FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 11
luglio/settembre 2008

Generazioni

VERA LÚCIA DE OLIVEIRA, IL DENSO DELLE COSE

di Alessio Brandolini



lavava il corpo di lui con l’anima in mano

Vera Lúcia de Oliveira       


È uscito da qualche mese l’ultimo lavoro poetico di Vera Lúcia de Oliveira, è un’antologia personale e s’intitola Il denso delle cose (2008, Besa Editrice, collana Costellazione, con testo portoghese a fronte della stessa autrice).
Prima di analizzare la raccolta mi sembra opportuno spendere due parole sulla peculiarità letteraria e poetica della poetessa che, nata in Brasile nel 1958, vive da 25 anni in Italia, nel cuore geografico italiano, in Umbria, pur insegnando da tempo a Lecce. Ebbene l’autrice non ha optato, come normalmente accade, per una lingua o l’altra. In questo caso, per il portoghese (lingua familiare, di nascita, del cuore) o l’italiano (lingua di adozione o di arricchimento linguistico). Lei alterna il portoghese all’italiano e si traduce (e traduce poeti italiani e brasiliani) dall’una all’altra lingua: senza traumi, anzi quasi “sfruttando”, di volta in volta, le peculiari caratteristiche delle due lingue. Ne parla lei stessa nel saggio finale aggiunto all’antologia poetica:

scrivo in portoghese perché è la mia prima lingua, quella con la quale ho iniziato a pensare e a sentire le cose del mondo. E mi piace aver imparato a nominare il mondo in portoghese, perché è una lingua dove c’è molto spazio per un rapporto affettivo con le cose, con la realtà, con le persone. In portoghese persino i verbi sono usati al diminutivo (...). L’italiano è più austero, più aulico. Ma l’italiano ha quest’aura poetica che lo avvolge e mi piace che sia l’altra lingua della mia interiorità. I due idiomi convivono, interagiscono: esistono cose che posso dire solo in portoghese, altre che posso dire solo in italiano. Ci sono parole, espressioni, assolutamente intraducibili da una lingua all’altra.

Infatti, gli ultimi tre libri di poesia di Vera Lúcia de Oliveira pubblicati prima di questa antologia sono A chuva non ruídos (2004) in portoghese (con il quale ha vinto il premio di poesia dell’Accademia Brasiliana di Lettere), Verrà l’anno (Fara, 2005) in italiano, opera finalista vincitrice al Premio Pasolini 2006 e Entre as junturas dos ossos (2006), in portoghese, poi premiato e diffuso in Brasile in tutte le scuole nazionali.
Una convivenza linguistica che ricalca l’esperienza del suo connazionale, che visse tra Italia e Brasile, Murilo Mendes, ovvero un bilinguismo che con il tempo poi si trasforma in biculturalismo, e che rende difficile agli storici della letteratura la scelta d’inserire la poetessa tra le autrici italiane o brasiliane.
In effetti negli ultimi decenni sono saltati gli steccati: si può appartenere tranquillamente a due culture diverse, di due paesi lontani, e questo non è solo un arricchimento per l’autore ma per le due lingue nelle quali si scrive, e per i paesi ad esse collegati. Così che autori come Vera Lúcia de Oliveira faranno parte sia dell’una che dell’altra letteratura e, in tal senso più facilmente di altri, a quell’unica letteratura mondiale di cui già vagheggiava Goethe negli anni della maturità.

Tornando alla raccolta Il denso delle cose, essa prende avvio con i testi della raccolta Geografie d’ombra (1989) che è il primo libro di poesia pubblicato in Italia, mentre l’esordio in Brasile risale al 1983. Le ombre e le tracce delle difficoltà incontrate in Italia, dello stacco dalla propria terra, dall’infanzia. L’acuta nostalgia, quindi, ma anche l’inizio di quella poetica del dolore e della spoliazione linguistica che caratterizzerà le successive raccolte.
L’antologia prosegue con Pezzi (1992), che forse sottintende anche il desiderio di ricostruire, dai frammenti del passato, una nuova geografia (interiore e più propriamente “geografica”, di armonioso e fluido collegamento tra luogo d’origine e luogo in cui si vive, ovvero tra Brasile e Italia):

    il sole illumina la vita in silenzio
    la casa lucida
    dentro di me le cose scavate

Poi sono stati antologizzati i testi di una raccolta centrale e decisiva per la messa a fuoco della poetica della de Oliveira, Tempo di soffrire (1989), interamente dedicata al tema del dolore: dell’uomo, del mondo, della malattia, della solitudine; della sofferenza sociale, psicologica, esistenziale; il dolore che resta conficcato nella memoria e nel cuore. Sono testi più equilibrati dei precedenti, anche più lucidi e consapevoli:

    da questo sguardo massiccio
    nascono poesie
    da questo modo torto

Seguono i testi della raccolta, scritta direttamente in portoghese, Uccelli convulsi (2001), che contiene il testo che presta il titolo all’antologia. Ancora il dolore, come una costante, un’ossessione, e gli uccelli (le rondini) e le case (il nido), anzi le “casupole” dell’omonima poesia in cui si dice:

    di casupole
    era fatta l’infanzia
    di pareti bianche
    di cortili gonfi di uccelli

Ecco, a mio avviso, da questa raccolta si avverte un cambio decisivo, un salto di qualità dal punto di vista costruttivo, metrico e compositivo: la poesia di Vera Lúcia de Oliveira comincia a farsi “più leggera” e non per un “alleggerimento” dei temi trattati, che infatti restano il dolore, l’incomunicabilità, la sofferenza. Lo sguardo attento (e partecipe) su chi soffre non muta (anzi, forse si acutizza), però tutto è più asciugato, essenziale e, ad un tempo, più elaborato musicalmente. Le sue poesie, come ho scritto altrove, iniziano a trasformarsi in piccoli racconti in miniatura, autonomi, ma legati l’un l’altro in un originale impasto poetico, e ad avere quella “visione corale” dovuta a un ascolto più allargato e sottile, come se alla sua voce ora si affiancassero le voci (o i sussurri, le parole e le urla) di altre e numerose persone: i genitori, gli amici, i poeti amati, le persone incontrate casualmente per strada...
Inoltre qui la partecipazione al dolore si estende, si fa quasi ancestrale e universale: “urtano contro i pali/ gli uccelli/ distillati dalla notte/ si spezzano nel volo innaturale// cozzano contro le ossa/ sorde/ contro i battenti/ che non odono il sangue/ sgorgare nel buio”. Il punto finale lo ho aggiunto io, in realtà la poesia della de Oliveira è priva di punti e maiuscole (restano solo i punti interrogativi e, raramente, qualche virgola), come se una poesia entrasse nell’altra, in un discorso continuo e infinito.

A questo punto nel libro seguono altre due sezioni di testi provenienti dai libri pubblicati nel 2003: A chuva nos ruídos e Nel cuore della parola, dove si incontrano brevi testi che approfondisco quella tecnica del racconto in miniatura di cui parlavo sopra: “disse che Dona Cota aveva cominciato/ a parlare con i morti/ chiamava il padre, parlava con la madre/ disse che era così erano i morti/ che venivano a prendere i vivi/ quando si è già un passero/ che si prepara per il volo/ ma non si sa ancora/ se volerà”. Con un sviluppo poetico che tende alla prosa, al monologo interiore. Si vedano altri testi importanti come “La sistemazione”, “Il film”, “La musica” (“ho la musica dentro lei mi abita/ quando mi alzo lei già mi aspetta/ quando cammino lei mi cammina davanti...”), “Storie”, “Petali”, “L’orto” o “Estranea”: “gli disse all’improvviso/ che non voleva essere seppellita/ in quel posto/ che non era di lì/ che quella terra non avrebbe/ riconosciuto la terra/ da dove era venuta”.
I testi di quest’ultima sezione sono i più belli e significativi del libro e chiudono questa raccolta (che non contiene poesie degli ultimi lavori, come Verrà l’anno) molto utile a conoscere meglio e ad amare il mondo poetico di Vera Lúcia de Oliveira.

Il denso delle cose, pur essendo un’antologia, contiene dei fili invisibili, sottili ma molto resistenti, che cuciono assieme tutti i testi, tessono una poetica chiara, di forte autocoscienza poetica e critica (lo dimostra anche il denso saggio finale “Fra due geo-grafie” in cui l’autrice parla del proprio mondo poetico), che spesso manca nella poesia contemporanea. Non mi riferisco soltanto allo stile, al vocabolario, ma soprattutto allo sguardo che cambia con il tempo, certo, si sposta su cose (geografie) diverse, come è normale che accada, ma sempre in cerca delle stesse cose, quelle che da millenni stanno dentro il significato della vita, dentro l’uomo, in noi stessi, depositate nella memoria collettiva.
È così che “il denso delle cose” si trasforma nella densità dello sguardo (che coinvolge e sottintende anche l’udito) di Vera Lúcia de Oliveira. Uno sguardo attento e sensibile, cristianamente partecipe al dolore degli altri, che si riempie (e si lascia riempire) di dolore, ma anche di cose leggere e belle: voci, appunti, altri sguardi, suoni, sfumature, colori, parole colte al volo, frammenti di vita per poi ricreare tutto visivamente, dandogli la giusta importanza, l’esatta “densità”, appunto, in poesia elaborata con amore e bravura, in versi essenziali e dolci. Spesso però d’una dolcezza feroce, come a voler mordere (diminuire) il male.




VERA LÚCIA DE OLIVEIRA
è nata nel 1958, a Cândido Mota, Stato di São Paulo, in Brasile. La madre è figlia di immigrati italiani, il padre ha origini portoghesi. Nel 1983 si trasferisce in Italia, a Perugia, dove vive tutt’ora. È ricercatrice di Letteratura Portoghese e Brasiliana presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Lecce.
Scrive sia in portoghese che in italiano; tra i vari riconoscimenti il Premio di Poesia dell'Accademia Brasiliana di Lettere. È presente in antologie poetiche italiane e straniere. Ha pubblicato i saggi Poesia, mito e história no Modernismo brasileiro (2002), Storie nella storia: le parabole di Guimarães Rosa (2006), e curato antologie poetiche di Manuel Bandeira, Lêdo Ivo, Carlos Nejar e Nuno Júdice.


I suoi libri di poesia sono:

  • A porta range no fim do corredor (1983)
  • Geografia d’ombra (1989)
  • Pedaços / Pezzi (1992)
  • Tempo de doer / Tempo di soffrire (1998)
  • La guarigione (2000, Premio di Poesia Spiaggia di Velluto di Senigallia)
  • Uccelli convulsi (2001, Premio di Poesia Gino Perrone)
  • No coração da boca / Nel cuore della parola (2003)
  • A chuva nos ruídos (2004, Premio di Poesia dell’Accademia Brasiliana di lettere)
  • Verrà l'anno (2005, Fara Editore, Premio di Poesia Popoli in Cammino)
  • Entre as junturas dos ossos (2006, Premio di Poesia "Literatura para todos")
  • No coração da boca (2006, nuova versione brasiliana)
  • Il denso delle cose (2008, Besa, antologia)




POESIE DI VERA LÚCIA DE OLIVEIRA
da Il denso delle cose



PROFANO LE COSE

profano le cose per amore
creo spaccature
invento occhi e parole
dentro di me le cose non sopravvivono
si attaccano disperate al muro
e rudi
nel tempo
scarabocchiano forme
di lucidità

(da Geografie d’ombra, 1989)


A ROVESCIO

il mio dito víola cose
della città ulcerata
il caldo delle pareti
il sole stende pergolati verdi
nell’occhio di finestre alte

l’anima violentata è una perforatrice
seziona cose nel pomeriggio nudo
inventa la morbosità di spaccare sui muri
le parole

il sole illumina la via in silenzio
la casa lucida
dentro di me le cose scavate
             guardano la notte
             (a rovescio)
             e si annegano
             strette

(da Pedaços / Pezzi, 1992)


LE PAROLE TUTTE

da questo sguardo massiccio
nascono poesie
da questo modo torto

sguardo di grano maturo
gli odori della notte inzuppano la terra
di ombre
le mani cercano incavi
concimano punti
di esclamazione

le parole tutte che dirò
prima di morire

(da Tempo de doer / Tempo di soffrire, 1998)


IL DENSO DELLE COSE

salivo il pendio
le casupole bianche
il vento
che rizzava le pergole
il sole
     fondo
     feroce

il denso
delle cose
si incollava
alla mia anima scavava
i suoi solchi
si conficcava
come le pietre si ficcano
nell’osso molle della terra

(da Pássaros convulsos / Uccelli convulsi, 2001)


DI CASUPOLE

di casupole
era fatta l’infanzia
di pareti bianche
di cortili gonfi di uccelli

e un lento dolore
da qualche parte
che né madre né padre
sapevano di notte cullare

(da Pássaros convulsos / Uccelli convulsi, 2001)


LA SISTEMAZIONE

costruire una casa è come mettere ordine nel mondo
sistemo un mattone e lui resta dove lo metto
sono io che scelgo il mattone io che spiano il cemento
se si potesse anche che tutto io potessi sistemare
non restavo con questo nodo nell’anima no
sistemavo il mondo che Dio mi perdoni
persino meglio di lui

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


LA MUSICA

ho la musica dentro lei mi abita
quando mi alzo lei già mi aspetta
quando cammino lei mi cammina davanti
io sto sempre danzando nella mia carne
sto sempre sentendo un suono che la mia anima
sa che esiste malgrado la dissonanza
della mia vita

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


L’ORTO

l’orto era come l’utero della madre
se ne stava lì quieta nel cuore delle cose
tutto aveva un polmone e lei respirava
il vento entrava leggero
scuoteva appena gli alberi di mango
lei saliva sui rami guardava le foglioline
che si muovevano il cielo azzurro spiava
quel che lei stava facendo

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


SGOCCIOLIO

la pioggia batteva sulla finestra gelava
la casa, nella stanza la madre asciugava
le gocce metteva pentole dappertutto
la pioggia sembrava fare buchi
tanto batteva lentamente
nei nostri cuori

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


LE COSE

pensava che le cose dentro i libri
erano più vere che fuori
che le cose nei libri e le persone
erano al posto giusto e se stonavano
era solo per poi ritornare al posto
esatto in cui dovevano stare

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


IL CORPO

lavava il corpo di lui con l’anima in mano
sfiorava la carne fredda che tanto aveva amata e
odiata ora nulla più era rimasto se non
quella pena nei muscoli inerti
che tanto lei aveva visto vibrare e ansimare
di piacere e dolore

(da No coração da boca / Nel cuore della parola, 2003)


Vera Lúcia de Oliveira, Il denso delle cose (antologia poetica - Besa editrice, Nardò-Lecce, 2008, pagg. 118, euro 12,00)


alexbrando@libero.it




Vedi anche, sul n. 3
La poesia di Vera Lúcia de Oliveira
di Alessio Brandolini