FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 34
aprile/giugno 2014

Lavoro

 

SIGURÐUR PÁLSSON
È accogliente, la mia casa

di Alessio Brandolini



Ogni poesia è un viaggio per una destinazione ignota e la casa non può essere un rifugio ma un luogo per una breve sosta con gli amici, non deve avere muri né finestre, così nella poesia “La mia casa” che dà l’avvio all’antologia dell’islandese Sigurður Pálsson, per la prima volta proposto in Italia in volume.
Si conosce molto della narrativa del Nord Europa, anche dell’Islanda, grazie al lavoro di editori (si pensi a Iperborea) che hanno setacciato quelle terre. Meno della poesia, non di livello inferiore, ma che qui da noi attrae poco il lettore, ed è un peccato. Lo si comprende leggendo È accogliente, la mia casa pubblicato dall’editore Mobydick per la cura di Silvia Cosimini che di Pálsson si era già occupata, traducendo alcune poesie per riviste.

Un’antologia compilata con testi selezionati da quindici libri, che vanno dal 1975 al 2012, può sorprendere se si predilige la compattezza di un discorso in versi, la sua struttura mirata a cogliere i contrassegni di un determinato momento artistico. Può risultare slegata nel leggere alcuni testi di un libro – magari tra quelli dell’inizio della carriera dell’autore, così innovativi con la tradizione islandese – che andrebbe letto e analizzato nella sua unità. La selezione doveva essere più ampia? In tal caso, considerando la presenza del testo originale a fronte, quello proposto ai lettori italiani sarebbe stato un volume troppo ponderoso. Allora va bene così, entriamo nella poesia di Sigurður Pálsson e ci rendiamo conto che il flusso poetico proposto avanza bene, la curatrice del libro è stata abile ad afferrare i molteplici fili conduttori della vasta opera dell’islandese per farci conoscere il suo originale mondo artistico. Utile, in tal senso, la mancanza dello “stacco” che normalmente divide le sezioni in base ai testi selezionati dai vari libri (informazione comunque evidenziata alla fine, nell’Indice). Si è così dato vita a un percorso in ordine cronologico che mette in risalto sia i cambi operati dall’autore nello stile nel corso degli anni che le costanti: l’ironia; la limpidezza; gli scatti di umore, di giocosità; la natura con le sue “distese di ghiaccio alla deriva”; la fuga in avanti e, per tornare da dove siamo partiti, il viaggio.

Una casa senza pareti può essere accogliente? sì, se è il mondo a essere la casa, il luogo in cui si esplora e ci s’incammina. Difficile trovare testi statici in questa raccolta, tutto è in continuo movimento: le barche, le persone che si spostano sui treni, la stessa Islanda sembra una zattera con dentro un’isola e sull’isola c’è l’essenza dell’uomo contemporaneo. Si entra nel libro di Pálsson e lo si esplora con passione, ci si accorge di trovarsi a volte in spazi rischiosi ma aperti e fitti di percorsi, con slittamenti che innescano metafore e rapide modifiche del senso. Lo sguardo è mobile, partecipe della natura, della vita umana e schiude passaggi che conducono a “prati tenaci” che possono “raschiare via / I simboli della morte / I simboli della ricchezza / I simboli del potere”. Un’azione di stacco dal superfluo, da ciò che ingombra o blocca. In una poesia che s’intitola “Niente” l’autore afferma di amare questa parola “che ricorda il momento / prima dell’alba”.



Torniamo in Islanda, che significa “terra dei ghiacci” ma è un’isola vulcanica tra le più attive al mondo, così presente nel libro: come non esserlo in un poeta nato in un’isola di ghiaccio e fuoco, di cascate e laghi, una terra caratterizzata da estese fratturazioni del suolo. L’insularità sprona al viaggio? Sì, ma nel senso dell’abbattimento dei confini, dell’esplorazione della propria terra e origini, dell’Europa, della ricerca di un’“orgogliosa armonia”. Così gli studi dell’autore in Francia, i viaggi in giro per il mondo, i molteplici interessi. Ho conosciuto Sigurður Pálsson in Nicaragua al festival di poesia di Granada nel febbraio 2010 e ne ricordo la voce poetica, la curiosità e la sua calma attiva che ritrovo nei suoi versi di una tersa levigatezza, un flusso poetico che spinge in avanti i pensieri, scalda il corpo “e anche il groviglio che si chiama / spirito / mente / anima”. Ogni poesia di È accogliente, la mia casa è un viaggio che traccia linee nel tempo e nello spazio, sonda i dirupi e i deserti chiusi all’interno “della nostra terra e del nostro corpo”. Versi luminosi che aprono tunnel nel nostro inconscio, abbattono la crosta di ghiaccio e l’isolamento, generano un geyser di vitalità e di speranza: “svaniti i sentieri battuti dal vento / Eppure la strada delle saghe e dei poemi è ancora aperta e libera”.


Sigurður Pálsson, È accogliente, la mia casa, a cura di Silvia Cosimini, con testo islandese a fronte, Mobydick 2013. pagg. 88, euro 12




DIECI POESIE DI SIGURÐUR PÁLSSON
da È accogliente, la mia casa
(2013, Mobydick)
Traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini


LA MIA CASA

Non manca quasi niente
nella mia casa
quasi niente
Manca il comignolo
Ci si abitua
Mancano i muri
Pazienza

Non manca molto
nella mia casa
Manca il comignolo
Che per adesso non fuma
Mancano i muri
e le finestre
e la porta

Ma è accogliente, la mia casa
Prego
Accomodatevi
Non abbiate paura
Mangiamo qualcosa
spezziamo il pane, un goccio di vino
accendiamo il camino

Guardiamo
no, ammiriamo i quadri
sui muri

Prego
entrate dalla porta
o dalle finestre
se non dai muri


UN ISTANTE SUL PORTO NEL BUIO

Cupi i rombi dei motori
dal fondo della nave illuminata dai fari
Dal fondo delle viscere della nave
issano magli nervosi con ritmo di catena
Orgogliosa armonia di vento e metallo
al sottofondo greve di mestizia dei flutti

Un brivido mi schiuma dentro e la voglia
di gettarmi nel fosco frastuono
sotto il ritmo di catena dei magli nervosi
Accecarmi nella tenebra
Sparire dalle luci dei fari

Nel dolore del mare senza riparo
con un urlo infinito
nerboruto e ancorato
in gola


NOTTURNO PER SATURNO

La lampada piange
lacrime bionde
Le carte sul tavolo
la lingua contratta
Il fumo ancora in aria
(sempre semiaperte le porte)
Il vetro delle finestre oscurato
un’auto passa
poi di nuovo silenzio
La lampada non piange più
silenzio
nessuno fuma
nessuna spiegazione

Le carte in tavola
nessuno spettro in giro
(le porte sempre semiaperte)

Da tempo scorse
le lacrime bionde


TRADOTTO DAL SILENZIO (III)

Si avvicinano rapide
Al nord del paese le distese di ghiaccio alla deriva
Per le previsioni meteo alla radio crepitante

Sparite e disciolte
Da tempo
La paura anch’essa disciolta
Il crepitio svanito
Da tempo

Nuove distese ghiacciate
Sicuramente saranno già in moto

Non c’è più bisogno
Di prestarvi orecchio


SUSSURRO

Ora tutto sussurra
tranne il vento leggero

Lui tace sullo strapiombo

Non voglio
non posso
ascoltare quel sussurro
Che taccia col vento

Che s’affacci alla vertigine
all’abisso da capogiro
della lontananza

La tua lontananza


BISOGNO D’ENERGIA POETICA (II)

L’alternativa è
ammazzare il tempo
o alitarvi la vita

Perché ti tenga
in vita

Il tempo morto
è morto in eterno
bloccato in un deserto vuoto

Ma il tempo vivo si può
far rivivere

all’infinito
Motore d’eternità
combustibile trainante
della memoria


VOCI CONCRETE (V)

Ben altro e ben più di un luogo
più di una terra

Ben altro e ben più
della cosiddetta indole nazionale
massificante mania d’isolamento

Fogliame più che radici
calappi che allacciano al suolo

Un’idea di crepuscolo lieve di bandiera
pregiato corsetto

L’Islanda è un’idea
antica e nuova
in movimento


ACQUA VIVA

Il mio grido è muto
eppure lo senti

Il silenzio
risuona in te
risuona come l’acqua
acqua corrente

Il mio desiderio è muto
eppure lo senti

Il desiderio
risuona in te
risuona come l’acqua
acqua dissetante

La mia preghiera è muta
eppure la senti

La preghiera
risuona in te
risuona come l’acqua
acqua viva


DESERTO

Chiamiamo terra la nostra terra
Gli stranieri ne parlano come d’un’isola
Ma in mezzo alla nostra terra
c’è un’isola

Deserto
Un vuoto nero un vuoto deserto

Deserto sta in fondo
in ordine alfabetico (*)

Assai all’interno
nella nostra terra

Deserto

Un’area misteriosa
della nostra terra e del nostro corpo

Vi albergano segreti
Porterà la nostra corona

(*) La ö con cui inizia la parola Öræfi (deserto) è
l’ultima lettera dell’alfabeto islandese [N.d.T.].


SCRITTO SULLA SABBIA

Fuori attende la sabbia nera
sottile e umida

Il dito si ghiaccia un poco
a scrivervi

Il corpo si scalda un poco
e anche il groviglio che si chiama
spirito
mente
anima

Le onde si avvicinano

il respiro
pieno di mestizia
di gioia di vita

Le onde si avvicinano




Sigurður Pálsson
è nato nel 1948 á Skinnastaður, nel nord dell’Islanda. Dopo gli studi classici, in patria, frequenta l’università alla Sorbona di Parigi, dove si laurea, e contemporaneamente si diploma alla scuola francese di cinematografia.
Da tempo si dedica alla scrittura e alla traduzione, pur esprimendosi anche in vari altri campi, collaborando nel cinema e alla televisione. Già docente alla Scuola per le Arti Drammatiche, ha ricoperto varie cariche culturali nel suo paese, tra cui la presidenza della Alliance Française dal 1976 al 1978 e la presidenza dell’Associazione Nazionale Scrittori, dal 1984 al 1988.
Autore di quindici libri di poesie, tre romanzi, due libri di memorie e varie commedie, le sue opere hanno meritato ampi riconoscimenti in Islanda e sono state tradotte in venti lingue.
Il governo francese lo ha nominato Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere nel 1990, e Cavaliere dell’Ordine Nazionale del Merito nel 2007.


alexbrando@libero.it