebbe terminata con ripetute offese, sia da una parte che dall’altra, ad antiche generazioni di avi.

Fu mentre Luciano accusava l’amico di essere un inutile perfezionista che Giorgio aveva estratto rapidamente l’arma dalla fondina e aveva sparato un colpo a bruciapelo alla testa dell’amico.

Ancora in trance per l’omicidio appena compiuto Giorgio si avvicinò allo scaffale per riprendersi la pistola e fu attratto da un piccolo libro a pochi centimetri dall’arma.

DELITTI ESEMPLARI recitava il titolo sotto il nome di Max Aub sullo sfondo blu della copertina.

Lo aprì e lesse quello che sembrava un microscopico racconto:

Lo uccisi perché nessuno mi vedeva.

Incuriosito, sfogliò altre pagine fino a trovare ancora una frase secca:

Lo uccisi perché non la pensava come me.

Poi ne trovò una più lunga:

Lo uccisi perché avevo una pistola. Quanto piacere dà stringerla in mano!

Giorgio allora estrasse con calma la penna dal tasca interna della giacca e scrisse nell’ultima pagina del libro:

Il guanciale non è come la pancetta!

Lo uccisi perché non voleva capire la differenza.


Il racconto è stato pubblicato nell’ottobre 2008, in una prima versione, nel sito web “Anonima Scrittori”.


cardstefano@libero.it