Le prime settimane in un appartamento prestatomi da amici quando ancora la lingua vera era uno scoglio brutale, così come i numeri pronunciati all’incontrario, e i quartieri, le strade, le linee di autobus e metro, i punti di appoggio cardinali… La sera dopo una giornata di sforzi ed insuccessi cedevo all’atmosfera autunnale dalla finestra del sesto piano guardavo i tram lungo la Bornholmerstraße i casermoni grigi le corone dei lampioni. In attesa di tutto ascoltando le sinfonie di Brahms.
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La prima volta che volli andare ad Alexanderplatz mi ci trovai proprio nel mezzo e dovetti chiedere a un passante dove si trovasse il luogo che cercavo. Perché piazza propriamente non è, o non è più: uno spazio immenso da due lati bordato da arterie autostradali in un angolo sistemata ad elle una cortina di edifici squadrati spenti che separano l’ambiente dalla Torre della televisione e dai giardini retrostanti. Ma saresti incauto a definirla vuota schiacciata dall’architettura comunista che ha ingoiato i vicoli, i diseredati, i nuovi arrivati in cerca di fortuna la folla convulsa di Döblin; perché ai chioschi alfabeti e nomi di giornali conducono a est, verso gli Urali, e in un angolo raccolti dal freddo uomini forse caucasici su un improvvisato tavolino di cartone incantano gli astanti con l’antico gioco delle tre carte. Col tempo ho apprezzato quel grande spazio vuoto sono arrivato ad amarlo: sembrava che quasi vi arrivasse vi potesse prender piede l’odore delle steppe.
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Sotto il tendone del Bar Jedervernunft il giovane istrione crea il suo mondo canta con voce smaliziata, sussurrata e seducente nella tradizione di Lotte e di Marlene, parole e note da star abbattuta la vita inscenata tra giri di fumo e di lenzuola ancora tiepide di uomini. Sotto la cupola di luci risalgono gli anni indietro sino ai Venti, lacerazioni e slittamenti, satira toccante e irriverente, nel viso liscio dagli occhi grandi risiedono risorti i due gemelli, Klaus e Erika Mann ancora teneri e sprezzanti.
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Uomini addosso nel gelo dell’inverno bruciata la carne come sfregata dalla neve – che infatti cadeva maestosamente quando dopo le tre di mattina uscito da Schwuz camminavo sognante lungo la Gneisenaustraße. Felice ritorno a casa anche in solitudine in un turbinio di neve non aspetto altro che vivere tutto questo sogno a cui vado incontro.
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Hitler odiava Berlino! L’avrebbe spianata tutta se avesse potuto per far costruire al compare Speer il suo parco giochi disabitato e colossale. Ma Berlino anni Venti – la città di grattacieli la più americana d’Europa Babilonia epocale cacofonia ribelle!
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In questa città c’è un Museo di storia gay - hai capito bene, ripeto (ci vuole pazienza con alcuni): un Museo sull’o-mo-ses-sua-li-tà, che preserva e trasmette storia esperienze sogni contributi al vasto mondo di una comunità di uomini e di donne più volte nel corso della storia minacciata di estinzione. Mancano invece madonne lacrimanti sangue, apparizioni di Padre Pio, ossa di santi. Come si vive lieti alla faccia di chi ci odia quando si è distanti.
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Si chiama Fontana delle Favole perché intorno all’abbraccio della vasca si ergono su piedistalli impassibili statue di personaggi dei fratelli Grimm. Il calar del sole mutava il ritmo e lo scenario: tra edicole e colonne apparivano uomini cercandosi intenti dietro a un amo che conducesse oltre il monumento nel vasto parco animato da un ardore altro dal giorno. Non fu facile seguirti nell’oscurità lungo il sentiero folto: procedendo incerti tra le frasche mi pareva che tenessi la sigaretta accesa per farci luce e coraggio sino in fondo.
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Christian mi avevo portato a passare il fine settimana in riva a un lago, dove lui e amici possedevano un terreno con alcune semplici casette di legno. Ricordo una sera, noi abbracciati e altri uomini seduti intorno al fuoco; quasi mi addormento, il tedesco diventa imponderabile, guardo in alto le fronde il vento che le scuote l’oscurità illuminata dalle stelle. Forse mi addormento, ma c’è un risveglio in mezzo ad un racconto: da uno degli uomini più anziani una crepa nella voce parole in pause e successione, un gesto: scoprirsi l’avambraccio, battere la mano sul tatuaggio. Un brivido così forte – un ricciolo rosa sfugge dalle braci, rovinosamente precipita in alto.
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Già poco dopo le dieci di sera le rotatorie sputavano i primi giornali del giorno successivo ancora freschi di colore. Nel fragore infernale caricavamo le copie nel borsone e poi ognuno usciva sguinzagliato nella propria direzione. Il lavoro tra tanti migliore: vendere il Tagespiegel ogni notte facendo lo strillone su una linea del metro, in particolare la 1 e la 7 tra Nollendorfplatz e Yorckstraße zona ad alta concentrazione gay uomini ragazzi simpatizzanti vari che mi guardavano riconoscevano con un sorriso mi infilavano nella saccoccia il doppio o più del prezzo del giornale.
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Con te a mezza estate sull’Isola dei Pavoni così detta perché effettivamente incedono i maestosi uccelli lungo vialetti, prati, aiuole, tra rovine di manieri neogotici e altre stravaganze architettoniche. Come inquieta è la natura oggi mentre passeggiamo cade dal cielo dalle corone di ontani e platàni a strappi un vento che sembra voler qualche fine presagire: annodandomi la gola tremo di colpo per la nostra incauta perfezione.
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di quando a pochi isolati da casa in una sera calda non riuscimmo a trattenerci e come fanciulli vergini entrammo nell’androne di una tipica casa berlinese per scopare. Contro il muro la tua schiena si spande scoperta, dalla vetrata colorata filtra la luce che la spezza – dopo mi dici nella tua lingua che è stato così figo, che senti ancora, come io lo vedo, il fiotto d’oro.
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Christo e Jean-Claude ebbero l’idea geniale di impacchettare il Reichstag ancora dalla guerra disastrato in un immenso manto d’oro pieghettato che l’avrebbe reso cascata storia trasformata foresta incantata che sfida il futuro la potenza dei tramonti d’estate – e lì sul grande prato seduti ad ammirare lo spettacolo insieme a una vasta moltitudine c’eravamo anche Norbert ed io stretti e felici, stupefatti dal nostro stare insieme convinti che la vita fosse ancora tutta oro un picco chiaro.
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