FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 13
gennaio/marzo 2009

Nutrimenti

LA POESIA DI ALFONSINA STORNI

di Alessio Brandolini



In fondo al mare
c’è una casa
di cristallo

Alfonsina Storni

Nata il 29 maggio 1892 in Svizzera, nel Canton Ticino (Sala Capriasca), Alfonsina Storni emigra con la famiglia in Argentina (San Juan, poi Rosario) quando aveva solo quattro anni, ma è nella parte svizzera italofona che apprende, dai genitori Alfonso Storni e Paulina Martignoni, a parlare la lingua italiana.
Nel 1906 muore il padre e le difficoltà economiche, già molto difficili, si fanno tragiche. La giovane Alfonsina dall’età di dieci anni già lavora come sarta, operaia, lavapiatti e cameriera nel bar di famiglia (il “Caffè svizzero”, nella città di Rosario) e più avanti, nel 1907, come attrice, cosa che segnò un cambio di rotta nella sua vita, dandogli la possibilità di uscire dal disperato ambiente familiare, di girare il paese in lungo e in largo, di allargare i propri orizzonti e conoscere le opere del teatro classico e contemporaneo.
Nel 1909 riesce, nonostante tutto, a diplomarsi e nel 1910 comincia a insegnare, ma a vent’anni resta incinta e, coraggiosamente, decide di tenere il figlio e trasferirsi a Buenos Aires. Nell’aprile 1912 nasce il figlio Alejandro e non rivela il nome del padre. Per mantenersi da ragazza-madre lavora come cassiera in un negozio, da questo momento in poi affronterà la vita da sola, allevando il figlio e affrontando le tante difficoltà quotidiane, nonché i pregiudizi morali di una società ipocrita e bacchettona.

Alcune riviste importanti (tra le quali “Mundo argentino”) accolgono i suoi testi poetici e nel 1916 pubblica la sua prima raccolta, La inquietud del rosal (L’inquitudine del roseto) in cui gli aspetti sensuali della sua poesia si affiancano a una dura critica al sistema generale, a una sfida al maschilismo imperante ovunque, alla denuncia dell'impossibilità per una donna di vivere la propria libertà, la propria indipendenza.
È l’inizio di una intensa attività poetica, che è anche riscatto esistenziale e sociale. Stringe amicizia con intellettuali d’area socialista, come Manuel Ugarte e José Ingenieros, e recita le sue poesie nelle biblioteche di quartiere, in una Buenos Aires in continua e rapida espansione.
Due anni dopo esce la raccolta El dulce daño (Il dolce danno) e nel 1919 Irremediablemente (Irrimediabilmente) e, infine, nel 1920, Languidez (Languore), che ottiene riconoscimenti e premi importanti. Se nelle prime raccolte i toni romantici e modernisti (sotto la diretta influenza di Ruben Darío e Amado Nervo) sono predominanti, ora l’emotività della Storni è più controllata e il sogno si contrappone alla realtà di tutti i giorni, al suo grigiore e al vuoto, alla solitudine e alla sconfitta. L’amore, mai rinnegato (“yo nací para el amor”) è ora soprattutto sofferenza. Predomina un pessimismo di fondo, ma dai toni secchi e duri, l’amara consapevolezza dell’impossibilità di raggiungere una gioia intima e profonda, un amore perfetto. La novità non è soltanto, quindi, nello stile che abbandona gli eccessi dell’artificio letterario delle prime opere, ma soprattutto nel tono: più diretto e autobiografico, spietatamente sincero (v. “La Loba”, in cui parla della propria maternità “illecita”). Un’intimità più profonda e “domestica”, e a un tempo più umile e schietta, fa sì che questi amari versi si trasformino in un simbolo della donna moderna durante i primi decenni del secolo scorso, che al desiderio di tenerezza, amore ed erotismo, di una sessualità più libera e piena, intrecciava quello del rifiuto del vincolo di subalternità all’uomo.

Quattro raccolte in quattro anni e così, dopo enormi sacrifici, Alfonsina Storni, riesce a crearsi un proprio spazio letterario, a raggiungere una buona notorietà e il suo nome comincia a giare anche all’estero. Frequenta spesso Montevideo, cosa che farà fino alla morte, allacciando buone amicizie con scrittori uruguayani, come Juana de Ibarbourou e, soprattutto, con Horacio Quiroga, con il quale vivrà un’intensa relazione.
Dal 1923 insegna Lettura e declamazione alla Escuola Normal de Lenguas Vivas, inizia a occuparsi anche di teatro, scrive il dramma El amo del mundo (Il padrone del mondo), che verrà rappresentato nel 1927 ma senza successo, e alcuni racconti.
Ora può lavorare sulla poesia con maggiore riflessione, senza fretta, senza quell’urgenza che aveva caratterizzato i primi libri. Riceve la visita della cilena Gabriela Mistral, che poi in un articolo ne esalterà la bellezza e la semplicità e, insieme, la sua forza di donna indipendente e coraggiosa.
Collabora molto a riviste e periodici, anche sotto pseudonimo, insistendo sulla situazione della donna nella società contemporanea e sul suo diritto di voto (che in Argentina arriverà nel 1946), di libertà e di realizzazione personale anche al di fuori del matrimonio. Il suo è un giornalismo innovativo e battagliero, che prova con ironia, talvolta con umorismo, a scardinare i pregiudizi della società patriarcale e conservatrice degli anni ’20, e non solo in Argentina.
Viaggia in Europa, ma è a Buenos Aires che conosce García Lorca (che resta nella città dall’ottobre 1933 al febbraio 1934), al quale dedicherà la poesia “Ritratto di García Lorca”.

Nel 1925, poco più che trentenne, pubblica la sua quinta, rilevante raccolta: Ocre (Ocra), lavoro più maturo, complesso e stratificato dei precedenti, che segna anche il culmine della breve traiettoria poetica di Alfonsina Storni. Qui la sofferenza è meno personale, si slarga lo sguardo, le immagini spesso sono ironiche e taglienti. C’è sempre la rivolta, ma ora è soprattutto esistenziale e si è fatta più generale. Il bersaglio non è solo l’uomo, anche la donna deve liberarsi dei pregiudizi, dei luoghi comuni e vivere pienamente la propria intimità, così come il proprio corpo. La Storni anticipa tematiche poi sviluppate in America negli anni sessanta, è su posizioni, per l’epoca, “ultramoderniste” (è lei stesa a rendersene conto e a scriverlo), per questo molti critici l’accusano d’immoralità, di “denigrare l’uomo”. Anche la rivista letteraria “Martín Fierro”, diretta dal brillante e giovane Jorge Luis Borges, l’attacca, soprattutto per lo stile poetico diretto “da confessione”, poco metaforico.
Nel 1926 pubblica Poemas de amor, che in realtà sono delle prose poetiche, in cui fa il punto della propria esistenza, così profondamente cambiata nel giro di pochi anni, e riflette sulla poesia e i propri sentimenti. Testi semplici sì, ma diretti, asciutti e spesso contundenti.
Più tardi, nel 1934, darà alle stampe il libro di poesia (nove anni dopo Ocre) Mundo de siete pozos (Mondo di sette pozzi), sperimentale e, ad un tempo, carico di angosce. Qui si realizza un netto distacco dalle tematiche precedenti, un’apertura verso il nuovo, una vicinanza con la poesia spagnola della “Generazione del ’27”, che aveva conosciuto nei suoi viaggi in Europa nel 1930 e nel 1932: la libertà compositiva infonde alle immagini una maggiore visionarietà.

Nel 1935 gli diagnosticano un tumore, viene operata a maggio e le asportano un seno. Inizia le cure per bloccare il male, ma scivola nella depressione.
Nel 1937 si suicida lo scrittore uruguayano Horacio Quiroga e per lei è un durissimo colpo: scrive un poema dove la morte dell’amico è vista come la sua stessa morte.
Nel gennaio 1938 il Ministero dell’Istruzione dell’Uruguay organizza un grande incontro con quelle che vengono considerate le tre poetesse più importanti viventi nel continente americano: Juana de Ibarbourou, Alfonsina Storni e Gabriela Mistral. In passato non era mai accaduto che donne scrittrici godessero di una simile considerazione.
Nel 1938, un mese prima della morte, pubblica l’ultima raccolta poetica, Mascarilla y trébol (Maschera e trifoglio), dove mescola spinte avanguardiste a un recupero di forme metriche tradizionali: la realtà appare accerchiata da immagini oscure, spesso grottesche. Dà alle stampe anche una Antológia Poética, con testi scelti dall’autrice.
Nell’ottobre 1938, all’età di quarantasei anni, Alfonsina Storni, preso atto che la malattia non si arresta e non lascia speranze e che il dolore le impedisce di scrivere, si suicida affogando nel Mar del Plata, davanti la spiaggia La Perla. Nell’albergo dove alloggiava lascia una lettera all’amato figlio Alejandro e la sua ultima poesia, “Voy a dormir”:

              (…) Grazie. Ah, un incarico
      se lui chiama di nuovo per telefono
      digli che non insista, sono andata.

Testo che ispirò la notissima canzone Alfonsina y el mar di Ariel Ramírez e Félix Luna, nel corso degli anni interpretata da numerosi artisti (come Mercedes Sosa):

      Te ne vai Alfonsina con la tua solitudine
      quali nuove poesie sei andata a cercare?
      (…)
      e se chiama non dirgli che ci sono
      digli che Alfonsina non torna.

In molte poesie Alfonsina Storni aveva parlato della morte nel mare, visto come casa-tomba, fluido luogo di quiete infinta, da contrapporre alla pesantezza della terra: luogo di lotta quotidiana, e di pena.




POESIE DI ALFONSINA STORNI


DOS PALABRAS

Esta noche al oído me has dicho dos palabras
comunes. Dos palabras cansadas
de ser dichas. Palabras
que de viejas son nuevas.

Dos palabras tan dulces, que la luna que andaba
filtrando entre las ramas
se detuvo en mi boca. Tan dulces dos palabras
que una hormiga pasea por mi cuello y no intento
moverme para echarla.

Tan dulces dos palabras
que digo sin quererlo -¡oh, qué bella, la vida!-
Tan dulces y tan mansas
que aceites olorosos sobre el cuerpo derraman.

Tan dulces y tan bellas
que nerviosos, mis dedos,
se mueven hacia el cielo imitando tijeras.

Oh, mis dedos quisieran
cortar estrellas.

(de El dulce daño, 1918)


DUE PAROLE

All’orecchio questa notte mi hai detto due parole
comuni. Due parole stanche
di essere dette. Parole
che da vecchie si son fatte nuove.

Due parole così dolci, che la luna che passava
filtrando tra i rami
nella mia bocca si è fermata. Due parole così dolci
che una formica mi cammina sul collo e resto immobile
non provo nemmeno a scacciarla.

Due parole così dolci
che senza volerlo esclamo: oh, che bella, la vita!
Così dolci e così mansuete
che oli profumati scorrono sul corpo.

Così dolci e così belle
che nervose, le mie dita,
si muovono verso il cielo imitando una forbice.

Vorrebbero le mie dita
tagliare stelle.

(da Il dolce danno, 1918)


PRESENTIMIENTO

Tengo el presentimiento que he de vivir muy poco.
Esta cabeza mía se parece al crisol,
purifica y consume,
pero sin una queja, sin asomo de horror.
Para acabarme quiero que una tarde sin nubes,
bajo el límpio sol,
nazca de un gran jazmín una víbora blanca
que dulce, dulcemente, me pique el corazón.

(de El dulce daño, 1918)


PRESENTIMENTO

Ho il presentimento che vivrò molto poco.
Questa mia testa assomiglia a un crogiolo,
purifica e consuma,
ma senza un gemito, senza un accenno di orrore.
Per uccidermi chiedo che un pomeriggio senza nubi,
sotto il limpido sole,
nasca da un grande gelsomino una vipera bianca
che dolce, dolcemente, mi punga il cuore.

(da Il dolce danno, 1918)


HOMBRE

Hombre, yo quiero que mi mal comprendas,
hombres, yo quiero que me des dulzura,
hombre, yo marcho por tus misma sendas;
hijo de madre: entiende mi locura...

(de Irremediablemente, 1920)


UOMO

Uomo, io voglio che tu comprenda il mio male,
uomo, io voglio che tu mi dia dolcezza,
uomo, io vado per i tuoi stessi sentieri;
figlio di madre: comprendi la mia pazzia...

(da Irrimediabilmente, 1920)


BORRADA

El día que me muera, la noticia
ha de seguir las práticas usadas,
y de oficina en oficina al punto
por los registros seré yo buscada.

Y allá muy lejos, en un pueblecito
que está durmiendo al sol en la montaña,
sobre mi nombre, en un registro viejo,
mano que ignoro trazará una raya.

(de Languidez, 1920)


CANCELLATA

Il giorno in cui morirò, la notizia
seguirà le solite procedure,
da un ufficio all’altro con precisione
dentro ogni registro verrò cercata.

E là molto lontano, in un paesino
che sta dormendo al sole su in montagna,
sopra il mio nome, in un vecchio registro,
mano che ignoro traccerà una riga.

(da Languidezza, 1920)


PECHO BLANCO

Porque yo tengo el pecho blanco, dócil,
inofensivo, debe ser que tantas
flechas que andan vagando por el aire
toman su dirección y allí se clavan.

Tú, la mano perversa que me hieres,
se aquello es tu placer, poco te basta;
mi pecho es blanco, es dócil y es humilde:
suelta un poco de sangre... luego, nada.

(de Languidez, 1920)


PETTO BIANCO

Perché io ho il petto bianco, docile,
inoffensivo, dev’essere che le tante
frecce che vanno nell’aria vagando
prendono la sua direzione e lì si piantano.

Tu, la mano perversa che mi ferisce,
se questo è il tuo piacere, poco ti basta;
il mio petto è bianco, è docile ed è umile:
fuoriesce un po' di sangue... dopo, nulla.

(da Languidezza, 1920)


VERSOS A LA LA TRISTEZA DE BUENOS AIRES

Tristes calles derechas, agrisadas e iguales,
por donde asoma, a veces, un pedazo de cielo,
sus fachadas oscuras y el asfalto de suelo
me apagaron los tibios sueños primaverales.

Cuánto vagué por ellas, distraída, empapada
en el vaho grisáceo, lento, que las decora.
De su monotonía mi alma padece ahora.
-¡Alfonsina!- No llames. Ya no respondo a nada.

Si en una de tus casas, Buenos Aires, me muero
viendo en días de otoño tu cielo prisionero
no me será sorpresa la lápida pesada.

Que entre tus calles rectas, untadas de su río
apagado, brumoso, desolante y sombrío,
cuando vagué por ellas, ya estaba yo enterrada.

(de Ocre, 1925)


VERSI ALLA TRISTEZZA DI BUENOS AIRES

Tristi strade dritte, ingrigite e uguali,
da cui s’intravede, talvolta, uno spicchio di cielo,
le sue scure facciate e l’asfalto del suolo
hanno spento i miei tiepidi sogni primaverili.

Quanto vagai da quelle parti, sbadata ed intrisa
nel vapore grigiastro, lento, che le decora,
Della loro monotonia la mia anima soffre tutt’ora
- Alfonsina! - non chiamare. Ormai non rispondo a niente.

Se in una delle tue case, Buenos Aires, morirò
osservando in giorni autunnali il tuo cielo recluso
per me non sarà una sorpresa la tua lapide pesante.

Che tra le tue strade dritte, unte dal suo fiume
spento, plumbeo, desolante e ombroso,
quando vagai da quelle parti, già stavo sottoterra.

(da Ocra, 1925)


De POEMAS DE AMOR
Da POESIE D'AMORE

VI

Por sobre todas las cosas amo tu alma. A través del velo de tu carne la veo brillar en la oscuridad: me envuelve, me trasforma, me satura, me hechiza. Entonces hablo para sentir que existo, porque si no hablara mi lengua se paralizaría, mi corazón dejaría de latir, toda yo me secaría deslumbrada.


VI

Al di sopra di tutto amo la tua anima. Attraverso il velo della tua carne la vedo brillare nell’oscurità: mi avvolge, mi trasforma, mi satura, mi affascina. Allora parlo per sentire che esisto, perché se non parlassi la mia lingua si paralizzerebbe, il mio cuore smetterebbe di palpitare, tutta mi disseccherei abbagliata.


LII

Siete veces hicimos en media hora el mismo camino. Íbamos y volvíamos al lado de la verja de un jardín, como sonámbulos. Respirábamos la humedad nocturna y olorosa que subía de los canteros y, como de pálidas muertes de ultratumba, por entre los troncos negros de los árboles, veíamos, por momentos, la carne blanca de las estatuas.


LII

Sette volte facemmo in mezz’ora lo stesso tragitto. Avanti e indietro di fianco all’inferriata di un giardino, come sonnambuli. Respiravamo l’umidità notturna e odorosa che usciva dalle pietre e, come pallide morti dell’oltretomba, in mezzo ai tronchi neri degli alberi, vedevamo, a tratti, la carne bianca delle statue.


YO EN EL FONDO DEL MAR

En el fondo del mar
hay una casa
de cristal.

A una avenida
de madréporas
da.

Un gran pez de oro,
a las cinco,
me viene a saludar.

Me trae
un rojo ramo
de flores de coral.

Duermo en una cama
un poco más azul
que el mar.

Un pulpo
me hace guiños
a través del cristal.

En el bosque verde
que me circunda
-din don... din dan...-
se balancean y cantan
las sirenas
de nácar verdemar.

Y sobre mi cabeza
arden, en el crepúsculo,
la erizadas puntas del mar.


IO SUL FONDO DEL MARE

In fondo al mare
c’è una casa
di cristallo.

A una strada
di madreperle
conduce.

Un grande pesce d’oro,
alle cinque.
mi viene a salutare.

Mi porta
un ramo rosso
di fiori di corallo.

Dormo in un letto
un poco più azzurro
del mare.

Un polipo
mi fa l’occhietto
attraverso il cristallo.

Nel bosco verde
che mi circonda
- din don... din dan... -
dondolano e cantano
le sirene
di madreperla verdemare.

E sulla mia testa
ardono, al crepuscolo,
le ispide punte del mare.



Traduzione dallo spagnolo di Alessio Brandolini.



OPERE DI ALFONSINA STORNI

  • La inquietud del rosal (1916)
  • El dulce daño (1918)
  • Irremediablemente (1919)
  • Languidez (1920)
  • Ocre (1925)
  • Poemas de amor (1926)
  • Mundo de siete pozos (1934)
  • Mascarilla y trébol (1938)
  • Antología poética (1938)
  • Poesías completas (1968)

in Italia sono state pubblicate le antologie:

  • Vivo, vivrò sempre e ho vissuto (2008, Ulivo)
  • Utratelefono – poesie (1997, Noubs)
  • Poemas de amor (1988, Casagrande)


alexbrando@libero.it