FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

POBRECITO POETA QUE ERA YO...
Sulla poesia di Roque Dalton

di Irene Campagna



Salvador, anni '60. Protagonisti: Mario, Arturo, Alvaro, Roberto,José. Mario è un poeta afflitto dalla dipendenza etilica, nella notte libera il suo lato più intimo e soggettivo; vive un dramma tutto individuale che lo esclude dalla realtà storico-politica. È cosciente di contravvenire a un imperativo sociale, da questa consapevolezza nasce la sua storia tormentata. Per Mario la poesia è la salvezza, ma la colloca in un “sottosuolo notturno” (un Ade) in cui sprofonda e si nutre il suo io travolto dall’alcol. È un Orfeo recidivo che torna in superficie dalla notte dell’Ade ma che è costretto sistematicamente a discendervi, poiché ogni volta si gira a guardare indietro e perde la sua Euridice (la poesia), è incapace di guardare avanti verso il mondo esterno e di condurvi la sua compagna.
Il suo “io” è l’entità che si impone prepotentemente su qualsiasi altra categoria. Distruggere la causa della sofferenza, “l’io”, per un individuo che ha concentrato la sua esistenza-rifugio su di esso, equivale alla morte.
Arturo è un avvocato, e l’esercizio della professione forense in un sistema dittatoriale in cui non esiste la divisione dei poteri, diventa un’accettazione della politica del regime. In queste condizioni sarà difficile che esista un avvocato onesto, a meno che non scelga di minare il sistema dall’interno, rischiando la propria incolumità per mettere al servizio delle classi perseguitate da tale sistema la propria professione.
Alvaro è soggetto agli stessi rischi, lavora per il “Quarto Potere”. I mezzi di comunicazione vengono gestiti esclusivamente da coloro che possono comprarseli e fiancheggiano, ovviamente, la politica del despota di turno. Questa è l’unica libertà di stampa possibile nel Salvador. Invertirne la rotta espone alla censura, aggirare la censura comporta l’esercizio clandestino di tale professione, con la mancanza di visibilità e il rischio che ne consegue per potere offrire un’informazione autentica, libera dalle bugie imposte dalla dittatura. Anche il guadagno in queste condizioni è notevolmente ridotto, se non inesistente. Con questi presupposti essere un giornalista cessa di essere solo una professione, diventa militanza.

Alvaro e Arturo si muovono in ambiti lavorativi cruciali per la creazione di una nuova logica che porti alla sensibilizzazione collettiva e al riscatto delle classi oppresse, hanno in mano le stesse armi del regime, potrebbero usarle sullo stesso campo di battaglia e puntarle contro chi se n’è abusivamente appropriato, ma non riescono perché distratti e minati nel terreno fertile della loro vanità dalla logica dominante che, lusingandoli con il guadagno facile e il successo, li ha assorbiti.
Roberto è un poeta sensibile alla realtà storico-politica del suo paese, con l'amico José intraprende la strada della militanza politica ed intellettuale. Ma pur partendo insieme, non arrivano insieme allo stesso traguardo: Roberto si perde per strada, si smarrisce a causa dell’alcol e delle donne, elementi come altri che distolgono dal compimento del percorso rivoluzionario nel momento in cui non si ha ben presente la meta.
José prosegue quello che Roberto ha lasciato incompiuto, supera tutti i pericoli derivanti da un dato stile di vita, e porta fino in fondo la sua scelta vivendone sulla sua pelle le conseguenze.
José viene arrestato e detenuto per circa quindici giorni nel Palacio Negro, un settore di detenzione illegale situato a San Salvador. Segue il trasferimento in una cella del posto di Polizia di Cojutepeque, dove un terremoto danneggia il muro della cella, dopo qualche tempo un agente della CIA si reca sul luogo ad interrogarlo. Questo è solo il primo di una serie di colloqui, che si terranno nella garçonniere di un colonnello situata a qualche chilometro di distanza da Cojutepeque, dove José verrà condotto e trattenuto per qualche giorno. José nega la sua collaborazione, l'agente della CIA lo minaccia:

[...]dobbiamo eliminarti, intendo in modo totale, liquidando anche il tuo buon ricordo.[...]Faremo sapere al tuo Partito, attraverso le persone che abbiamo infiltrato e attraverso altri mezzi alla nostra portata, insospettabili, che tu ci hai dato tutte queste informazioni. Gli diremo che prima di morire hai tentato di salvare la pelle e hai parlato, hai tradito, hai denunciato i tuoi compagni. La storia non ti ricorderà come un eroe, ma come un traditore.1

Con la conclusione di questa sessione di interrogatori José viene ricondotto nella sua cella a Cojutepeque, da dove riesce a fuggire scavando un tunnel. Alla fine, è costretto all’esilio.
Fine del romanzo, ma non della storia.

Pobrecito poeta que era yo... è l'unico romanzo scritto dal poeta salvadoregno Roque Dalton, pubblicato postumo nel 1976 a San José (Costa Rica).
Ho scelto di presentare il poeta attraverso questo libro perché è qui che Roque Dalton ci rende partecipi del suo percorso di vita, degli errori e delle trappole in cui è incorso o a cui si è sottratto, delle sue paure, del suo coraggio, della sua volontà di non prendersi mai troppo sul serio, del dolore e della malinconia che isolano dal mondo, insomma di quello che è stato e di quello che avrebbe potuto essere, della contraddizione che fonda l’uomo e dialetticamente prepara il combattente. Inoltre, Pobrecito poeta que era yo..., si pone come un macrotesto in modo molto esplicito alcune volte, e altre, con rimandi inequivocabili.
Ma l’unico aspetto di questo romanzo verso cui è stata rivolta un po' di attenzione da parte della critica riguarda la presenza al suo interno di un episodio autobiografico, di grande rilevanza per le circostanze che hanno decretato la morte del poeta.

Roque Dalton nasce il 13 maggio del 1935 in Salvador. Frequenta il collegio gesuita; in seguito si trasferisce in Cile, e a 18 anni circa torna in Salvador, dove si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, e dove fonda insieme ad Otto René Castillo il Círculo literario universitario.
Membro della Generación Comprometida, fin dal periodo universitario inizia a partecipare attivamente alla vita politica del suo paese, subendo nel corso di cinque anni tre arresti: un primo nel 1959, un secondo nel 1960 che prevedeva la condanna a morte evitata grazie alla caduta del dittatore di turno (Lemus), un terzo nel 1964.
Dopo l’arresto del ’59 si dedica alla difesa gratuita dei detenuti. Nel 1961 pubblica la Ventana en el rostro, nel 1963 El turno del ofendido e nel 1964 Los testimonios.
I primi due libri sono molto intimi, con influenze non ancora depurate, ma i temi caratteristici dell’opera daltoniana sono già ben centrati. L’ultimo è un vero esempio di letteratura nazional-popolare; il poeta racconta il Salvador attraverso la cultura popolare, ne riprende i simboli e la mitologia.
Nel 1969 Taberna y otros lugares riceve il premio Casa de las Americas. È questo un libro molto complesso dove il poeta affronta problematiche di natura ideologica e politica, l’esperienza del carcere, il paese.
A causa della sua militanza politica fu costretto varie volte all'esilio, alla lontananza dal Pulgarcito (El Salvador) che tanto amava e odiava.

Il Salvador costituisce uno dei temi principali dell'opera di Roque Dalton, poeta delicato e aggressivo, ironico e autoironico, critico e autocritico, gioviale e duro. La ricerca dell’unità fra pensiero e azione, fra la vita e l'opera, il superamento dialettico dell’estetica guidano il poeta e il militante, sono carica rivoluzionaria dirompente che accompagnano il Dalton bohèmien, eccessivo e faceto sotto forma di continua ricerca, riflessione e penose consapevolezze. Questo percorso è perfettamente visibile nell’opera poetica daltoniana, ne è la causa e l’effetto.
Fra il 1970 e il 1972 pubblica Un libro levemente odioso e Los pequeños infiernos e nel 1974 le Historias prohibidas del Pulgarcito, poema-collage che attraverso vecchi documenti, articoli di giornali, poesie di Dalton e di altri poeti, racconta la storia del Salvador dalla Conquista alla contemporaneità. Un libro rojo para Lenin pubblicato fra il 1970 e il 1973, rappresenta insieme ai Poemas Clandestinos la sintesi poetico-politica. Infatti è proprio in questo periodo che Roque decide di passare all'azione, alla lotta armata. Vive ormai da tempo insieme alla sua famiglia a Cuba, la sua seconda patria. Fra il 1971 e il 1973 finisce di scrivere il romanzo e riceve l'addestramento militare. Nel 1973 torna in Salvador per unirsi all'ERP ( Ejercito Revolucionario del Pueblo ), movimento guerrigliero nato dalle scissioni verficatesi nel 1969 dal Partito Comunista salvadoregno, contrario alla via della lotta armata, e responsabile dell'organizzazione militare delle forze rivoluzionarie.
Roque sta per sintetizzare al più alto grado l'idea unitaria alla base della sua lunga ricerca esistenziale e letteraria, infatti scrive da guerrigliero i Poemas Clandestinos diffusi, appunto, clandestinamente in forma sciolta e firmati da vari eteronimi. Ma qualcosa andò storto.
Roque Dalton muore il 10 maggio 1975 ucciso da alcuni suoi compagni di lotta, appartenenti ad una cellula dell’ ERP. L'episodio sconvolse tutta l'America Latina, disorientata inizialmente dall’incertezza che aleggiava intorno all’accaduto.

Furono avanzate smentite, giustificazioni e ingiurie sulla condotta del rivoluzionario Dalton, accusato di essere un informatore della CIA secondo quanto indicavano le indagini condotte dall'ERP e pilotate dalla stessa CIA.2
L’infamia non sussistette, data la plateale infondatezza delle accuse.
In questa storia esiste una “coincidenza” insolita verificatasi undici anni prima della morte del poeta. Durante il suo arresto nel 1964 il poeta venne sottoposto ad un interrogatorio da un agente della CIA, il quale gli anticipò con raccapricciante esattezza le circostanze della sua morte.
Questo è l'episodio narrato nel romanzo qui messo in apertura, e José è il personaggio incaricato dall'autore di raccontarcelo.
Ritornerò su questo punto più avanti; adesso credo che sia fondamentale sottolineare - per evitare quell'apologismo postumo che tanto preoccupava Roque Dalton - come ogni personaggio custodisca oltre ad un aspetto letterario un alter ego dell'autore.
Mario, Arturo, Alvaro, Roberto e José sono due, tre, molti Roque; incarnano percorsi possibili, le perplessità, le incertezze e i rischi del rivoluzionario, i vari aspetti di una personalità complessa ma non frammentata. Non frammentata, certo, ogni personaggio detiene un pezzo di un puzzle che solo quando verrà unito agli altri potrà offrire una visione completa della realtà. Scomporre aiuta ad analizzare in modo esauriente una verità data, aiuta a comprendere la disposizione di tutti i pezzi, il loro incastro. La scomposizione e l’unione dei vari pezzi non possono prescindere da un ordine mentale che deve sottostare a tale operazione; la scomposizione è la fase fondamentale e precedente a quella imprescindibile dell’ unione di una realtà che lasci vedere tutte le parti che la compongono senza perciò perdere la sua natura unitaria. È questo uno degli insegnamenti più preziosi e attuali che può offrirci Roque Dalton: l'unità non è una qualità intrinseca, si conquista.

Ognuno di questi alter ego parziali rappresenta un rischio.
Mario esorcizza una delle morti che potrebbero corrispondere a quella di Roque Dalton, che attraverso Mario esprime la dolorosa consapevolezza del rischio di condividere una simile sorte. Arturo e Alvaro rappresentano invece il rischio di lasciarsi irretire in una vita da intellettuale borghese, entrambi svolgono delle professioni che ha praticato anche Roque Dalton, soggette al pericolo di essere fagocitate dalla macchina del business capitalista.
Roberto rappresenta il rischio di perdere di vista la meta. Rischio che Roque Dalton conosceva bene, esemplificato da un aneddoto molto simpatico raccontato ad un giornalista da uno dei suoi figli.
Quando Roque Dalton era a Cuba, prima di tornare nel Salvador per unirsi all’ERP, uscì ubriaco e nudo per strada e in quello stato di ebbrezza disse al suo vicino di casa che pensava di dover smettere di bere se voleva diventare un buon rivoluzionario.
José non è esente dal pericolo, non è un personaggio piatto, ha condiviso con gli altri personaggi situazioni e stili di vita, assistiamo alle sue perplessità , alle sue paure, alle certezze che lo guidano fino alla scelta finale, alla sua sofferenza per la lontananza dal Salvador, alla sofferta affermazione della necessità di non scendere mai a compromessi con la tirannia, pur rischiando la propria vita. José dimostra che questa scelta è il cammino più difficile e non necessariamente viene intrapreso stoicamente; chi lo percorre si ferma a guardare i sassi che incontra sul suo cammino, pondera, analizza, fino a giungere ad una scelta dettata dalla consapevolezza conseguente ad un iter critico che porta all’assunzione della responsabilità con tutte le sue implicazioni, punto di partenza del rivoluzionario.
Non a caso a José viene affidata la fase autobiografica più importante, arricchita e alleggerita da una buona dose di ironia daltoniana. E non a caso José sarà l'ultimo a vedere Otto, personaggio che si muove ai margini del romanzo, ma non marginale, incaricato di significare il titolo del romanzo proprio quando si congeda da José reduce dalla fuga, per andare ad unirsi alla guerriglia del suo paese (il Guatemala, Otto è Otto René Castillo).
Dal momento in cui si svolge il primo interrogatorio con l'agente della CIA la finzione si rompe, il racconto di José si confonde con quello dell’autore, con alcune incongruenze. La prima si è già verificata con la mancata fuga di José dopo il terremoto; Roque Dalton arrestato nel settembre del 1964 riesce a fuggire da Cojutepeque grazie al terremoto del maggio 1965 che abbatté il muro della sua cella. Su questo punto accettiamo pacificamente la finzione letteraria sul genere di un thriller parodico, in quanto José compie errori di calcolo estranei al protagonista-eroe di un romanzo di avventura.

In base alla biografia dell’autore, sappiamo che ha ricevuto una sola visita in carcere (infatti i successivi interrogatori di José avverranno dopo il terremoto) e stando alle indagini dell’ERP un’altra visita in un hotel di San Salvador.
Si deduce che gran parte dei dialoghi fra José e l’agente sono pura finzione, ma l’essenza e la minaccia formulata in risposta alla negazione di José alla collaborazione, e presumibilmente i ragionamenti del personaggio su tale situazione, corrispondono alla realtà.
È inevitabile che la minaccia dell'agente suoni come un terribile presagio, soprattutto se consideriamo che il romanzo è stato scritto prima dell’ingresso nell’ERP.
Tragicamente il punto finale del romanzo è proprio la morte di Roque Dalton: la storia di José si interrompe nel punto in cui l’autore si prepara a intraprendere la lotta armata. Come se ci trovassimo di fronte ad un racconto autobiografico in cui la conclusione coincide con la morte del suo autore, o meglio, del rivoluzionario che era un povero poeta.



1Roque Dalton, Pobrecito poeta que era yo..., 1973, San Salvador, El Salvador, UCA Editores, 2005, p.416.

2Vedi, Pino Cacucci, Simona e Simona: forse la memoria aiuta più della scarna cronaca, in "Carta" del 4 ottobre 2004.




BREVE ANTOLOGIA POETICA DI ROQUE DALTON
a cura Irene Campagna ed Emanuela Jossa



NO, NO SIEMPRE FUI TAN FEO

Lo que pasa es que tengo una fractura en la nariz
que me causó el tico Lizano con un ladrillo
porque yo decía que evidentemente era penalty
y él que no y que no y que no
nunca en mi vida le volveré a dar la espalda a un futbolista tico
el padre Achaerandio por poco se muere del susto
ya que al final había más sangre que en un altar azteca
y luego fue Quique Soler que me dio en el ojo derecho
la pedrada más exacta que cabe imaginarse
claro que se trataba de reproducir la toma de Okinawa
pero a mí me tocó ruptura de la retina
un mes de inmovilización absoluta (¡a los once años!)
visita al doctor Quevedo en Guatemala y al doctor
Bidford que usaba una peluca colorada
por eso es que en ocasiones bizqueo
y que al salir del cine parezco un drogadicto desvelado
la otra razón fue un botellazo de ron
que me lanzó el marido de María Elena
en realidad yo no tenía ninguna mala intención
pero cada marido es un mundo
y si pensamos que él creía que yo era un diplomático argentino
hay que dar gracias a Dios
la otra vez fue en Praga nunca se supo
me patearon cuatro delincuentes en un callejón oscuro
a dos cuadras del Ministerio de Defensa
a cuatro cuadras de las oficinas de la Seguridad
era víspera de la apertura del Congreso del Partido
por lo que alguien dijo que era una demostración contra el Congreso
(en el Hospital me encontré con otros dos delegados
que habían salido de sus respectivos asaltos
con más huesos rotos que nunca)
otro opinó que fue un asunto de la CIA para cobrarse mi escapatoria
             de la cárcel
otros más que una muestra de racismo antilatinoamericano
y algunos que simplemente las universales ganas de robar
el camarada Sóbolev vino a preguntarme
si no era que yo le había tocado el culo a alguna señora acompañada
antes de protestar en el Ministerio del Interior
en nombre del Partido Soviético
finalmente no apareció ninguna pista
y hay que dar gracias a Dios nuevamente
por haber continuado como ofendido hasta el final
en una investigación en la tierra de Kafka
en todo caso (y para lo que me interesa sustentar aquí)
los resultados fueron
doble fractura del maxilar inferior
conmoción cerebral grave
un mes y medio de hospital y
dos meses más engullendo licuado hasta los bistecs
y la última vez fue en Cuba
fue cuando bajaba una ladera bajo la lluvia
con un hierro M-52 entre manos
en una de esas salió de no sé donde un toro
yo me enredé las canillas en la maleza y comencé a caer
el toro pasó de largo pero como era un gran huevón
no quiso volver para ensartarme
pero de todos modos no fue necesario porque
como les iba contando yo caí encima del hierro
que no supo hacer otra cosa que rebotar como una revolución en África
y me partió en tres pedazos el arco cigomático
(muy importante para la resolución estética de los pómulos)

Eso explica por lo menos en parte mi problema.

(de Un libro levemente odioso)


NO, NON SONO SEMPRE STATO COSÍ BRUTTO

Il fatto è che ho una frattura al naso
che mi procurò il tico1 Licano con un mattone
perché io dicevo che era rigore netto
e lui che no no e no
mai più in vita mia ridarò le spalle a un calciatore costaricense
padre Achaerandio per poco non moriva dallo spavento
poiché alla fine c’era più sangue che su un altare azteco
e poi ci fu Quique Soler che mi tirò sull’occhio destro
la sassata più precisa che si possa immaginare
certo si trattava di riprodurre la presa di Okinawa
però a me costò la rottura della retina
un mese di immobilità assoluta (a undici anni!)
visita dal dottor Quevedo in Guatemala e dal dottor
Bidford che usava una parrucca rossa
è per questo che a volte storco gli occhi
e all’uscita dal cinema sembro un tossico assonnato
un altro motivo fu una bottigliata di rum
che mi lanciò il marito di María Elena
in realtà io non avevo alcuna cattiva intenzione
ma ogni marito è un mondo
e se pensiamo che mi credeva un diplomatico argentino
bisogna ringraziare Dio
un’altra volta successe a Praga non si è mai scoperto
mi presero a calci quattro delinquenti in un vicolo buio
a due isolati dal Ministero della Difesa
a quattro isolati dagli uffici della Sicurezza
era la vigilia dell’apertura del Congresso del Partito
perciò qualcuno disse che era una dimostrazione contro il Congresso
(all’Ospedale incontrai altri due delegati
che erano usciti dai rispettivi assalti
con più ossa rotte che mai)
un altro ipotizzò che fosse una faccenda della CIA per vendicarsi della
             mia fuga dal carcere
altri ancora una dimostrazione di razzismo antilatinoamericano
e alcuni semplicemente l’universale voglia di rubare
il compagno Sóbolev venne a chiedermi
se per caso avevo toccato il culo a qualche signora in compagnia
prima di protestare al Ministero degli Interni
in nome del Partito Sovietico
alla fine non emerse nessuna pista
e bisogna di nuovo ringraziare Dio
per essere rimasto l’offeso fino alla fine
in un’indagine nella terra di Kafka
in ogni caso (e per quello che mi interessa sostenere qui)
i risultati furono
duplice frattura del mascellare inferiore
commozione cerebrale grave
un mese e mezzo di ospedale
altri due mesi a ingoiare liquide perfino le bistecche
e l’ultima volta fu a Cuba
quando scendevo per un pendio sotto la pioggia
con un ferro M-52 tra le mani
ad un certo punto saltò fuori da non so dove un toro
io mi aggrovigliai i polpacci nelle erbacce e iniziai a rotolare
il toro tirò diritto e siccome era un gran minchione
non tornò indietro per infilzarmi
ma ad ogni modo non fu necessario perché
come vi stavo raccontando caddi sopra il ferro
che non seppe far altro che esplodere come una rivoluzione in Africa
rompendomi in tre pezzi l’arco zigomatico
(molto importante per la risoluzione estetica degli zigomi)

Questo spiega almeno in parte il mio problema.

(da Un libro lievemente odioso)



1Costaricense.


COMO TÚ

Yo como tú
amo el amor,la vida,el dulce encanto
de las cosas,el paisaje
celeste de los días de enero.

También mi sangre bulle
y río por los ojos
que han conocido el brote de las lágrimas.

Creo que el mundo es bello,
que la poesía es como el pan,de todos.

Y que mis venas no terminan en mí
sino en la sangre unánime
de los que luchan por la vida,
el amor,
las cosas,
el paisaje y el pan,
la poesía de todos.

(de Poemas clandestinos)


COME TE

Io, come te,
amo l’amore, la vita, il dolce incanto
delle cose, il paesaggio
celeste dei giorni di gennaio.

Anche il mio sangue freme
e rido attraverso occhi
che hanno conosciuto il germinare delle lacrime.

Credo che il mondo è bello,
che la poesia è come il pane, di tutti.

E che le mie vene non finiscono in me
ma nel sangue unanime
di coloro che lottano per la vita,
l’amore,
le cose,
il paesaggio e il pane,
la poesia di tutti.

(da Poesie clandestine)



ARTE POÉTICA 1974

Poesía
perdóname por haberte ayudado a comprender
que no estás hecha sólo de palabras.

(de Poemas clandestinos)


ARTE POETICA 1974

Poesia
perdonami per averti aiutato a capire
che non sei fatta solo di parole.

(da Poesie clandestine)


XI. POEMA DE AMOR

Los que ampliaron el Canal de Panamá
(y fueron clasificados como “silver roll” y no como “gold roll”)
los que repararon la flota del Pacífico
en las bases de California,
los que se pudrieron en las cárceles de Guatemala,
México, Honduras, Nicaragua,
por ladrones, por contrabandistas, por estafadores,
por hambrientos,
los siempre sospechosos de todo
(“me permito remitirle al interfecto
por esquinero sospechoso
y con el agravante de ser salvadoreño”),
las que llenaron los bares y los burdeles
de todos los puertos y capitales de la zona
(“La Gruta Azul”, “El Calzoncito”, “Happyland”),
los sembradores de maíz en plena selva extranjera,
los reyes de la página roja,
los que nunca sabe nadie de dónde son,
los mejores artesanos del mundo,
los que fueron cosidos a balazos al cruzar la frontera,
los que murieron de paludismo
o de las picadas del escorpión o la barba amarilla
en el infierno de las bananeras,
los que lloraron borrachos por el himno nacional
bajo el ciclón del Pacífico o la nieve del norte,
los arrimados, los mendigos, los marihuaneros,
los guanacos hijos de la gran puta,
los que apenitas pudieron regresar,
los que tuvieron un poco más de suerte,
los eternos indocumentados,
los hacelotodo, los vendelotodo, los comelotodo,
los primeros en sacar el cuchillo,
los tristes más tristes del mundo,
mis compatriotas,
mis hermanos.

(de Las historias prohibidas del Pulgarcito)


XI. POESIA D’AMORE

Quelli che ampliarono il Canale di Panama
(e furono classificati come “silver roll” e non come “gold roll”),
quelli che ripararono la flotta del Pacifico
nelle basi della California,
quelli che marcirono nelle galere del Guatemala,
Messico, Honduras, Nicaragua,
perché ladri, contrabbandieri, truffatori,
affamati,
quelli sospettati sempre di tutto
( “mi permetto segnalarle il tale
in quanto sfaccendato sospetto
e con l’aggravante di essere salvadoregno”)
quelle che riempirono i bar e i bordelli
di tutti i porti e le capitali della zona
(“La gruta azul”, “El Calzoncito”, “ Happyland”),
i seminatori di mais in piena foresta straniera,
i re della pagina rossa,
quelli che nessuno sa mai di dove sono,
i migliori artigiani del mondo,
quelli che vennero imbottiti di piombo attraversando la frontiera,
quelli che morirono di malaria
o del morso dello scorpione o della barba amarilla1
nell’inferno dei bananeti,
quelli che piangono ubriachi per l’inno nazionale
sotto il ciclone del Pacifico o la neve del nord,
gli arrimados2, i mendicanti, i fumatori di marijuana,
i guanacos3 figli di puttana,
quelli che a stento riuscirono a tornare,
quelli che ebbero un po’ di fortuna in più,
gli eterni irregolari,
i faccio di tutto, i vendo di tutto, i mangio di tutto,
i primi a prendere il coltello,
i tristi più tristi del mondo,
i miei compatrioti,
i miei fratelli.

(da Le storie proibite del Pulgarcito)



1Serpente velenosissimo.

2Lavoratori agricoli precari che ricevono in usufrutto un pezzetto di terra. In cambio sono costretti a lavorare nella hacienda per un certo numero di giorni all’anno ( circa 200 ), senza ricevere nessuna remunerazione. Il possesso di tale porzione di terra è del tutto temporaneo.

3Salvadoregni.


AÍDA FUSILEMOS LA NOCHE

Aída fusilemos la noche
y la terrible
miseria colectiva.
Aquí tenemos estas cuatro manos
y tenemos mi voz.
Nos respaldan tus ojos
y tu suave
manera de ir queriéndome.
Nos respalda esa sangre proyectada
hasta el cuerpo del hijo.
Nos respalda esta atmósfera
este pan cotidiano
y estas cuatro paredes
que tutelan los besos.
Rompamos Aída esta tormenta amarga.
Hay que construir pañuelos con luceros
para secar las lágrimas del hombre.
Hay que llevar al niño
a su música antigua.
Hay que volver a fabricar muñecas
y hay que sembrar maíz en las ciudades.
Hay que dinamitar los rascacielos
y dar lugar para que ascienda el trigo.
Hay que hacer instrumentos de labranza
con los buses urbanos.
Aída, fusilemos la noche
y esa horrible bandera.
Aída fusilemos la noche
y los negros cañones
y las bombas atómicas;
fusilemos el odio
y la terrible
miseria colectiva.

(de Diario Latino, 28 de enero de 1956)


AIDA FUCILIAMO LA NOTTE

Aida fuciliamo la notte
e la terribile
miseria collettiva.
Ecco abbiamo le nostre quattro mani
e la mia voce.
Ci sostengono i tuoi occhi
e il tuo delicato
modo di amarmi incessante.
Ci sostiene questo sangue proiettato
fino al corpo del figlio.
Ci sostiene questa atmosfera
questo pane quotidiano
e queste quattro mura
che difendono i baci.
Rompiamo Aida questa tormenta amara.
Si devono costruire fazzoletti con finestre
per asciugare le lacrime dell’uomo.
Si deve condurre il bambino
alla sua musica remota.
Si deve tornare a fabbricare bambole
si deve seminare mais nelle città.
Si devono far esplodere i grattacieli
e fare spazio perché si levi il grano.
Si devono costruire attrezzi da lavoro
con gli autobus urbani.
Aida, fuciliamo la notte
e questa orribile bandiera.
Aida fuciliamo la notte
e i neri cannoni
e le bombe atomiche;
fuciliamo l’odio
e la terribile
miseria collettiva.

(da Diario Latino, 28 gennaio 1956)


EL GRAN DESPECHO

País mío no existes
sólo eres una mala silueta mía
una palabra que le creí al enemigo.

Antes creía que solamente eras muy chico
que no alcanzabas a tener de una vez
Norte y Sur
pero ahora sé que no existes
y que además parece que nadie te necesita
no se oye hablar a ninguna madre de ti.


Ello me alegra
porque prueba que me inventé un país
aunque me deba entonces a los manicomios.

Soy pues un diosecillo a tu costa.

(Quiero decir: por expatriado yo
tú eres ex patria)

(de Taberna y otros lugares)


IL GRAN FASTIDIO

Paese mio non esisti
sei solo una mia goffa siluetta
una parola che ho creduto al nemico.

Prima pensavo che fossi soltanto molto piccolo
che non arrivavi ad avere insieme
Nord e Sud
però adesso so che non esisti
e per di più sembra che non servi a nessuno
non si sente nessuna madre parlare di te

Questo mi rallegra
purché prova che mi sono inventato un paese
anche se allora sarei da manicomio

Sono quindi un piccolo dio a tue spese

(Voglio dire: se io sono ex-patriato
tu sei ex patria)

(da Osteria e altri luoghi)


DECIRES

«El marxismo-leninismo es una piedra
para romperle la cabeza al imperialismo
y a la burguesía.»

«No. El marxismo-leninismo es la goma elástica
con que se arroja esa piedra.»

«No, no. El marxismo-leninismo es la idea
que mueve el brazo
que a su vez acciona la goma elástica
de la honda que arroja esa piedra.»

«El marxismo-leninismo es la espada
para cortar las manos del imperialismo.»

«Qué va! El marxismo-leninismo es la teoría
de hacerle la manicura al imperialismo
mientras se busca la oportunidad de amarrarle las manos.»

¿Qué voy a hacer si me he pasado la vida
leyendo el marxismo-leninismo
y al crecer olvidé
que tengo los bolsillos llenos de piedras
y una honda en el bolsillo de atrás
y que muy bien me podría conseguir una espada
y que no soportaría estar cinco minutos
en un Salón de Belleza?

(de Taberna y otros lugares)


MODI DI DIRE

“Il marxismo-leninismo è una pietra
per rompere la testa all'imperialismo
e alla borghesia.”

“No. Il marxismo-leninismo è la gomma elastica
con cui si scaglia quella pietra.”

“No, no. Il marxismo-leninismo è l'idea
che muove il braccio
che a sua volta aziona la gomma elastica
della fionda che scaglia quella pietra.”

“Il marxismo-leninismo è la spada
per tagliare le mani all'imperialismo.”

“Ma va'! Il marxismo-leninismo è la teoria
di fare la manicure all'imperialismo
mentre si cerca l'occasione per legargli le mani.”

Che ci posso fare se ho trascorso la vita
a leggere il marxismo-leninismo
e crescendo ho dimenticato
che ho le tasche piene di pietre
e una fionda nella tasca posteriore
e che potrei benissimo procurarmi una spada
e che non sopporterei di stare per cinque minuti
in un Salone di Bellezza?

(da Osteria e altri luoghi)


VERTE DESNUDA

        A María del Carmen
Pececillos de la imaginación
desnudos caramelos que se perdieron
en la escalera al cielo
perlas hirsutas
entreabiertas abuelas
pepinos salados del alba
sabiduría metamorfoseada
¿por dónde os debo penetrar
oh colección de hierbas y cosas
organizada con el pretexto
de un nombre de mujer
de un modo, de ilustrar
a la muchacha con que siempre soñé?

(de El amor me cae más mal que la primavera)


VEDERTI NUDA

        A María del Carmen
Pesciolini dell’immaginazione
nude caramelle perse
sulla scala per il cielo
perle irsute
ciocche socchiuse
cetrioli salati dell’alba
saggezza metamorfizzata
come penetrarvi
oh collezione di erbe e cose
organizzata col pretesto
di un nome di donna
di un modo, di illustrare
la ragazza che ho sempre sognato?

(da L’amore mi sta antipatico più della primavera)


ALTA HORA DE LA NOCHE

Cuando sepas que he muerto no pronuncies mi nombre
porque se detendría la muerte y el reposo.

Tu voz, que es la campana de los cinco sentidos,
sería el tenue faro buscado por mi niebla.

Cuando sepas que he muerto di sílabas extrañas
Pronuncia flor, abeja, lágrima, pan, tormenta.

No dejes que tus labios hallen mis once letras.
Tengo sueño, he amado, he ganado el silencio.

No pronuncies mi nombre cuando sepas que he muerto:
desde la oscura tierra vendría por tu voz.

No pronuncies mi nombre, no pronuncies mi nombre.
Cuando sepas que he muerto no pronuncies mi nombre.

(de El turno del ofendido)


NOTTE FONDA

Quando saprai che sono morto non pronunciare il mio nome
Perché si fermerebbero la morte e il riposo.

La tua voce, che è la campana dei cinque sensi,
diventerebbe il tenue faro cercato dalla mia nebbia.

Quando saprai che sono morto di’ sillabe strane
Pronuncia fiore, ape, lacrima, pane, tormenta.

Non permettere alle tue labbra di trovare le mie undici lettere.
Ho sonno, ho amato, ho guadagnato il silenzio.

Non pronunciare il mio nome quando saprai che sono morto:
dall’oscura terra verrei per la tua voce.

Non pronunciare il mio nome, non pronunciare il mio nome.
Quando saprai che sono morto non pronunciare il mio nome.

(da Il turno dell’offeso)


EL PRÍNCIPE DE BRUCES

Era la hora de la injuria la fugaz época de la maldición
cuando mi padre recomenzó en mí otra prueba.

Yo era el único súbdito que le quedaba a su locura
y aunque hasta entonces solía abofetearme de cuando en cuando
me hizo el honor de confiarme la marca negra de la ceniza en la frente.

Era noche para el gentío sin antorchas
por el clima propicio y el olor de la selva
pero a la sazón estábamos solos y como con temor de avergonzarnos
de tal manera que mi padre fue rápido en la consagración.

Me abandonó antes de que me lavase el rostro en su presencia
con agua despaciosa del cenote sagrado.

Decidí no destruir antes del amanecer la marca mágica
decidí descubrirla a mis ojos mirándome en el agua
sabía que con ello pisaba en un terreno mortal
pero más fascinábame la ascensión a la sabiduría.

A los tres días me encontraron muerto
rodeado de aves de rapiña muertas
mi padre fue por agua al pálido cenote
y me lavó la cara sin llorar.

(de Los testimonios)


IL PRINCIPE PRONO

Era l'ora dell'ingiuria l’epoca fugace della maledizione
quando mio padre fece con me un'altra prova.

Io ero l'unico suddito rimasto alla sua pazzia
e pure se, ancora allora, era solito schiaffeggiarmi ogni tanto
mi fece l'onore di conferirmi il marchio nero della cenere sulla fronte.

Era notte per la folla senza torce
per il clima propizio e l'odore della selva
ma quella volta eravamo soli e come con il timore di vergognarci
perciò mio padre fu rapido nella consacrazione.

Mi abbandonò prima che potessi lavarmi il viso in sua presenza
con acqua lenta del cenote sacro.

Decisi di non cancellare prima dell'alba il marchio magico
decisi di scoprirlo ai miei occhi guardandomi nell'acqua
sapevo che così calcavo un terreno mortale
ma di più mi affascinava l'ascensione alla sapienza.

Dopo tre giorni mi trovarono morto
circondato da uccelli rapaci morti
mio padre andò a prendere l'acqua al pallido cenote
e mi lavò il viso senza piangere.

(da I testimoni)


EL ARTE DE MORIR

      EL OTRO: Lo que Ud. quiere saber es, en cierto modo, el arte de morir.
      EL HOMBRE: Al parecer es el único arte que hemos de aprender hoy.

      FRIEDRICH DÜRRENMATT

Tómese una ametralladora de cualquier tipo
luego de ocho o más años de creer en la justicia

Mátese durante las ceremonias conmemorativas
del primer grito
a los catorce jugadores borrachos que sin saber las reglas
han hecho del país un despreciable tablero de ajedrez
mátese al Embajador Americano
dejándole a posteriori un jazmín en uno de los agujeros de la frente
hiérase primero en las piernas al señor arzobispo
y hágasele blasfemar antes de rematarlo
dispérsense los poros de la piel de doce coroneles barrigudos
grítese un viva el pueblo límpido cuando los guardias tomen puntería
recuérdense los ojos de los niños
el nombre de la única que existe
respírese hondamente y sobre todo procúrese
que no se caiga el arma de las manos
cuando se venga el suelo velozmente hacia el rostro

(de El turno del ofendido)


L'ARTE DI MORIRE

      L'ALTRO: Quello che Lei vuole sapere è, in qualche modo, l'arte di morire.
      L'UOMO: A quanto pare è l'unica arte che dobbiamo imparare oggi.

      FRIEDRICH DÜRRENMATT

Si prenda una mitragliatrice di qualsiasi tipo
dopo aver creduto per otto o più anni nella giustizia

Si uccidano durante le cerimonie commemorative
di maggior grido
i quattordici giocatori ubriachi che senza conoscere le regole
hanno fatto del paese una deplorevole scacchiera
si uccida l'Ambasciatore Americano
lasciandogli a posteriori un gelsomino in uno dei buchi della fronte
si ferisca prima alle gambe il signor arcivescovo
e lo si faccia bestemmiare prima di finirlo
si disseminino i pori della pelle di dodici colonnelli panciuti
si gridi un viva il popolo chiaro quando le guardie prendano la mira
si ricordino gli occhi dei bambini
il nome dell'unica che esiste
si respiri profondamente e soprattutto si provveda
a non far cadere l'arma dalle mani
quando il suolo si avvicinerà velocemente verso il volto.

(da Il turno dell’offeso)


LO QUE ME DIJO UN ANARQUISTA ADOLESCENTE

(Este proyecto no es original. Me fue comunicado por E. B., obispo en sus ratos de ocio, quien a su vez lo recibió de labios del anarquista adolescente que menciono, de oficio retratista.)

No matéis a los curas, pueblos que despertáis y caéis en la cuenta
de la estafa más grande que edad alguna oliera.

Por el contrario estimulad su cría,
cebadlos uno a uno con esmero acucioso.
Así podréis ir luego montados en curas gordos al trabajo
- la gasolina siempre tiende a subir -,
dejarlos amarrados a la puerta del bar,
decir - oh desdeñoso ancestro que os resurge -
que el vuestro está más brioso que los otros mostrencos.

Los domingos llevaremos a los niños a las carreras de curas
- único juego de azar que será permitido -
en las cuales brillarán los descendientes pur sang de los obispos.

Habrá curas de tiro y carga, curas trotones, curas sementales,
y tendrán los establos olor a santidad.

Los curas inservibles serán embalsamados
y vendidos como adornos de salón:
la tonsura podrá servir de cenicero.

(de El turno del ofendido)


COSA MI DISSE UN ANARCHICO ADOLESCENTE

(Questo progetto non è originale. Mi è stato comunicato da E.B., vescovo nei suoi momenti di ozio, che a sua volta lo ha raccolto dalla bocca dell'anarchico adolescente che menziono, di mestiere ritrattista.)

Non uccidete i preti, popoli che vi risvegliate e vi rendete conto
dell'inganno più grande che in ogni tempo sia stato fiutato.

Al contrario incoraggiate la loro crescita,
ingrassateli uno a uno con premurosa cura .
Così poi potrete andare al lavoro in groppa a preti grassi
- la benzina costa sempre di più -
lasciarli legati alla porta del bar,
dire - oh sdegnoso antenato che in voi riappare -
che il vostro è più vivace degli altri tracagnotti.

La domenica porteremo i bambini alle corse dei preti
- unico gioco d'azzardo che sarà permesso -
in cui eccelleranno i discendenti pur sang dei vescovi.

Ci saranno preti da tiro e da soma, preti da trotto, preti da monta,
e avranno le stalle odore di santità.

I preti inservibili verranno imbalsamati
e venduti come ornamenti da salotto:
la chierica potrà servire da posacenere.

(da Il turno dell’offeso)


CONSEJO QUE YA NO ES NECESARIO EN NINGUNA PARTE DEL MUNDO PERO QUE EN EL SALVADOR...

No olvides nunca
que los menos fascistas
de entre los fascistas
también son
fascistas.

(de Poemas clandestinos)


CONSIGLIO NON PIÚ NECESSARIO IN NESSUNA PARTE EL MONDO MA CHE NEL SALVADOR...

Non dimenticare mai
che i meno fascisti
tra i fascisti
sono sempre
fascisti.

(da Poesie clandestine)


Le traduzioni delle poesie di Roque Dalton qui proposte sono di Irene Campagna ed Emanuela Jossa, e fanno parte di un’antologia interamente dedicata a Roque Dalton di prossima pubblicazione presso la Multimedia Edizioni di Salerno. I testi in spagnolo sono stati tratti da: Mario Benedetti (a cura di), Roque Dalton, Antología, Visor de poesía, Madrid, 2000; Roque Dalton, Un libro levemente odioso, La Letra editores, Mexico, 1988; Roque Dalton, Taberna y otros lugares, Casa de las Americas, La Habana, 1969; Roque Dalton, Antología poética elettronica realizzata dal poeta salvadoregno André Cruchaga.


BIBLIOGRAFIA DI ROQUE DALTON

POESIA

  • La ventana en el rostro, 1961
  • El turno del ofendido, 1963
  • Los testimonios, 1974
  • Taberna y otros lugares, 1969
  • Doradas cenizas del fénix, 1961-1963
  • El amor me cae más mal que la primavera, 1969-1973
  • Un libro levemente odioso, 1970-1972
  • Los pequeños infiernos, 1970
  • Un libro rojo para Lenin, 1970-1973
  • Historias prohibidas del Pulgarcito, 1974
  • Poemas Clandestinos, 1980
ALTRE OPERE
  • César Vallejo, 1963 (saggio)
  • El Salvador, 1963 (monografia)
  • Miguel Marmol, 1972(saggio)
  • ¿Revolución en la revolución? y la critica de derecha, 1970 (saggio)
  • Pobrecito poeta que era yo..., 1976 (narrativa)

In Italia sono state pubblicate due antologie poetiche: La parola ferita a cura del Laboratorio di Babele con introduzione di Antonio Melis (Datanews, 1991) e La finestra sul volto a cura di Gianni Toti (Fahrenheit 451, Roma, 1997).


irenecampagna@gmail.com
ejossa@unical.it




Sulla poesia del Salvador, vedi anche, sul n. 12
Consonanze salvadoregne: dalla generazione comprometida alla poesia de combate
di Irene Campagna