FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 44
ottobre/dicembre 2016

Varchi & Barriere

 

I DESAPARECIDOS SONO TRA NOI
Appunti su Voci per il Messico e i suoi desaparecidos

di Antonio Nazzaro



Scrivere qualcosa di nuovo sui 43 studenti desaparecidos della Scuola Normale Rurale “Raúl Isidro Burgos” in Messico non è quasi possibile, a meno che si voglia mantenere l’illusione-speranza che un giorno si scopra la verità dopo che è stata sconfessata quella che viene chiamata la “verità storica” fornita dallo Stato.
Ma la mattanza di Ayotzinapa è il mostrarsi della realtà dell’America Latina dove prima la conquista e poi l’immigrazione hanno mantenuto come valore politico ed etico il sopruso riconoscendo l’esercito come strumento di sopraffazione e innalzandolo a uno degli attori politici con cui ogni forza di partito ed economica si deve confrontare.

Una decina di anni fa quando si cercò di processare il responsabile della strage de La Plaza de las Tres Culturas a Città del Messico, dove il 2 ottobre 1968 vennero massacrati centinaia di studenti, uno degli accusati del crimine affermò pubblicamente in un’intervista: “Dovete smetterla di rompermi con questa storia e prenderla come un monito per il futuro”.
L’altro elemento che fa capire come la prepotenza sia parte della quotidianità in questi territori ed è il cardine per la sua accettazione-sopportazione è la corruzione.
Nel mio vivere in Messico, dando lezioni d’italiano presso la Suprema Corte di Giustizia, a una domanda su come risolvere il problema della corruzione un giudice rispose: “il problema non è la corruzione dei politici o dei funzionari, il problema è che il potere è riuscito a corrompere il popolo. Ci vorrebbero 100 anni di una nuova cultura per uscirne”.
Quando tutti ci si ritrova a vivere quotidianamente la corruzione, per poter andare avanti il sopruso si fa normalità. “Perché siamo quelli di sotto, i conquistati, i derubati, Schiavi di quelli che oggi continuano ad usurpare ciò che fu dei nostri padri” ricorda il poeta Zapoteca Javier Castellanos.

Nella società contemporanea compare forse un elemento nuovo, se prima gli esclusi d’America erano fondamentalmente tutti quelli che non appartenevano alla razza bianca, tranne le poche eccezioni per ricchezza o per vantaggio politico, adesso anche quella parte della società bianca ridotta in povertà dalla crisi economica, per usare un termine gringo “spazzatura bianca”, è entrata a far parte della marginalità sociale. Nel Paese degli adesso /esiste un mondo sotterraneo/ popolato da subalterni, operai, /cholos che hanno solo dieci pesos / per andare e tornare a casa, recita l’incipit della poesia dello spagnolo Antonio Orihuela.

Irma Pineda del popolo Zapoteca (Messico) mostra in forma chiara come il sopruso sia quasi un elemento quotidiano: Mia madre ha decifrato per i miei occhi / il linguaggio delle stelle / Ha depositato nelle mie orecchie i canti della gente nube / Mi ha insegnato i segni del mio nome / A usare l’aglio nel cibo / A misurare il dolce e la cannella / a evitare il limone quando arriva il ciclo / a non temere lo scricchiolio del tetto di legno e tegole / quando la terra trema / Lei risolveva i dubbi / Ma non ho mai domandato a mia madre / come trascorre la vita/quando i soldati si portano via il marito / Come si affronta la quotidianità / con l’incertezza fra i piedi ad ogni passo / Con quali parole si spiega ai figli /cos’è “un desaparecido”.

Si continua a parlare dei diritti degli indigeni, ma lo si fa in tutte le lingue meno che in quelle dei popoli indigeni preispanici. Tutti si ergono a difensori delle culture dell’America Indigena, ma non è stata anche violenza togliere loro la lingua madre? Quella che era la loro prima identità, contraddistinguendo le origini e il senso di appartenenza a un popolo, dove il pragmatismo del: fuori dal territorio che vivete si parla la lingua del vostro paese, distrugge in un sol colpo identità culturale e sociale.
Se il poeta spagnolo Marc Delcan afferma: “In Messico, Chi scompare dice la verità”, questa affermazione in verità vale per tutta l’America che inizia con il Messico e finisce con la Patagonia. Non sono forse desaparecidos tutti gli emigranti del deserto? e tutti i morti nei viaggi su La Bestia? o le donne di Ciudad Juarez? o quelli delle tribù dell’Amazzonia o i Mapuche? i poveri di Petare e quelli della favelas?

Ed è questo un libro che deve trovare spazio negli scaffali perché non ci ricorda in verità i problemi di quello che viene chiamato terzo mondo, ma di quelli che ci circondano e non vediamo né ricordiamo.
Più di cento gli est-europei scomparsi in Italia durante la raccolta del pomodoro, 5222 immigrati minorenni scomparsi nel nostro paese solo durante il 2016. E la violenza è la stessa, la legge del sopruso non cambia, e i 43 di Ayotzinapa bussano alla nostra porta tutti i giorni e a volte libri come questo permettono di aprirla quella porta.

“Il suo sangue (…) generando la speranza con i germogli incorporei della libertà”. Chiude così la sua poesia, il poeta spagnolo David Fernández Rivera.


Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, a cura di Lucia Cupertino, Arcoris, Salerno, 2016, pagg. 216, euro 12.




POESIE DA 43 POETI PER AYOTZINAPA


Javier Castellanos
Zapoteco, Messico

GAXHA DXI’O

Da zan da dxaka zuadxo yexlayo…
Dazan da reedxo
Nika nezedxo gate llin yelashbe chjaxakadxo
Gate llin yelazi chjatiladxo
Kon dxozua chazedxo dilla dxekedxo
Yelazi nha yelabaneza,
da nhazen yelanabani.
Nho lhue dxozenhago xtilla nhi
E kan nhaka che yogodxo, xha:
E yogodxo ba goreja yichjadxo da de chedxo yeladxekeshije ze
E yogodxo ba bsa yelagobinha dxio, xha
E yogodxo shsakabeadxo dxokaanadxo da de chedxo, xha …
O che lla bene dxarje gatetie
Ni rateze ka shdxele dan nhe’ kebe bide kebe bi shllera
Dan nhe’ tabagee, en che lo nhee yoo bala bide,
Dan nhe’ geyachenhe da dxaka yelazi che bene,
Gakaxha gondxo, dxakalja kan, cheze…
E nezenho bishchen kate yelazi dxjatan dxi’o, nhakan to wexhilleyara,
To da kebe nombia yeladxeyache ljuelle, nhakan yela dxon da shnhan che,
Yela shkuide, yelawide, yelazeche, yelaxiwe, yelanaxee, yelaree, yelakose …
Kan dxaka a dxi’on xhonhe, dxi’on bnhitededxo da godue,
Nhakadxo ka da ba nada’o, gorara leake goledue da gota che xtaodxo.
Da nhan bezeke Ayotzinapa nha normal rural ka, gatenhiite bezekeake
Kan nhaka,
Da nhan benan bayen chee shize.
Gaxha dxi’o.


¿Y NOSOTROS?

La vida no es como la que hubiéramos querido…
Es más…
En un principio ni sospechamos de qué tamaño puede ser la felicidad
O de qué tamaño puede ser el dolor
Pero sabemos que en la ruta de la vida
Entre sortear el dolor y rozar la felicidad
En eso estriba el vivir.
Pero dime tú que me escuchas
¿Para todos esto es así?:
¿Todos hemos abandonado una querencia buscando otra mejor?
¿Todos hemos sacrificado nuestro saber buscando mejor sustento?
¿Todos hemos simulado felicidad para mitigar el dolor?
O…
¿Habrá quien nace, crece y muere
sin conocer lo que es buscar sin encontrar?
¿sin saber lo que es intento ya que todo está a la mano?
¿Sin sentir el dolor ajeno, porque el corazón se ha congelado?
Seguramente que de todo hay, pero…
¿Por qué a nosotros el dolor llega con insolencia, sadismo,
Impunidad, desprecio, sin justicia, desnudo, analfabeto, ciego, desnutrido…?
Porque somos los de abajo, los conquistados, los despojados,
Esclavos de quienes hoy siguen detentando lo que fue de nuestros padres.
Ayotzinapa y las Normales rurales, ellos hace mucho que perciben esto,
Era necesario que callaran.
¿Y nosotros?


E NOI?

La vita non è quella che avremmo voluto…
Dirò di più…
All’inizio neppure sospettavamo che mole può avere la felicità
O che mole può avere il dolore
Ma sappiamo che nel sentiero della vita
Tra l’estrarre a sorte il dolore e rasentare la felicità,
In questo consiste l’esistere.
Ma spiegami tu che mi stai ascoltando
Per tutti è lo stesso?:
Tutti abbiamo abbandonato un affetto alla ricerca di uno migliore?
Tutti abbiamo sacrificato il nostro sapere alla ricerca di una base migliore?
Tutti abbiamo simulato felicità per mitigare il dolore?
O…
Ci sarà chi nasce, cresce e muore
senza conoscere cosa vuol dire cercare senza trovare?
Senza sapere cosa vuol dire lo sforzo, visto che tutto è alla portata?
Senza sentire il dolore altrui, perché il cuore si è congelato?
Certamente esiste di tutto, ma…
Perché il dolore a noi giunge con insolenza, sadismo,
impunità, disprezzo, senza giustizia, nudo, analfabeta, cieco, denutrito…?
Perché siamo quelli di sotto(*), i conquistati, i derubati,
Schiavi di quelli che oggi continuano ad usurpare ciò che fu dei nostri padri.
Ayotzinapa e le Normali rurali, loro percepiscono questo da tempo,
Era necessario metterli a tacere.
E noi?

(*) Riferimento a una delle opere di maggior spessore della rivoluzione messicana, il romanzo di Mariano Azuela, Los de abajo, 1915, Fondo de Cultura Económica, Ciudad de México (trad. it. Quelli di sotto, 1945, Mondadori, Milano; NdT)



Antonio Orihuela
Spagna

EN EL PAÍS DE LOS AHORITAS

En el país de los ahoritas
hay un mundo subterráneo
poblado por subalternos, obreros,
cholos que solo tienen diez pesos
para ir y volver a casa.
Los ahoritas comen bajo tierra,
duermen bajo tierra,
escuchan música, leen bajo tierra,
se peinan, se pintan los labios,
se besan y tal vez hagan el amor bajo tierra.
Los ahoritas, para animarse,
antes de salir de debajo de tierra dicen:
¿Qué onda güey?
Muy padre, ándale.
Porque el mundo exterior
es un hervidero de puestos de comida
y plásticos azules y amarillos
donde los ahoritas cocinan tortas de maíz
con carne de cualquier cosa muerta
y limón,
y chile,
y una grasa que se puede cortar en el aire
y una contaminación que se puede cortar en el aire
y una pobreza que asoma solo por contraste con los ricos
que nunca bajaron hasta aquí.
Sin embargo, en el mundo subterráneo
no hay diferencias de clases,
allí todos son pobres,
por cada rico que sale en las revistas del corazón
hay cuatro millones de pobres
que solo saldrán en los periódicos
como cadáveres o chicas desnudas,
Guadalupe y mafias,
sexo y muerte,
chamba y chingadera,
esas son las únicas verdades
en las que creen los ahoritas,
y, sin embargo, es hermoso el país de los ahoritas.
Con todo, yo amo ese país.


NEL PAESE DEGLI ADESSO

Nel Paese degli adesso
esiste un mondo sotterraneo
popolato da subalterni, operai,
cholos(*) che hanno solo dieci pesos
per andare e tornare a casa.
Gli adesso mangiano sottoterra,
dormono sottoterra,
ascoltano musica, leggono sottoterra,
si pettinano, si truccano,
si baciano e forse fanno anche l’amore sottoterra.
Gli adesso, per farsi coraggio,
prima di sbucare dal sottosuolo dicono:
Come butta, bello?
Una bomba, dai.
Perché il mondo esterno
è un ribollire di bancarelle con cibo
e cose di plastica azzurra e gialla
in cui gli adesso cucinano frittelle di mais
con carne di qualsiasi cosa morta
e limone,
e peperoncino,
e del grasso che si può fendere l’aria
e un inquinamento che si può fendere l’aria
e una povertà che affiora solo per contrasto coi ricchi
che non sono mai scesi fin qui.
Tuttavia, nel mondo sotterraneo
non ci sono differenze di classe,
lì tutti sono poveri,
per ogni ricco che appare sulle riviste di gossip
ci sono quattro milioni di poveri
che solo usciranno sui giornali
come cadaveri o donne nude,
Guadalupe e mafie,
sesso e morte,
lo sgobbare e la fottutaggine,
quelle sono le uniche verità
in cui credono gli adesso,
eppure, quant’è bello il Paese degli adesso!
Nonostante tutto, io amo questo Paese.

(*) Termine dispregiativo con il quale in molti Paesi dell’America latina ci si riferisce alla popolazione che ha tratti indigeni e bianchi fusi. Spesso vive segregata nei quartieri latinoamericani e messicani più poveri (NdT).


* * *


IRMA PINEDA SANTIAGO
Zapoteca, Messico

CÁNDIDA

Jñaa bichiá neza lua’
ni rini’ ca beleguí ca
Gudaa ndaani’ diaga riuunda binnizá
Biluí’ naa ca lana ni ricá lu la’ya’
bisiidi naa guiquiiñe’ aju lu guendaró
cuaa bia’ya’ ni nanaxhi ne canela
qui gahua ni naí’ pa ca cayete ndaane’
qui guidxibe’ pa xidxilaa ique yoo dexa
ra gaca xu
Laabe rului’be naa ni qui ganna’
Xisi qui ñuu dxi ninabadiidxa’ jñaa
xi naca guendanabani
ora dxuguiiba’ chiné xheelalu’
Xi naca gudxiilulu’ ca dxi ca
ne xizaa nandaca ñeelu’ ra canazou’
Xi ne diidxa’ gabilu’ ca xhiiñilu’
xiinga “binni que guidxela”
Xi ne xigaba’ riuu bia’ ni que guinni
ca dxi nacahui ca
guira’ gui’chi’ ni nucabicabe
Xi ganda guzeeteneu’ guirá la
ca guidxi ni guzalu’ cuyubilu’ ti lu
guirá ca binniguenda guni’neu’ ti gului’ca lii
paraa guidxela binni ni zinecabe laa


CÁNDIDA

Mi madre descifró para mis ojos
el lenguaje de las estrellas
Depositó en mis oídos los cantos de la gente nube
Me enseñó los signos de mi nombre
A usar el ajo en la comida
a medir el dulce y la canela
a evitar el limón cuando viene la regla
a no temer el crujido del techo de madera y teja
cuando la tierra tiembla
Ella resolvía las dudas
Pero nunca le pregunté a mi madre
cómo trascurre la vida
cuando los soldados se llevan al marido
Cómo se enfrenta lo cotidiano
con la incertidumbre tras los pies a cada paso
Con qué palabras se explica a los hijos
qué es “un desaparecido”
Con qué unidad se mide la ausencia
los días oscuros
los oficios sin respuesta
Cómo nombrar de un solo golpe
las ciudades recorridas buscando un rostro
los espíritus consultados para tener indicios
de dónde encontrar a un desaparecido.


CANDIDA

Mia madre ha decifrato per i miei occhi
il linguaggio delle stelle
Ha depositato nelle mie orecchie i canti della gente nube(*)
Mi ha insegnato i segni del mio nome
A usare l’aglio nel cibo
A misurare il dolce e la cannella
a evitare il limone quando arriva il ciclo
a non temere lo scricchiolio del tetto di legno e tegole
quando la terra trema
Lei risolveva i dubbi
Ma non ho mai domandato a mia madre
come trascorre la vita
quando i soldati si portano via il marito
Come si affronta la quotidianità
con l’incertezza fra i piedi ad ogni passo
Con quali parole si spiega ai figli
cos’è “un desaparecido
Con quale unità si misura l’assenza
i giorni bui i comunicati senza risposta
Come dare nome così di colpo
alle città percorse alla ricerca d’un volto
agli spiriti consultati per avere indizi
su dove trovare un desaparecido.

(*) Nome con il quale si autodenomina il gruppo indigeno zapoteco (NdT).



David Fernández Rivera
Spagna

MÁRTIRES DEL PROGRESO

A uno de los muchos tallos que navegan
bajo el pavimento reaccionario de la esclavitud.

“La alienación pacífica es
el cómplice perfecto de la brutalidad”

David Fernández Rivera

Los címbalos del gatillo bucean en las llagas obstruidas al drenaje que proyecta cómo la lima del fusil trocea los nudillos entorchados al timbre gravado en el hollín orbicular de los pulmones.
En ellos, un mechón rematado en el clavijero premolar sostiene el recuerdo de los buques fondeados al contraluz intermitente de la dársena.

***

Hace unos días, mientras la savia sembraba ocarinas en las llantas de cubierta, los disturbios condenarían al tejido que refuerza la bombona afilada tras la factoría yugular del firmamento.
Las perchas del edén, tensan las redes con el entrecejo rutinario y pegajoso del timón.
En él, la alienación recluta un tumulto de manos que busca traspasar el troquel de la moneda con los grilletes que circundan su constancia en los galones sin pestañas del comedor.
En los manillares de la tapia se anula la identidad ignorada por la colmena que alimenta en su indolencia los indicios arquitectónicos del asesino.
Sus celdas de nylon alquilaron una boya en la fundición “educativa”. Allí, el director reconstruye un imperativo encarnado al herraje uniformado de la cadena. El mandato asegura la vieja maquinaria en la espoleta de una granada suspendida en el coágulo inocente de la lluvia.
Son los cartuchos descartados en el progreso de la gran ciudad.
Su detonante racional apuñala los navíos ajusticiados tras la verja. El agua amplifica el estruendo de las quillas desmembradas hacia el horizonte amputado del mástil. Esta es la imposición inflamada en el sedimento reduccionista del “porvenir”.
En los pañoles dormía un excedente de flores libres.

***

Lucro a estribor. El torno excarcela el aliento en las palmas que sostienen el estertor escayolado del liberto. Es ahora cuando sus puños se reconocen en la multitud que encabeza bajo las estelas marinas, una procesión de crucifijos que confina la cremallera de la playa hacia el chasis forrado en los andamios ennegrecidos de la urbe.

***

Su sangre destapa las hebras en el telón hermético de la multitud, engendrando la esperanza con los brotes incorpóreos de la libertad.


MARTIRI DEL PROGRESSO

A uno dei molti steli che navigano
sotto il lastrico reazionario della schiavitù.

“L’alienazione pacifica è
il complice perfetto della brutalità”

David Fernández Rivera

I cimbali del grilletto fanno immersioni nelle pieghe ostruite al drenaggio che proietta, come la lima del fucile spezzetta le nocche attorcigliate al campanello gravato nella fuliggine orbicolare dei polmoni.
In essi, una ciocca terminante nella paletta premolare sostiene il ricordo dei vascelli fusi nel controluce interminabile della darsena.

***

Qualche giorno fa, mentre la linfa seminava ocarine nei cerchioni del copertone, i sommovimenti avrebbero condannato il tessuto che rafforza la bombola affilata dietro lo stabilimento giugulare del firmamento.
Le grucce dell’Eden tendono le reti nel routinario e appiccicoso spazio tra le ciglia del timone.
In esso, l’alienazione recluta un tumulto di mani che cerca di trapassare il conio della monete coi ferri che circondano la sua costanza nei galloni senza ciglia della sala da pranzo.
Nei manubri del muro di cinta si annulla l’identità ignorata dall’arnia che alimenta nella sua indolenza gli indizi architettonici dell’assassino.
Le loro cellette di nylon affittarono una boa nella fusione “educativa”. Lì, il direttore ricostruisce un imperativo incarnato alla giuntura uniformata della catena. L’ordine assicura il vecchio macchinario alla spoletta di una melagrana sospesa nel coagulo innocente della pioggia.
Sono le cartucce scartate dal progresso della grande città.
Il suo detonante razionale pugnala i vascelli giustiziati dietro l’inferriata. L’acqua amplifica il fragore delle chiglie smembrate verso l’orizzonte amputato dell’albero maestro. Questa è l’imposizione infiammata nel sedimento riduzionista per l’“avvenire”.
Nelle stive dormiva un eccedente di fiori liberi.

***

Lucro a tribordo. L’argano scarcera l’alito nelle palme che sostengono lo stertore ingessato del liberto. È allora che i suoi pugni si riconoscono nella moltitudine che dirige sotto le stelle marine, una processione di crocifissi che confina la cremagliera della spiaggia verso il telaio rivestito nelle impalcature annerite dell’urbe.

***

Il suo sangue stappa le gugliate del sipario ermetico della moltitudine, generando la speranza con i germogli incorporei della libertà.


* * *


David Huerta
Messico

AYOTZINAPA

Mordemos la sombra
Y en la sombra
Aparecen los muertos
Como luces y frutos
Como vasos de sangre
Como piedras de abismo
Como ramas y frondas
De dulces vísceras
Los muertos tienen manos
Empapadas de angustia
Y gestos inclinados
En el sudario del viento
Los muertos llevan consigo
Un dolor insaciable
Esto es el país de las fosas
Señoras y señores
Este es el país de los aullidos
Este es el país de los niños en llamas
Este es el país de las mujeres martirizadas
Este es el país que ayer apenas existía
Y ahora no se sabe dónde quedó
Estamos perdidos entre bocanadas
De azufre maldito
Y fogatas arrasadoras
Estamos con los ojos abiertos
Y los ojos los tenemos llenos
De cristales punzantes
Estamos tratando de dar
Nuestras manos de vivos
A los muertos y a los desaparecidos
Pero se alejan y nos abandonan
Con un gesto de infinita lejanía
El pan se quema
Los rostros se queman arrancados
De la vida y no hay manos
Ni hay rostros
Ni hay país
Solamente hay una vibración
Tupida de lágrimas
Un largo grito
Donde nos hemos confundido
Los vivos y los muertos
Quien esto lea debe saber
Que fue lanzado al mar de humo
De las ciudades
Como una señal del espíritu roto
Quien esto lea debe saber también
Que a pesar de todo
Los muertos no se han ido
Ni los han hecho desaparecer
Que la magia de los muertos
Está en el amanecer y en la cuchara
En el pie y en los maizales
En los dibujos y en el río
Demos a esta magia
La plata templada
De la brisa
Entreguemos a los muertos
A nuestros muertos jóvenes
El pan del cielo
La espiga de las aguas
El esplendor de toda tristeza
La blancura de nuestra condena
El olvido del mundo
Y la memoria quebrantada
De todos los vivos
Ahora mejor callarse
Hermanos
Y abrir las manos y la mente
Para poder recoger del suelo maldito
Los corazones despedazados
De todos los que son
Y de todos
Los que han sido

2 de noviembre de 2014. Oaxaca


AYOTZINAPA

Mordiamo l’ombra
E nell’ombra
Appaiono i morti
Come luci e frutti
Come coppe di sangue
Come pietre di abisso
Come rami e fronde
Di dolci viscere
I morti hanno mani
Impregnate di angoscia
E inclinati gesti
Nel sudario del vento
I morti si portano appresso
Un dolore insaziabile
Questo è il Paese delle fosse
Signori e signore
Questo è il Paese dei guaiti
Questo è il Paese dei bambini in fiamme
Questo è il Paese delle donne martirizzate
Questo è il Paese che ieri esisteva appena
E adesso non si sa dove sia
Restiamo persi tra boccate
Di maledetto zolfo
E falò che radono il suolo
Restiamo con gli occhi aperti
E gli occhi li abbiamo pieni
Di vetri aguzzi
Restiamo a cercare di dare
Le nostre mani di vivi
Ai morti e ai desaparecidos
Ma si allontanano e ci abbandonano
Con un gesto di infinita lontananza
Il pane si carbonizza
I volti si carbonizzano strappati
Alla vita e non ci sono mani
Né facce
Né un Paese
C’è solamente una vibrazione
Fitta di lacrime
Un prolungato grido
In cui ci siamo mescolati
I vivi e i morti
Chi leggerà questo deve sapere
Che fu gettato al mare di fumo
Delle città
Come indizio di uno spirito rotto
Chi leggerà questo deve sapere anche
Che nonostante tutto
I morti non se ne sono andati
Né li hanno fatti sparire
Che la magia dei morti
Giace nell’alba e nel cucchiaio
Nel piede e nei campi di mais
Nei disegni e nel fiume
Diamo a questa magia
L’argento temprato
Della brezza
Consegniamo ai morti
Ai nostri giovani morti
Il pane del cielo
La spiga delle acque
Lo splendore della totale tristezza
Il candore della nostra condanna
L’oblio del mondo
E la memoria spezzata
Di tutti i vivi
Adesso meglio star zitti
Fratelli
E aprire le mani e la mente
Per poter raccogliere dal maledetto suolo
I cuori fatti a pezzi
Di tutti quelli che ci sono
E di tutti
Quelli che ci sono stati

2 novembre 2014. Oaxaca



Eduviges Villegas Pastrana
Mixteca, Messico

ENCUMBRE OLVIDO

Me abruma el ruido
me inquieta el caos
me alarma la causa,
me desnuda el desequilibrio
Marcados mis pasos
camino con espera,
me amanece el invierno,
y no sé si sea eterno.
Me amaneció nevando
43 días seguidos
como en Ayotzinapa
con 43 desaparecidos.
Paradójico el tiempo
inaceptable suceso
marcan mis horas
y no sé si lo merezco.
Me calma el aliento
me aflige el recuerdo
me nostalgia la vida
me encumbra el olvido.


INNALZA L’OBLIO

Mi opprime il rumore
mi inquieta il caos
mi allarma la causa,
mi spoglia lo squilibrio
I passi segnati
cammino paziente,
spunta in me l’inverno,
e non so se sia eterno.
È spuntato in me nevicando
per 43 giorni di fila
come ad Ayotzinapa
coi 43 desaparecidos.
Paradossale il tempo
inaccettabile accadimento
segnano le mie ore
e non so se me lo merito.
Mi placa il fiato
mi affligge il ricordo
mi dà nostalgia la vita
mi innalza l’oblio.



* * *


Briceida Cuevas Cob
Maya, Messico

WINAL XUUL

I

U kibil a pa’ataj te’ ja’aba’ tu jáaba ikil ma’ a wóojel
(u jaajil ba’ax ku yúuchli’.
U’ul a úuchben láak’o’ob kiimeno’obe’ mina’anech ta wotoch.
Bija’anech a kaxant kuxa’ano’ob ichil kimeeno’ob.
(Jóok’ u kaxantecho’obe ka tu yilajecho’ob a kuchmaj u mayakil a t’akunaj
a tíichmachmaj u yoochel u yich táankekelem páalalo’ob yaabiltano’ob).
Ti’ le k’iin je’elo’ Tak u pixan kimeeno’ob ku láak’intik le molay ku k’áatóoltik yéetel k’úuxil
ka anak toj k’abil ti’ ba’ax ucha’an.
Ma’ bin tun xi’iko’ob wa ma’ táan u kaxantiko’ob kuxa’anil le
táankelmo’obo’.

II

Ti’ u k’iinil le janal pixana’,
u páambil joolil píibe’
ku k’a’asiktech
ti’ u kaanti’its’
tu’uk’il yóok’ol kaab ku taal kíimil.
Ba’ale’ u book le taal ta wiknalo’ ti’ mix jun tseel ti’ le je’elo’ob u taala’.
Tu múukbesaj u beel.

III

Yaan u súutukil ti’ k’iin ka k’áatchi’itikaba’
“Wa biix ku taal le tu jich’ukaalo’obo’
báan k’iin ken taalak u pixan le kuxa’an tóokabilo’obo’?
Ka jáan súut ta tuukule’ ka wa’alik ma’ kiimeno’obi’.
Ka ch’áik a beele’ ka bin a kaxant ti’ táax lu’umo’ob, yok ja’ob,
ak’alo’ob, witso’ob, ta’akunaj muknalo’ob
yéetel u chan juul sáasil ku jóont’aaba’ yéetel u muuk’ u t’aan a wéet kaabilo’ob:
“kux’ano’ob ka bisa’abo’ob, Kuxano’ob k k’áat ka suunako’ob”

IV

U le’ xpujuke’ ma’ táan u ts’akik yaj
tumen jach taam yanil u motos loob.
Ba’ale ts’o’ok u máan maanal ti’ ox tu ox k’al k’iin.
Le k’iin ku t’úubulo’ ku bin u páamik péek óol tu jéek’ab muknalil a puksi’ik’al.
Ka payalchi’.
Yáakili’ a muk’yajtik u tuus jma’su’utal noj ja’alach yéetel u
ts’a’aypacho’ob
ta t’okik u wáalal u nook’ xpujuk
Ta k’atchi’itik ti’junjunwáal u tikin nook’:
“kux’ano’ob wáaj…, kimeeno’ob wáaj…”.
Ikil mina’an u núukil a káatchi’e tu bin u báanal u le’ a pixan.


MES XUUL (OCTUBRE 24 A NOVIEMBRE 12)

I

Esta vez la vela de tu espera se consume ante la incertidumbre.
Esta vez tus antiguos difuntos llegaron y no estabas en casa.
Fuiste en busca de los vivos entre los muertos.
(Salieron a buscarte y te hallaron con tu altar ambulante
enarbolando rostros repetidos de jóvenes amados).
Desde entonces
a la marcha por la justicia y el repudio
se han unido las almas de los otros muertos.
Y no se irán hasta que los encuentren vivos.

II

En este mes de convivencia con los muertos,
el horno de tierra para cocer los tamalones
te recuerda
que la muerte llega
por los cuatro puntos cardinales.
Pero el olor de la muerte que te circunda no proviene de estos lados.
Ha borrado su huella.

III

Te preguntas por ratos:
“Si a la octava del día de muertos vienen los que se ahorcaron,
¿cuándo vendrán los vivos calcinados?”
Te niegas a esta idea
Y emprendes la búsqueda
en valles, ríos, charcos, montañas, fosas clandestinas
con una pequeña luz que se ha multiplicado por las voces de otros:
“Vivos se los llevaron,
vivos los queremos”

IV

Las hojas de la flor de muerto no bastan para curar la herida
cuando es profunda la raíz del dolor.
Lo sabes porque han transcurrido más de 43 días.
Y cada día que pasa escarba una palada de angustia en la fosa abierta de tu corazón.
Rezas.
Mientras soportas las burlas del poder
deshojas la flor de muerto.
Interrogas a cada pétalo marchito:
“¿viven…?” “¿no viven…?”.
Y a cada pregunta sin respuesta se deshoja tu alma.


MESE XUUL (DAL 24 OTTOBRE AL 12 NOVEMBRE)

I

Questa volta il lumino dell’attesa si consuma dinnanzi al dubbio.
Questa volta i tuoi antichi defunti sono giunti e non c’eri in casa.
Eri alla ricerca dei vivi tra i morti.
(Vennero a cercarti e ti trovarono col tuo altare ambulante
ad issare volti reiterati di giovani amati).
Da allora
alla marcia per la giustizia e il ripudio
si sono unite le anime degli altri morti.
E non se ne andranno fino a quando non li troveranno vivi.

II

In questo mese di convivenza coi morti,
il forno in terra cruda per cuocere grandi tamales(*)
ti ricorda
che la morte giunge
dai quattro punti cardinali.
Ma l’odore della morte che ti circonda non viene da quelle parti.
Ha cancellato la sua traccia.

III

A lungo ti domandi:
“Se all’ottava del giorno dei morti tornano gli impiccati,
quando verranno i vivi incinerati?”
Neghi a te stessa quest’idea
E intraprendi la ricerca
in valli, fiumi, guazzi, montagne, fosse clandestine
con una piccola luce che si è moltiplicata attraverso le voci d’altri:
“Vivi li hanno portati via,
vivi li rivogliamo”

IV

Le foglie del fior di morto(**) non bastano a curare la ferita
quando profonda è la radice del dolore.
Lo sai perché sono trascorsi più di 43 giorni.
E ogni giorno che passa scava una palata di angoscia nella fossa aperta del tuo cuore.
Preghi.
Mentre sopporti le burle del potere
sfogli il fior di morto;
Interroghi ogni petalo marcito:
Vivono…? Non vivono…?
E a ogni domanda senza risposta si sfoglia la tua anima.

(*) Piatto tipico amerindio costituito da massa di mais ripiena di carne e verdure, che viene avvolta in foglie di banana, mais e simili per poi essere cotta (NdT).
(**) Il fiore che si porge ai defunti durante la Festa dei Morti (nome scientifico: Tagetes erecta, anche detto in nahuatl Cempohualxochitl, Venti fiori). In diverse zone del Messico la pianta è inoltre usata come rimedio medicinale in varie situazioni di malessere, includendo alcune considerate culturali, come paura e spavento (NdT).



Foto manifestazioni 2015 di Ana Matias Rendón.


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