Ogni cosa ha in se stessa il suo opposto; senza non sarebbe definibile.
Nel male c'è il bene, nell'amore l'odio, nella pace la guerra, nella malattia la guarigione, nella morte la vita e nella vita la morte.
Nella colpa il perdono.
Il perdono riguarda noi stessi e solo noi; perdonare l'altro significa perdonare il nostro lato buio e, in ultima analisi, la “caduta”, l'ingresso nella storia, l'abbandono del Tutto originario. Poiché aspiriamo al mondo eterno e perfetto e “panico” da cui proveniamo, privo della percezione del tempo, la sola possibilità che abbiamo per tentare questo ritorno all'Eden originario è perdonare noi stessi di esserne usciti.
Perdonare significa ricostruire l'unità, tornare nel liquido amniotico del mondo originario, perfetto, senza tempo.
Il perdono non assolve, accoglie, semmai, in un gesto d'amore, il nostro lato oscuro mentre restituisce all'altro una nuova possibilità.
“Ci deve essere un perdono già presente nelle cose, un perdono celato”.
Io che penso Ogni volta che incontro la bellezza, in una semplice pietra o in una stella, vedo l'Eterno sconfinare nell'oggi e lo sguardo e il cuore si addormentano sulla spiaggia del Tempo e sento per un istante il mio nulla partecipare al Mistero.
Io che sento Crescono primule selvatiche nel fango del disgelo per svelare i nostri sguardi increduli crederci per una volta ancora.
“Ci deve essere un perdono che viaggia silenzioso nel vento, che non usa parole”.
Io che penso Quando osservo un fiore di prato, la semplicità e la perfezione racchiuse in un mondo così piccolo da esser sostenuto da uno stelo sottilissimo, penso che l'Universo sia inesprimibile a parole. L'Universo vive nel ritmo musicale.
Io che sento Se la margherita potesse cantare avrebbe la voce bianca di un coro di campagna quando all'alba la terra sembra riposare e la nebbia toglie l’eco a ogni rumore.
Se potesse cantare - anche una volta sola - gli storni farebbero pace col vento e l’operosità del giorno si inchinerebbe alla poesia di un ritmo nuovo.
“Ci deve essere un perdono - ovunque - che non sappiamo ascoltare”.
Io che penso Per riconoscerne il suono ci vogliono i poeti.
Io che sento Solo i poeti sentono il respiro delle foglie.
Quando vedi il loro sguardo distrarsi a osservare la forma di un ramo o di una nuvola o non tenere il filo quando parlano è perché hanno intorno un'orchestra di luci e di suoni a cui non possono rinunciare.
“Ci deve essere un perdono che crediamo di non meritare”
Io che penso Quando incontriamo la bellezza che è eterna e contiene di ogni cosa il suo opposto, pensiamo sia troppo grande il dono, crediamo che non sia per noi e ci ubriachiamo allora di rumori e anneghiamo nel sonno il dolore.
Io che sento Sono il tuo silenzio la parola chiusa nella conchiglia l’eco che si disperde nella tempesta come un urlo afono in gola. Sono il naufrago che scivola dalla mano che salva la nota che scivola sulla nota e delude. Sono la disarmonia di un’onda che si spegne nella sabbia.
“Ci deve essere un perdono regalato”
Io che penso Se dovessimo meritarci il perdono, allora non sarebbe un perdono universale, eterno, già scritto nelle cose. Vorrebbe dire che l'eterno non c'è e il mondo non nascerebbe da un principio di bellezza. Io che sento Se ci fosse un osservatore amorevole laggiù, oltre la curva dell’orizzonte oltre le strettoie delle strade in salita oltre il tramonto dietro la collina quando la sfera arancione sembra la testa di un burattino che scompare e riappare per aumentare l’attesa del piccolo uditorio in festa se ci osservasse a gomiti larghi disteso sulla spiaggia del Tempo e la pioggia fosse le sue lacrime e il mare il loro eterno accumularsi se le sue carezze del dopo fossero il vento dell’oggi, la tempesta, la rabbia del mare e delle parole pronunciate, se tutto questo movimento sgorgasse da una fonte amorevole anche le ali spezzate di un passero allora, o le mie, le tue sarebbero una goccia che tracima da un crinale d’amore.
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