FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia

Numero 20
ottobre/dicembre 2010

Nel cosmo

 

NEL COSMO E... OLTRE

di Armando Santarelli



Sarà per l’eufonia della parola, per l’illimitatezza delle misure che propone al nostro povero intelletto; sarà perché evoca l’immensità degli spazi, il tutto che comprende tutto; sarà per queste cose che avverto un indicibile rapimento quando leggo o pronuncio il nome “cosmo”.
È il greco “kosmos”, ovvero il mondo in quanto ordine, armonica totalità. Istintivamente, lo sguardo si alza al cielo, e il pensiero va a Parmenide, a Montaigne, a Kant, a Leopardi, a Tolstoj, a tutti coloro che hanno provato a discutere intorno alla bellezza e al mistero degli spazi siderali. Un’immensità che non dà risposte, che forse non le darà mai; non per questo si ferma la riflessione umana. Il luogo che comprende tutti i luoghi, tutto ciò che esiste – il piccolo punto che io rappresento e l’intero infinito – continua a meravigliarci, a indurre le domande più affascinanti che un argomento possa fornire alla mente umana.

Chi lo ha creato? E come? Da quando esiste? Ma lo ha creato qualcuno?
Oppure è sempre esistito? Avrà mai una fine?
E soprattutto, supremo interrogativo di ogni essere umano: qual è il senso della mia esistenza dinanzi all’immensità dell’universo?
Io che sono poco più che nulla, un concentrato di molecole gettato in uno spazio infinito, ignaro del perché sono venuto alla vita, e di ciò che mi aspetta quando essa avrà fine. E tuttavia, un nulla che vuole sapere, perché nel cosmo sono nato e in esso esisto, perché ne occupo una parte, perché questo cosmo è anche il mio cosmo.
Allora, chi lo ha creato?
Sentiamo gli antichi greci, sentiamo Eraclito: “Questo cosmo, che è dinanzi a noi, e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessun Dio, né nessun uomo, ma fu sempre, è, e sarà fuoco sempre vivente, che arde secondo misura e si spegne secondo misura”.
E ora i moderni, il fisico Stephen Hawking: “Anziché essere un evento improbabile, spiegabile soltanto con un intervento divino, il big bang fu una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica. Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato da solo, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo, per cui esistiamo noi”.

Dunque, il cosmo si sarebbe “creato da solo”; possibile? Sì: prima del big bang nulla esisteva; un attimo dopo lo scoppio, l’energia si convertì in materia, nei frammenti primordiali da cui deriva ogni cosa.
Va bene, si è creato da solo; ma quando? Hawking e altri scienziati, combinando il valore della costante di Hubble con altri dati cosmologici, calcolano che l’età dell’universo dovrebbe aggirarsi intorno ai 14 miliardi di anni.
Riassumendo: questo cosmo esiste da 14 miliardi di anni, e si è originato da un preciso evento, il big bang primordiale. O forse no: perché alcuni astrofisici, paradossalmente in accordo con Eraclito più che con Stephen Hawking, non credono al big bang iniziale; il cosmo, essi sostengono, non ha avuto alcun inizio, per il semplice motivo che è sempre esistito qualcosa…
Non so perché, ma constatare che queste teorie scientifiche sono in netta opposizione tra di loro, mi provoca un senso di benessere, una salutare alzata di spalle dinanzi alle ipotesi vertiginose che propongono alla nostra povera mente. Ed è con sollievo che ritorno al microcosmo, alla tonsillite di mia figlia e al funzionamento dei termosifoni, questioni certamente più vicine e comprensibili di quelle sollevate dall’entità da cui originano i primi poemi, i miti, il pensiero filosofico.

Stavamo certamente meglio, ci sentivamo più tranquilli da bambini, quando andavamo al catechismo: “Chi ha creato il mondo?”
“Lo ha creato Dio”.
“Chi è Dio?”
“Dio è l’essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra”.
Fine delle domande… sino all’adolescenza.
Perché se è stato Dio a creare l’universo, chi ha fatto Dio?
Come si può spiegare qualcosa di cui sappiamo poco mediante qualcosa di cui non sappiamo nulla?

Per chi non ha fede, la creazione del mondo da parte di un Essere superiore solleva gli stessi dubbi e lo stesso sgomento dell’eternità e dell’infinità dell’universo.
Il filosofo Fernando Savater: “La ricerca della causa di tutte le cause ci sprofonda immediatamente nella vertigine intellettuale. Normalmente pensiamo che, per definizione, le cause debbano essere diverse dai loro effetti e precedenti a essi. In tal modo che la Prima Causa dell’universo deve essere diversa dall’universo e precedente ad essa. Ebbene, ciò che intendiamo per universo è proprio l’insieme di tutto ciò che esiste nella realtà. Se la Causa prima esiste nella realtà, deve far parte dell’universo (e pertanto bisogna anche domandarsi quale sia la sia causa); se non esiste nella realtà, come può agire?”

Va bene, ci arrendiamo, e passiamo oltre: ha almeno un ordine, un senso, questo universo? Qualcuno pensa di sì. Il premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine sostiene che il cosmo tende verso un progressivo aumento della complessità e dell’ordine. La vita, afferma lo scienziato russo, non è nata per caso, non è una fatalità; al contrario, è conseguenza di una logica immanente all’universo, organizzato in modo da generare forme di vita sempre più complesse e organizzate. Il cosmo ha ospitato i gas primordiali, poi le prime particelle viventi, le forme di vita inferiori, gli animali e infine la vita intelligente, la creatura dotata di senso morale.
Dunque, una logica, una legge superiore che agirebbe organizzando il mondo, una legge più forte di quel caso che sarebbe alla base delle mutazioni che consentono l’evoluzione. È la legge cosmica fondamentale che non possiamo dimostrare, ma di cui l’uomo ha intuizione fin dall’Antichità e che ha chiamato Logos (i Greci), Hokmà (gli Ebrei), Maat (gli Egiziani), Dhamma (gli Indù), Tao (i Cinesi), Shinto (i Giapponesi). Un ordine universale che procede nel tempo e arriva a noi, all’uomo. In questo senso, filosofia greca e sapienza orientale sono in perfetto accordo: Lao-Tzu guarda al Tao per dare un ordine alla vicenda umana, e Platone, nelle Leggi, scrive: “Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo… Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu, piuttosto, vieni generato per la vita cosmica”.

Splendido, come tutto il pensiero filosofico greco. Ma la filosofia, più che per rispondere a delle domande, è nata per porle: l’essere dotato di coscienza e senso morale è stato generato per diventare un insignificante granellino della vita cosmica? No, non può bastare, tutto ciò è insufficiente per l’animo umano. Alla filosofia greca subentra il Cristianesimo, per dirci che l’uomo non è un momento del cosmo, ma ne è l’elemento privilegiato, in quanto creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Dio dimora in noi, la nostra anima è immortale, e un giorno assisteremo alla risurrezione dei corpi, nella gloria di Cristo. Dio ha fatto ingresso nel mondo col Verbo incarnato, e da allora sappiamo chi siamo, da dove veniamo, dove siamo destinati, che cosa dobbiamo fare per meritare la vita eterna.
Tutto risolto, finalmente? No, arrivano le scoperte scientifiche, il pensiero di Copernico, Galileo, Darwin, Marx, Freud, arriva un’etica laica, un umanesimo non cristiano. Un infinito di domande, qualche timida risposta: la physis greca e la morale cristiana possono fondersi, dice qualcuno. L’etica, pensa il teologo Vito Mancuso, è la traduzione e a livello interpersonale di quell’aumento progressivo dell’ordine della natura-physis che ha condotto alla nascita delle prime strutture molecolari, poi della vita intelligente, poi della coscienza.

Conclusione affascinante, forse vera, forse soltanto consolatoria. Perché, nonostante tutto, ritornano quelle domande: come si è generato il cosmo? Siamo davvero il fulcro dell’universo, o un prodotto casuale del caos cosmico?
L’universo: quattordici miliardi di anni. La nostra vita: qualche decina, e il tormento di non sapere, di non poter capire…

armando.santarelli@inwind.it