FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 40
ottobre/dicembre 2015

Forza & Debolezza

 

SOMBRAS DE LUZ FILTRADA
OMBRE DI LUCE FILTRATA

di Zingonia Zingone



Zingonia Zingone – cresciuta tra Costa Rica e Italia – scrive i suoi testi in spagnolo. Quando occorre, come in questo caso, si autotraduce all’italiano. (NdR)


Ved, en sus negros triunfos una blanca victoria
Vedete, nei suoi neri trionfi una bianca vittoria
Azarías H. Pallais

1.

Ella no sabía. Todo es fractura. Al nacer, la semilla rompe la tierra, el árbol corta el aire. Tenía siete años cuando la hiel se apoderó del tronco. Tiró frutos envenenados. No sabía que de la muerte nace la vida. Comía el pan sagrado, desconocía el rostro del enemigo. Los niños son ángeles. Y los ángeles que caen, hiriéndose agrietan. El muro ciego coqueteaba con la niña pero cuando Judas mordió el anzuelo, ella supo. Sin grietas no filtra la luz. Imposible ver a los espectros: sombras de luz filtrada.


1.

Lei non sapeva che ogni cosa è frattura. Nascendo, il seme spacca la terra, l’albero taglia l’aria. Aveva sette anni quando il fiele s’impossessò del tronco. Cacciò fuori dei frutti avvelenati. Non sapeva che dalla morte nasce la vita. Mangiava il pane sacro; ignorava il volto del nemico. I bambini sono angeli. E gli angeli che cadono nel ferirsi incrinano. Il muro cieco corteggiava la bambina ma quando Giuda abboccò all’amo, lei capì. Senza crepe non filtra la luce. È impossibile vedere gli spettri, ombre di luce filtrata.


2.

Busca una palabra que defina su origen. Aquel tiempo de oro, polvo fugado entre dedos de olvido. Su memoria es un arcoíris acrisolado. Soplan vientos de un desierto ajeno, y ella escribe y describe el vacío. Un pez alado raya el espacio solitario, la hoja blanca. Surca las aguas del oasis. Su índice toca el nombre que borra e ilumina. Disgregándose, ella reluce. Tal estaba escrito en el rocío del agua bautismal.


2.

Cerca una parola per definire la sua origine. Quel tempo d’oro, polvere fuggita tra le dita dell’oblio. La sua memoria è un’iride purificata. Soffiano venti da un deserto ignoto e lei scrive e descrive il vuoto. Un pesce alato riga lo spazio solitario, il foglio bianco. Solca le acque dell’oasi. Il suo indice tocca il nome che cancella e illumina. Disgregandosi, lei risplende. Così era scritto nelle gocce di acqua battesimale.


3.

Escribe para exorcizar una presencia: la efigie del santo. Insistente. Encarnado. Es un ejercicio estéril por el deleite que es pensarlo; colocarlo en el centro. Es un autoengaño. Una hipocresía. Un microscopio compuesto que hace de aquella transparencia una célula vital.


3.

Scrive per esorcizzare una presenza: l’effige del santo. Insistente. Incarnato. Ma è un esercizio sterile, tanta è la delizia nel pensarlo, metterlo al centro. È un autoinganno. Un’ipocrisia. Un microscopio composto che muta quella trasparenza in cellula vitale.


4.

Sacude el cuerpo y concentra su atención en dos pupilas pardas; ojos cascada de arrebatos. Ella se sabe translúcida, atravesada por una corriente que obliga su vista a una abertura que destila –chispa tras chispa– la verdad. Es ilícito nombrarlo, así, con liviandad. Pero ella, cada día más abierta y rebosante, siente que puede. Desde su clandestinidad, no es herejía. En el fuego pardo que todo enciende y reverdece.


4.

Scuote il corpo e concentra l’attenzione su due pupille brune, occhi cascata di tremori. Lei si sa traslucida, attraversata da una corrente che obbliga la sua vista a un’apertura da cui filtra lampo dopo lampo la verità. Non è lecito dargli un nome, così, con leggerezza. Ma lei, ogni giorno più aperta e traboccante, sente che può. Dalla sua clandestinità, non è eresia. Nel fuoco bruno che accende e rinverdisce tutte le cose.


5.

El tiempo, dicen, es oro. Él lo derrocha moviendo sus piezas. Detrás del tablero, los lobos lo acechan. Coloca peones, caballos y alfiles; su reina encerrada en la torre del silencio, forjada por delirios de astucia. Desfilan capitales uniformados, llenando las arcas del orgullo. Jaque mate: él levanta el tablero, y hunde el guiño de su prepotencia en las entrañas de los corderos. La reina sofocada por el alarde, ofrece su tobillo a la serpiente que la libera.


5.

Il tempo, dicono, è oro. Lui lo sperpera muovendo i pezzi del gioco. Dietro alla scacchiera i lupi appostati lo spiano. Posiziona pedoni, cavalli e alfieri; la sua regina rinchiusa nella torre del silenzio, forgiata dai deliri dell’astuzia. Sfilano in divisa i danari, riempiono le arche dell’orgoglio. Scacco matto: lui alza la tavola e affonda la smorfia della sua prepotenza nelle viscere degli agnelli. La regina soffocata dallo sfarzo porge la caviglia al serpente che la libera.


6.

Desde el claustro de la cárcel se levanta un alarido de sangre. En una celda con vista al oriente, encorvado, el cuervo despluma su pasado. Ella llega con pan tibio y un verso atrapado en el pico de su mente. Como san Pedro, el carcelero agita trozos de metal entre los dedos. Nueve pasos separan de su puerta las rejas del fuego. Ella abre el libro. La llave gira en la cerradura. Desnudo el hombre abraza a su soledad. Se estremece. De su puño huye un verso: tan lleno de amor que reviento las jaulas del odio. El carcelero escupe en el suelo. El firmamento pregona la obra de sus manos.


6.

Dal chiostro del carcere si alza un urlo di sangue. In una cella con vista a oriente, curvo il corvo spiuma il suo passato. Lei arriva con il pane tiepido e un verso trattenuto nel becco della sua mente. Come San Pietro, il carceriere agita dei pezzi di metallo tra le dita. Nove passi separano dalla sua porta le inferriate del fuoco. Lei apre il libro. La chiave gira nella serratura. Nudo l’uomo abbraccia la sua solitudine. Rabbrividisce. Dal suo pugno scappa un verso: così colmo di amore abbatto le gabbie dell’odio. Il carceriere sputa in terra. Il firmamento annuncia l’opera delle sue mani.


7.

Asomada a la ventana observa el manzano, las hojas sacudidas por el viento. Su lamento. –¿Por qué gimes? ¿Qué duele en tu presagio?–, la mirada fija en el fulgor del valle. Las manzanas. El hambre. –¡Quémate la mano!– una voz la hostiga. –¡No puedo! El viento… sufre…–, y en una sábana de terror se balancea entre luz y llanto. Caín hace de su mano el lamento de las brasas. Las manzanas agonizan. Su pelo en la brisa, los troncos desecados. Zopilotes desmenuzando carroñas. En medio del campo un muñeco abandonado –¡Ezequiel, te llamarás Ezequiel!–. En brazos del aire, él cultiva el soplo. Vuelven al hueso los nervios, la carne y la piel. Ella cosecha el espíritu en el silencio de su alcoba.


7.

Affacciata alla finestra osserva il melo, le foglie scosse dal vento. Il suo lamento. – Perché gemi? Quale dolore nei tuoi presagi? –, lo sguardo fisso nel fulgore della valle. Le mele. La fame. – Bruciati la mano! – una voce la tormenta. – Non posso! Il vento… soffre…– e in un lenzuolo di terrore si dondola tra luce e pianto. Caino fa della sua mano il lamento delle braci. Le mele agonizzano. I capelli nella brezza, i tronchi secchi. Gli avvoltoi smembrano le carogne. In mezzo ai campi un pupazzo abbandonato – Ezechiele, ti chiamerai Ezechiele! –. Tra le braccia dell’aria lui coltiva il soffio. Tornano sulle ossa i nervi, la carne e la pelle. Nel silenzio della sua alcova lei miete lo spirito.



La silloge è inedita.



(Foto di Sally Prissert)


zingonia@gmail.com