Caro diario,
lui è arrivato puntuale come ogni pomeriggio e si è seduto sempre nel medesimo posto, il tavolino vicino alla vetrata che rimane un po’ appartato rispetto agli altri nel vivace via vai di clienti e di camerieri. La mia amica Chicca non capisce che cosa ci trovi di tanto interessante in lui: dal suo punto di vista non ha nulla che possa attirare l’attenzione di una ragazzina, a suo dire, carina come me. Arriva su un motorino mezzo scassato e rumorosissimo, dal tubo di scappamento esce sempre un fumo nero che non fa presagire nulla di buono sulla durata del mezzo, veste in modo piuttosto trasandato e senza badare agli abbinamenti di fantasie e di colori, ha un paio di occhiali dalle lenti rotonde con una grossa montatura nera. Eppure Mattia, questo è il suo nome, ho sentito il cameriere salutarlo, mi fa battere forte il cuore ogni volta in cui si siede e compie quel semplice gesto: apre lo zaino, vi fruga dentro e tira fuori un libro poi si mette a leggere, incurante del caldo o del freddo, del rumore o della musica.
Mi aveva subito colpita la sua capacità di estraniarsi completamente dalla confusione che lo circondava. Ed era un bene, perché se mi avesse sorpresa a osservarlo con tanta intensità, sarei morta di vergogna lì, all’istante.
Ogni giorno mi ripetevo che non l'avrei fatto più, che non sarei mai più tornata in quel piccolo bar di periferia e ogni giorno mi smentivo. Passavo davanti alla vetrina, lo vedevo e cedevo. Andavo a sistemarmi in modo tale da poterlo guardare e mi perdevo in contemplazione.
A volte invece, come oggi, osavo sedermi così vicina a lui che mi sarebbe bastato allungare una mano per sfiorarlo. Se accadeva che cambiasse posizione, senza staccare gli occhi dal libro, ero io a distogliere lo sguardo e mi sentivo avvampare, pregando che non si accorgesse mai di nulla.
Ma appena si isolava di nuovo nel suo mondo di carta, mi abbandonavo alla fantasia e mi vedevo allungare le dita incerte per compiere finalmente quel gesto che sognavo da tempo.
Chicca aveva perso ogni speranza con me e deciso di abbandonarmi al mio destino. Non gliene volevo per questo, sapevo che non poteva campirmi.
Ma oggi tutto cambierà, prenderò il coraggio a due mani e farò ciò che desidero da tempo.
“Hai mai provato così?” gli ho sussurrato, sporgendomi dalla sedia e spingendo sul tavolino il mio ereader fino a lui.
Mattia ha sollevato gli occhi, grandi come fanali dietro le lenti, e mi ha guardata stupito. “Scusa, dici a me?” ha borbottato, infilando un dito tra le pagine per non perdere il segno.
“Scusa, forse ti sembrerò sfacciata, ma non ho potuto fare a meno di notare quanto leggi e quanto peso ti porti dietro in quello zaino. Anche io leggo tanto, ma il mio mondo è tutto qui dentro, in pochi etti di peso.” ho risposto, battendo le dita sulla custodia variopinta del mio ereader.
Lui ha guardato me e poi il mio ereader, l’ha preso e soppesato, l’ha aperto e io gli ho mostrato quanti libri contenesse, suscitando un lieve fischio di apprezzamento da parte sua.
“Ammetto di averci pensato, ma non riesco a fare a meno del profumo della carta e dell’inchiostro…”
“Anche io lo pensavo, prima di provare, e non l’ho più lasciato. Centinaia di libri che mi stanno nella borsetta, che posso leggere in qualsiasi momento, la libertà di muovermi senza peso e senza ingombro…”
“Ma la batteria si può scaricare all’improvviso, come farei senza niente da leggere? Il mio libro di carta non mi tradirebbe mai così.”
Sentivo che la sua resistenza veniva meno, dovevo solo perseverare, convincerlo a fare il grande passo e a provare.
Diario mio, l’ho convinto, potrebbe dire Jane Eyre. Ora arriviamo tutti e due nel nostro bar preferito e apriamo i nostri ereader, scambiandoci commenti e impressioni, prendendo note che non lasciano macchie di inchiostro e senza fare orecchie alle pagine perché non troviamo più il segnalibro. E Chicca muta!
Tua Rebecca
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