FILI D'AQUILONE
rivista d'immagini, idee e Poesia
Numero 10
aprile/giugno 2008

Identità & Conflitto

LA POESIA DI MEIRA DELMAR

a cura di Martha Canfield e Giulia Spagnesi



Poesia e donne nella letteratura colombiana
di Martha Canfield

Quando si parla di letteratura colombiana si pensa soprattutto al genere poetico e non si può evitare di ricordare l'enorme quantità di poeti colombiani entrati definitivamente nella storia dell'ispanismo, dal grande barocco Hernando Domínguez Camargo al simbolista José Asunción Silva al Premio Cervantes Álvaro Mutis. La creatività colombiana si associa così naturalmente al fare poetico che si arriva a paradossi come l'autodefinizione di García Márquez, romanziere fra i più famosi nel mondo, che tuttavia si ritiene "poeta", e quando gli chiedono di descrivere uno dei suoi romanzi più letti, L'autunno del patriarca, dice che si tratta di «un poema sulla solitudine del potere»1.

Si dice che la poesia in Colombia si legge tanto perché tutti i colombiani, prima o poi, scrivono dei versi e quindi tutti si sentono chiamati in causa di fronte a un libro poetico. Ricordiamo due memorabili istituzioni poetiche: la Casa di Poesia Silva, creata a Bogotá nell'abitazione della famiglia di José Asunción, dove il poeta visse e morì tragicamente suicida nel 1896, e il Festival di Poesia Internazionale di Medellín. La prima è uno dei rari istituti pubblici nel mondo dove si va per usufruire esclusivamente di poesia: una biblioteca aggiornatissima, sale per l'ascolto di nastri registrati con le voci di poeti di tutto il mondo, incontri periodici, dibattiti, presentazioni di libri, letture poetiche, edizioni specializzate e una corposa rivista mensile altamente qualificata. Il secondo è uno dei Festival più frequentati nel mondo, dove ogni anno, nel mese di giugno, vengono convocati centinaia di poeti di tutte le aree geografiche, dove le attività durano 8-9 giorni dalla mattina alla sera, con letture contemporanee in diversi luoghi della città, tutti assolutamente e costantemente affollati da un pubblico molto eterogeneo ma con un tratto in comune: la passione per la poesia.

Tuttavia in questa proliferazione del genere poetico in Colombia, le voci femminili si sono fatte sentire quasi eccezionalmente per diversi secoli e soltanto negli ultimi decenni hanno cominciato a moltiplicarsi. Per avere prova di questa disparità di fronte alla preponderanza schiacciante delle voci maschili, basta aprire le antologie classiche della poesia colombiana, fino a non molto tempo fa rigorosamente curate da uomini, e comprovare che lì le voci femminili sono scarsissime. Da notare anche che, in questo panorama dominato dal segno maschile, una delle prime e costanti eccezioni è proprio la poetessa della Costa Atlantica, la dolce e nostalgica, forte e lucida Meira Delmar.

Ma vediamo qualche esempio fra le antologie più adottate negli ultimi decenni, per quantificare quanto detto. In primo luogo, l'antologia di Fernando Arbeláez, Panorama de la nueva poesía colombiana, del 19642: qui i poeti antologizzati sono 50, di cui soltanto tre donne, la prima delle quali è Meira Delmar; le altre due sono Emilia Ayarza de Herrera (1919-1966) e Olga Elena Mattei de Arosemena (1938), voci che tendono a scomparire in seguito. Dieci anni dopo, l'antologia curata da Andrés Holguín e pubblicata in due volumi per il centenario del Banco di Colombia3, raccoglie complessivamente 72 poeti, di cui nessuna donna nel primo volume e soltanto sei nel secondo; la prima delle donne antologizzate, in senso storico, è Meira Delmar, e le più giovani - ancora attive e ormai riconosciute - sono Paula Gaitán (1952) e Gloria Inés Arias (1954).
Un'antologia più "militante", nel senso che voleva essere meno storica e più attuale, fu preparata nel decennio successivo, e cioè nel 1986, da Santiago Mutis: Panorama inédito de la nueva poesía en Colombia4, il quale scelse 59 nomi, tra cui soltanto cinque sono donne. La prima di queste, in senso storico, è María Mercedes Carranza (1945-2003), e la scelta risulta significativa in quanto, essendo lei protagonista della cosiddetta "Generazione senza nome", e per qualcuno addirittura l'unica voce femminile del gruppo5, venne riconosciuta come tale con notevole ritardo e uno dei primi a farlo fu precisamente Santiago Mutis.
A sua volta, la stessa María Mercedes - figlia del grande poeta capofila del Piedracielismo, Eduardo Carranza, nonché fondatrice e direttrice fino alla sua morte della Casa di Poesia Silva - intraprese il compito di elaborare, non una antologia, bensì una storia della poesia colombiana6 nella quale le donne hanno, per la prima volta, un riconoscimento più giusto.
Un ultimo esempio, ormai per concludere questa emblematica serie, lo troviamo nella Antología de la Poesía Colombiana, pubblicazione ufficiale della Presidenza della Repubblica del 19967 in due volumi. Il primo, curato dal compianto Fernando Charry Lara, parte dalle origini, cioè dalla poesia coloniale, e arriva alla fine del Modernismo, include 40 poeti e tra essi soltanto una donna, la Madre Francisca Josefa del Castillo y Guevara (1671-1742); il secondo volume, invece, curato da Rogelio Echavarría, è tutto dedicato al Novecento, include ben 175 poeti, di cui soltanto 19 donne, tra le quali c'è naturalmente Meira Delmar.

In questo panorama e in questa evidente preponderanza delle voci poetiche maschili - malgrado le donne abbiano avuto in Colombia un ruolo attivo e di primo piano nelle varie attività politico-culturali del secondo Novecento8 - la figura di Meira Delmar deve essere considerata come eccezionale e dirompente, la prima di una lunga e ricca serie di scrittrici cui lei stessa, probabilmente, apre strada.
Nella storia della poesia colombiana, il secolo XX, una volta finita la stagione del Modernismo, di cui José Asunción Silva era stato uno dei fondatori, si apre con un gruppo battezzato Los Nuevos (I Nuovi), come l'effimera rivista dove pubblicarono per un tempo, apparsa nel 1925. Los Nuevos contestavano la generazione immediatamente precedente, quella conosciuta come Generación del Centenario, che continuava senza novità il Modernismo ormai esausto. Malgrado la promessa implicita nel nome, il nuovo gruppo, non offriva grandi novità e la critica successiva non gli ha risparmiato un giudizio molto severo. Un'eccezione la costituivano due personaggi molto controcorrente, e per la stessa ragione isolati per lungo tempo: Luis Vidales e León de Greiff. Luis Vidales è considerato oggi il primo surrealista colombiano che non riuscì tuttavia a creare accoliti. Lo stesso Rafael Maya, che faceva parte del gruppo, con la lucidità che caratterizza il suo lavoro critico, al di là del suo contributo come poeta, dichiarava:

Sebbene questo gruppo abbia rappresentato una rottura con i "centenaristi", sia dal punto di vista politico che da quello letterario [...], rimase in realtà fedele a certe scuole del secolo scorso, come il simbolismo e il parnassianesimo francesi.9

Più tardi, Fernando Charry Lara, ancora più critico, assicura che I Nuovi, malgrado le dichiarazioni di principio, erano stati dei conformisti, che non avevano saputo ascoltare le intense voci di rottura lanciate dai compagni latinoamericani ormai avviati nelle strade del cambiamento avanguardistico10.
All'alba della decade del '40 compaiono come una fresca pioggia rinfrescante e innovatrice11, le nuove proposte di un gruppo autodenominatosi Piedra y Cielo, come il libro dello spagnolo Juan Ramón Jiménez, ritenuto loro padre e maestro. In poco tempo Eduardo Carranza venne unanimemente riconosciuto come capofila e primo referente del gruppo, Jorge Rojas diventò il loro mecenate-editore e il gruppo si rinforzò con l'adesione di altri poeti, quali Gerardo Valencia, Arturo Camacho Ramírez, Carlos Martín, Darío Samper, stabilendo inoltre stretti rapporti con altri movimenti internazionali, specie in Spagna, Messico, Cile e Venezuela. Tuttavia, e forse non è un caso che ancora le voci femminili rimangano sopite, al di là dell'eleganza della lingua, molto sorvegliata, non c'è in questi autori nessun tratto che si possa considerare di effettiva rottura con il passato. Molto severo e non senza un pizzico d'ironia è il giudizio che fornisce Rafael Gutiérrez Girardot, assicurando che quella del piedracielismo fu semmai una «rivoluzione nella tradizione» se comparata con la poesia che nel resto dell'America Latina era nata a partire dal Modernismo, a cominciare da César Vallejo. E aggiunge:

[Piedra y Cielo] trasformò Madrid nella capitale della lirica colombiana e universale [...] Introdusse una nuova concezione della letteratura in Colombia ma, in fondo, semplicemente operava uno spostamento degli accenti: dall'ampollosa e rigida retorica alla maniera di Guillermo Valencia, si passò a una retorica ingegnosa, da un mimetismo di seconda mano a un mimetismo più accessibile, quello spagnolo.12

Il gruppo successivo, conosciuto come dei postpiedracielistas, non sarà nemmeno un movimento di particolare rottura con il passato o di franca apertura verso altri orizzonti diversi dalla Spagna e dall'Ispanoamerica, ma questo bisogno di espansione comincia a farsi notare. Armando Romero definisce i loro rapporti con i predecessori come «da allievi a maestri»13; ma la nuova apertura è ben percettibile: dalla rivista diretta da Andrés Holguín, "Razón y Fábula", con la sua vocazione internazionalista, alla presenza di voci femminili, tra le quali spicca indiscussa quella di Meira Delmar.
Nel 1944 Jaime Ibáñez, altro membro del gruppo postpiedracielista dà inizio ai quaderni di "Cántico", dove vengono presentate le prime opere dei principali rappresentanti, Fernando Charry Lara e Andrés Holguín, e dove si apre la strada a un poeta insieme schivo e carismatico, Aurelio Arturo.

Con "Cántico" e con "Razón y Fábula", la poesia colombiana si confronta con le culture arcaiche e con quelle classiche: Andrés Holguín, ad esempio, ricrea il mondo greco-latino e quello dell'antico Egitto. Si proietta e si nutre del mondo orientale, in particolare quello arabo, presente come radice remota e recente in una parte della popolazione colombiana e recuperato, con fascino misto ad amore e dolore, da Meira Delmar e più tardi da Giovanni Quessep. Si propone come testimonianza del mondo africano, altra radice americana, attraverso la poesia negrista, precocemente iniziata in Colombia da Candelario Obeso (1849-1884) e ora continuata da Jorge Artel. E accoglie - con lo spirito più libero e più americano, già iniziato dal postmodernismo - il mondo della provincia profonda, il mondo "del sud", acceso e determinante nell'esilio bogotano di Aurelio Arturo.
Nessuno di questi poeti crea una rottura radicale con il passato: sono rimasti indenni alla smania di nuovo già seminata dalle avanguardie. Ma stanno aprendo una strada importante, che porterà alla Generazione di Mito, con le voci dirompenti di Fernando Charry Lara, Álvaro Mutis, Jorge Gaitán Durán, Eduardo Cote Lamus, Dora Castellanos. E d'ora in poi le figure femminili si moltiplicheranno, portando nel verso colombiano la prospettiva mancata finora, configurando la visione dell'altra metà del cielo, troppo tempo ignorata o trascurata.

Per concludere ricordiamo che le figure femminili si moltiplicano a partire dal riconoscimento nazionale e internazionale ottenuto da Meira Delmar. Prima di lei soltanto la Madre Francisca Josefa del Castillo y Guevara (1671-1742), la suora di Tunja, è entrata nella storia della letteratura colombiana e nessuno studio critico della letteratura coloniale né nessuna antologia colombiana si può permettere di ignorarla. Paragonata talvolta a Suor Juana Inés de la Cruz, la sua opera tuttavia non raggiunge il livello della messicana né ha lasciato un segno particolare nelle lettere successive. Nell'Ottocento l'unica donna di cui abbiamo ormai notizie precise è Soledad Acosta de Samper (1833-1913), non poeta ma narratrice, biografa e storica, la sua opera è stata dimenticata dopo la sua morte e recuperata e studiata alla fine del Novecento da un'altra scrittrice, critica e poeta, Montserrat Ordóñez (1941-2001). Nel Novecento, prima di Meira, abbiamo tre scrittrici ricordate in pochissimi lavori critici ed eccezionalmente antologizzate: sono Matilde Espinosa (1911-2008), Carmelina Soto (1916-1994) e Emilia Ayarza de Herrera (1919-1966).

Meira Delmar (1921), con la sua vasta opera e la sua presenza discreta ma costante nel mondo intellettuale colombiano, ha senz'altro stimolato l'attenzione sulle molte donne venute dopo di lei e ha aperto gli occhi dei critici, uomini e donne. Fra queste scrittrici, poche coetanee, molte venute in seguito, c'è qualche figlia d'arte, come María Mercedes Carranza, già citata, o Paula Gaitán, figlia di Jorge Gaitán Durán; altre sono giornaliste, maestre, ricercatrici e docente universitarie, tutte ormai definite nella scelta di una vita dedicata alla letteratura. Vorremmo ricordare, tra tutte, Maruja Vieira, premio Gabriela Mistral di poesia e segretaria del Pen Club colombiano; Luz Mary Giraldo, brillante studiosa di letteratura colombiana14, le cui poesie sono state parzialmente tradotte in italiano; e infine le ventisettenni Yolima Zuleta e Andrea Cote Botero, entrambe pure parzialmente tradotte, la prima nella recente antologia Poesia e natura15, la seconda in corso di stampa per la casa editrice LietoColle.

Diamo infine un elenco, in ordine cronologico di nascita, di 25 poetesse colombiane che si sono fatte conoscere dopo Meira Delmar, la maggior parte delle quali sono presenti nella molto curata e aggiornata antologia di Henry Luque Muñoz, del 1996.16

Maruja Vieira (1922)
Dora Castellanos (1925)
Beatriz Zuluaga (1934)
Olga Elena Mattei (1938)
Montserrat Ordóñez (1941-2001)
María Mercedes Carranza (1945-2003)
Anabel Torres (1948)
Luz Mary Giraldo (1950)
Renata Durán (1950)
Piedad Bonnet (1951)
Amparo Inés Osorio (1951)
Paula Gaitán (1952)
Mónica Gontovnik (1953)
Eugenia Sánchez Nieto (1953)
Gloria Inés Arias (1954)
Mery Yolanda Sánchez (1956)
Orietta Lozano (1956)
Ángela García (1957)
Liana Mejía (1960)
Ana Milena Puerta (1961)
Luz Helena Cordero Villamizar (1961)
María Cecilia Sánchez (1964)
Yirama Castaño (1964)
Gloria Posada (1967)
Yolima Zuleta (1981)
Andrea Cote Botero (1981)



1Gabriel García Márquez, El olor de la guayaba. Conversaciones con Plinio Apuleyo Mendoza, La Oveja Negra, Bogotá, 1982, p. 87; tr. it. Plinio Mendoza, Odor di guayaba. Conversazioni con Gabriel García Márquez, Oscar Mondadori, 1983, p. 105.

2Fernando Arbeláez, Panorama de la nueva poesía colombiana, Ediciones del Ministerio de Educación, Bogotá, 1964.

3Andrés Holguín, Antología crítica de la poesía colombiana 1874-1974, 2 voll., Biblioteca del Centenario del Banco de Colombia, Bogotá, 1974.

4Panorama inédito de la nueva poesía en Colombia (1970-1986), a cura di Santiago Mutis, Procultura, Bogotá, 1986.

5In realtà altri critici e protagonisti della Generación sin nombre, come Juan Gustavo Cobo Borda, Augusto Pinilla e lo stesso Giovanni Quessep, hanno riconosciuto in me stessa un'altra voce femminile del gruppo, dato che la mia formazione poetica deve molto all'ambiente culturale colombiano e le mie prime poesie, così come la mia prima raccolta, vennero pubblicate negli organi di diffusione più usati dal gruppo, le riviste "Eco" e "Golpe de dados" e la casa editrice Alcaravan, all'epoca diretta dallo scrittore Arturo Alape. In particolare Cobo Borda, mi segnalava come transterrada, vale a dire che, pur essendo nata altrove (in Uruguay) ormai vivevo in Colombia e facevo parte del loro gruppo. Cfr. J. G. Cobo Borda, Obra en marcha 2. La nueva literatura colombiana, Instituto Colombiano de Cultura, Bogotá, 1976. Un anno prima era uscito il primo dei due volumi (Obra en marcha 1), nel quale risultavano 30 poeti tra cui due donne (Amalia Iriarte e Paula Gaitán); nel secondo ce n'erano 43 tra cui 6 donne: Marvel Moreno, più tardi molto riconosciuta come narratrice, María Mercedes Carranza, Carmiña Navia Velasco, Anabel Torres, Amparo Villamizar e la sottoscritta.

6Historia de la poesía colombiana, diretta da María Mercedes Carranza, Fundación Casa de Poesía Silva, Bogotá, 1991.

7Fernando Charry Lara e Rogelio Echavarría, Antología de la Poesía Colombiana, 2 voll., Biblioteca Familiar Presidencia de la República, Bogotá, 1996.

8Basti citare due nomi molto noti, Gloria Zea e Marta Traba.

9Ho tradotto da: Rafael Maya, Consideraciones críticas sobre la literatura colombiana, Editorial Voluntad, Bogotá, 1944, p. 112.

10Fernando Charry Lara, Los Nuevos, in Manual de literatura colombiana, tomo II, Procultura/Planeta, Bogotá, 1988, p. 85.

11L'immagine è di Rogelio Echavarría, Antología de la poesía colombiana, Tomo II, cit., p. IX.

12Rafael Gutiérrez Girardot, La letteratura colombiana 1925-1950, in Manual de Historia de Colombia, Tomo III, Instituto Colombiano de Cultura, Bogotá, 1980, p. 522.

13Armando Romero, Las palabras están en situación, Procultura, Bogotá, 1985.

14Cfr. due lavori miei: La poesia di Luz Mary Giraldo, Fondazione Il Fiore, Firenze, 2004; e La scrittura femminile nella poesia ispanoamericana, in "L'Ulisse di LietoColle", n° 1, 2006, I mondi creativi femminili, pp. 90-113 (seguito da versioni di diverse scrittrici, tra cui Luz Mary Giraldo).

15Poesia e natura. Nuova coscienza ecologica, a cura di Alessio Brandolini, Martha Canfield e Ivano Malcotti, Le Lettere, Firenze, 2007, pp. 117 e 131.

16Henry Luque Muñoz, Tambor en la sombra. Poesía colombiana del siglo XX, Verdehalago/Biblioteca Luis Ángel Arango, Bogotà, 1996.




SEI POESIE DI MEIRA DELMAR



ELEGIA DE LEYLA KHÁLED

Te rompieron la infancia, Leyla Kháled.

Lo mismo que una espiga
o el tallo de una flor,
te rompieron
los años del asombro y la ternura,
y asolaron la puerta de tu casa
para que entrara el viento del exilio.

Y comenzaste a andar,
la patria a cuestas,
la patria convertida en el recuerdo
de un sitio que borraron de los mapas,
y dolía más hondo cada hora,
y volvía más triste del silencio,
y gritaba más fuerte en el castigo.

Y un día, Leyla Kháled, noche pura,
noche herida de estrellas, te encontraste
los campos, las aldeas, los caminos,
tatuados en la piel de la memoria,
moviéndose en tu sangre roja y viva
llenándote los ojos de sed suya,
las manos y los hombros de fusiles,
de fiera rebeldía los insomnios.

Y comenzaron a llamarte nombres
amargos de ignominia,
y te lanzaron voces como espinas
desde los cuatro puntos cardinales,
y marcaron tu paso con el hierro
del oprobio.

Tú, sorda y ciega, en medio
de las ávidas zarpas enemigas,
ardías en tu fuego, caminante
de frontera a frontera,
escudando tu pecho contra el odio
con la incierta certeza del regreso
a la tierra luctuosa de que fueras
por mil manos extrañas despojada.

Te vieron los desiertos, las ciudades,
la prisa de los trenes, afiebrada,
absorta en tu destino guerrillero,
negándote el amor y los sollozos,
perdiéndote por fin entre la sombra.

Nadie sabe, no sé, cuál fue tu rumbo,
si yaces bajo el polvo, si deambulas
por los valles del mar, profunda y sola,
o te mueves aún con la pisada
felina de la bestia que persiguen.

Nadie sabe. No sé. Pero te alzas
de repente en la niebla del desvelo,
iracunda y terrible, Leyla Kháled,
oveja en loba convertida, rosa
de dulce tacto en muerte transformada.


ELEGIA DI LEYLA KHALED

Ti devastarono l'infanzia, Leyla Khaled.

Come una spiga
o lo stelo di un fiore,
ti infransero
gli anni dello stupore e della tenerezza
e distrussero la porta della tua casa
perché entrasse il vento dell'esilio.

E prendesti a vagare
la patria sulle spalle
la patria divenuta ricordo
di un luogo cancellato dalle mappe
e faceva male ogni ora di più
e diventava più triste del silenzio
e gridava più forte nel castigo.

E un giorno, Leyla Khaled, notte pura,
notte ferita di stelle, ti sei trovata
i campi, i paesi, i sentieri
tatuati sulla pelle del ricordo
muovendosi nel tuo sangue rosso e vivo
riempiendoti gli occhi della loro sete
le mani e le spalle di fucili,
di fiera ribellione le insonnie.

E iniziarono a chiamarti con nomi
amari di ignominia,
ti lanciarono urla come spine
dai quattro punti cardinali,
e marcarono il tuo passo con il ferro
dell'obbrobrio.

Tu, sorda e cieca, in mezzo
agli avidi artigli nemici,
ardevi nel tuo fuoco, camminavi
di frontiera in frontiera,
difendendo il tuo petto dall'odio
con l'incerta certezza del ritorno
alla terra luttuosa di cui fosti
da mille mani straniere derubata.

Ti videro i deserti, le città,
la fretta dei treni, febbricitante,
assorta nel tuo destino guerrigliero,
negandoti l'amore e i singhiozzi,
perdendoti alla fine tra le ombre.

Non si sa, non so, quale è stata la tua direzione,
se giaci sotto la polvere, se procedi
per le valli del mare, profonda e sola,
o ti muovi ancora con il passo
felino dell'animale inseguito.

Nessuno sa. Non so. Ma ti alzi
di scatto nella nebbia dell'insonnia,
iraconda e terribile Leyla Khaled,
pecora in lupa trasformata, rosa
dal dolce tatto in morte trasformata.


INMIGRANTES

Una tierra con cedros, con olivos,
una dulce región de frescas viñas,
dejaron junto al mar, abandonaron
por el fuego de América..

Traían en los labios
el sabor de la almáciga,
y el humo perfumado del narguileh
en los ojos,
en tanto que la nave se perdía en las ondas
dejando atrás las piedras de Beritos,
el valle deleitoso al pie de los alcores,
los convites del vino en torno de la mesa
tendida en el estío
bajo el cielo alhajado.

El mar cambió de nombre
una vez, y otra, y otra
hasta llegar por fin a la candente orilla,
donde veloces ráfagas
de pájaros teñían
de colores y música repentina
el instante,
y el fragor de los ríos remedaba el rugido
del jaguar y del puma
ocultos en la selva.

En riberas y montes levantaron la casa
como antes la tienda en los verdes oasis
el abuelo remoto, y las viejas palabras
fueron trocando entonces
por las palabras nuevas
para llamar las cosas,
y el corazón supieron compartir con largueza
tal el odre del agua en la sed del desierto.
A veces cuando suena el laúd memorioso
y la primera estrella
brilla sobre la tarde,
rememoran el día
en que el "bled" fue borrándose
detrás del horizonte.


IMMIGRANTI

Una terra con cedri, con olivi,
una dolce regione di fresche vigne,
lasciarono vicino al mare, abbandonarono
per il fuoco d'America.

Conservavano tra le labbra
il sapore della resina,
e il fumo profumato del narguileh
negli occhi,
mentre la nave si perdeva tra le onde
lasciandosi dietro le pietre di Beritos,
la valle gioiosa ai piedi delle colline,
e i banchetti del vino attorno alla tavola
preparata nell'estate
sotto il cielo pieno di gemme.

Il mare cambiò nome
una volta, un'altra e un'altra ancora
fino ad arrivare alla scottante riva
dove veloci raffiche
di uccelli dipingevano
di colori e musica improvvisa
l'istante,
e il fragore dei fiumi imitava il ruggito
del giaguaro e del puma
nascosti nella selva.

Su rive e su montagne costruirono case
come in passato la tenda nelle verdi oasi
l'antico avo, e le vecchie parole
iniziarono a scambiare
con le parole nuove
per chiamare le cose,
e seppero condividere il cuore con grandezza
come prima l'otre d'acqua nella sete del deserto.
A volte quando suona il liuto della memoria
e la prima stella
brilla nella sera
ricordano il giorno
in cui il bled scomparve lentamente
dietro l'orizzonte.


CEDROS

Mis ojos niños vieron
- ha mucho tiempo - alzarse
hasta la nube un vuelo
de sucesivos verdes
que el aire en torno
embalsamaban
con tranquila insistencia.

El silencio se oía como una
música suspendida de repente,
y en mi pecho crecía
el asombro.
La voz del padre, entonces,
inclinandóse a mi oído
para decirme, quedo:

"Son los cedros del Líbano
hija mía.
Mil años hace, acaso
mil más, que medran
a las plantas de Dios.
Guarda su imagen
en la frente y la sangre.
Nunca olvides
que miraste de cerca
la Belleza".
Y desde aquella hora
tan lejana,
algo en mí se renueva
                y estremece
cuando topo en las hojas
          de algún libro
                 su memoriosa estampa.


CEDRI

I miei occhi di bambina videro
- già molti anni addietro - elevarsi
fino alle nuvole un volo
di verde progressivo
che l'aria intorno
riempiva di balsamo
con tranquilla insistenza.

Il silenzio si percepiva come una
musica interrotta all'improvviso,
e nel mio petto cresceva
lo stupore.
La voce del padre, allora,
si piegò al mio orecchio
per dirmi, sottovoce:

"Sono i cedri del Libano
figlia mia.
Da mille anni, forse
da due volte mille, essi crescono
ai piedi di Dio.
Conserva la loro immagine
nella mente e nel sangue.
Non dimenticare mai
che hai osservato da vicino
la Bellezza".
E da quel momento
così lontano,
qualcosa in me si rinnova
                  e trema
quando incontro nelle pagine
             di un libro
           la loro memorabile immagine.


EL MILAGRO

Pienso en ti.
La tarde,
no es una tarde más;
es el recuerdo
de aquella otra, azul,
en que se hizo
el amor en nosotros
como un día
la luz en las tinieblas.
Y fue entonces más clara
la estrella, el perfume
del jazmín más cercano,
menos
punzantes las espinas.
Ahora,
al evocarla creo
haber sido testigo
de un milagro.


IL MIRACOLO

Ti penso.
La sera,
non è più una sera;
è il ricordo
di quell'altra, azzurra,
in cui amore
si fece in noi
come un giorno
si fece luce nelle tenebre.
E proprio allora fu più brillante
la stella, il profumo
del gelsomino più vicino,
meno
pungenti le spine.
Adesso
quando la invoco credo
di essere stata testimone
di un miracolo.


EL MAR, LA MAR

Amiga mía, dices,
háblame de la mar.

Y te cuento mi infancia
que me enseñó a mirar
la tierra como tierra,
come cielo la mar.

El valle, la montaña,
eran la realidad.
El mar la incertidumbre
el sueño, la ansiedad.

Y yo, tú bien lo sabes,
me quedé con el mar.

Un día junto al muelle
un viejo pescador,
entre las manos niñas
me puso un caracol.

Me lo llevé al oído, reconocí el rumor
y se me fue volviendo
fugaz el corazón,
como una frágil barca
que lleva una canción.

Por mis venas que parten
de un lejano Simbad,
yo me voy, rumbo extraño,
a buscar otro mar
donde un día me vieran
navegando al azar,
la distancia en los ojos,
a los vientos la faz.

Aún me besa los labios
el sabor de la sal.

Amiga mía, dices,
háblame de la mar.


IL MAR, IL MARE

Amica mia, dici,
parlami del mare.

E ti racconto della mia infanzia
che mi insegnò a guardare
la terra come terra,
come cielo il mare.

La valle, la montagna,
erano la realtà.
Il mare l'incertezza
il sogno, l'inquietudine.

E io, tu lo sai bene,
sono rimasta con il mare.

Un giorno vicino al molo
un vecchio pescatore,
tra le mani da bambina
mi mise una conchiglia.

Lo portai all'orecchio, ne riconobbi il suono
e iniziò a diventarmi
fugace il cuore,
come fragile barca
che porta una canzone.

Attraverso le mie vene che partono
da un lontano Simbad,
me ne vado, strano cammino,
a cercare un altro mare
dove un giorno mi vedranno
navigando a caso,
la distanza negli occhi,
il viso contro il vento.

Ancora mi bacia le labbra
il sapore del sale.

Amica mia, dici,
parlami del mare.


EL VENDEDOR DE FLORES

"Claveles, claveles,
que traigo claveles!
Rojos como bocas
de lindas mujeres..."

"Rosas, amapolas,
violetas moradas
como las orejas
de la enamorada..."

Y detrás del grito
llega el pregonero
marcando en la calle
su paso altanero...
Y como ya sabe
que siempre lo espero,
me mira y pregona.

"Se pusieron blancas
las rosas bermejas
porque es más galana
la que está en la reja..."

Y yo le agradezco
la frase bonita
con dinero claro
mi alegre sonrisa.
Le compro jazmines
que en mis manos deja,
y luego se aleja
por la calle vieja...

"Dalias encendidas,
violetas y rosas,
para tus cabellos
muchachita hermosa..."

"Flores nuevecitas,
flores perfumadas!
Claveles...claveles...
Violetas moradas!"

Y detrás del grito
se va el pregonero,
dejando en la calle
su paso altanero...
Y mientras se pierde
su voz a lo lejos,
pienso que esta noche
me dirá el trovero:
"Con esos jazmines
parece tu pelo
noche de diciembre
llena de luceros..."


IL VENDITORE DI FIORI

"Garofani, garofani,
porto garofani!
Rossi come bocche
di belle donne..."

"Rose, papaveri,
violette morate
come le orecchie
dell'innamorata.."

E dietro al grido
arriva l'imbonitore
marcando la strada
col suo passo altezzoso...
E siccome già sa
che sempre lo aspetto,
mi guarda ed elogia.

"Sono diventate bianche
le rose vermiglie
perché sembra più bella
quella alla finestra..."

E io lo ringrazio
della frase carina
con i soldi lucenti
e il sorriso allegro.
Gli compro gelsomini
che mi lascia nelle mani
per dopo allontanarsi
per la vecchia via...

"Dalie accese,
violette e più di una rosa,
per i tuoi capelli
ragazzina graziosa..."

"Fiori appena sbocciati
fiori profumati!
Garofani...garofani...
Violette morate!"

E dietro al grido
se ne va l'imbonitore,
lasciando la strada
con il suo passo altezzoso...
E mentre si perde
la sua voce in lontananza,
penso che questa notte
mi dirà il trovatore:
"Con questi gelsomini
paiono i tuoi capelli
notte di dicembre
ricolma di stelle..."



Traduzione dallo spagnolo di Giulia Spagnesi




Meira Delmar

Nel 1921 a Barranquilla (Colombia) nacque Olga Isabel Chams Eljach, figlia di due libanesi, Julian E. Chams e Isabel Eljach. Col tempo, una volta definita la sua vocazione di scrittrice, avrebbe scelto per sé il nome, molto simbolico, di Meira Delmar, talvolta trascritto Del Mar. Studiò nel collegio femminile della città e alla Scuola di Belle Arti dell'Università dell'Atlantico. A nove anni, nel 1931, Olga raggiunse con i suoi genitori e i suoi fratelli il Libano. Il viaggio via mare fu un'avventura interminabile e, soprattutto, indimenticabile. Pochi anni dopo, nel 1937, apparvero nella sezione "Poetesse d'America" di una rivista de L'Avana chiamata «Vanidades», alcune poesie con la firma di Meira Delmar. I quattro componimenti poetici, Tú me crees de piedra, Cadena, Promesa e El regalo de la lluvia erano i primi componimenti di Olga Isabel Chams Eljach, che aveva già scelto lo pseudonimo con il quale sarebbe diventata famosa. La giovane autrice scelse il suo cognome d'arte per via del suo grande amore per il mare, che la accompagnerà sempre e comunque. Per il nome, invece, fece ricorso alle sue origini arabe e, partendo da Omaira, studiò tutta la serie di possibilità e variazioni che questo nome le poteva offrire. Infine, scelse Meira.
La giovane artista decise di pubblicare i suoi primi versi senza esporsi troppo, ovvero celando la sua vera identità, per timore delle reazioni di familiari e conoscenti. Tuttavia, la sua collaborazione con la rivista cubana proseguì e furono pubblicate altre sue poesie. Nello stesso periodo, altri giornali si manifestarono interessati.
All'età di 20 anni Olga Isabel Chams Eljach, ormai a tutti nota come Meira Delmar, pubblicò la sua prima raccolta poetica, Alba de olvido. Nel 1999 quest'opera fu giudicata dai critici colombiani come uno tra i cento migliori libri del XX secolo e collocata tra le venti migliori opere poetiche dell'intero Novecento. Due anni dopo Alba de olvido, uscì Sitio del amor, seguito nel 1946 da Verdad del sueño. Per questa raccolta Meira ricevette la prima delle tante onorificenze assegnatele nella sua lunga carriera poetica dalle più svariate autorità, associazioni culturali e università. Nel 1951 uscì la sua terza opera, Secreta Isla, nella quale la voce poetica è sempre più nitida e forte.
Nel 1958 Meira fu nominata direttrice della Biblioteca Pública Departamental del Atlántico, carica che lasciò dopo 36 anni. Per decreto governativo oggi tale Biblioteca porta il nome di Meira Delmar, come del resto, anche altri edifici, sale di lettura e centri di ricerca.
Nel 1960 la poesia Soneto a una rosa fu giudicata come uno dei trenta componimenti poetici più belli, facendole vincere un premio dell'Academia Hispanoamericana de Letras.
Undici anni dopo, le venne conferita la Laurea Honoris Causa in Lettere dall'Università dell'Atlantico. Nello stesso anno, uscì una sua prima antologia poetica, col titolo Huésped sin sombra. Appena quattro anni dopo, la poetessa fu eletta Donna dell'anno. Successivamente, si recò negli Stati Uniti, dove sarebbe tornata nel 1985 per partecipare ad un congresso sulla poesia tenuto all'Università di Washington.
Dall'inizio degli anni '80 si moltiplicano le onorificenze conferite alla poetessa che, inoltre, venne insignita dai più nobili ed importanti titoli colombiani e internazionali.
I tanti riconoscimenti furono poi coronati, nel 1993, dalla Medaglia Simón Bolivar, assegnatale dal Ministero dell'Educazione. Si tratta infatti della massima onorificenza che il governo nazionale può concedere.

Nel 1995 uscì Laúd memorioso e Antología e in questo stesso anno si congedò dalla Biblioteca e fu eletta Membro Onorario della Società Bolivariana della Regione Atlantico.
Negli anni successivi uscirono altre due raccolte, Palabras (1997) e Alguien pasa (1998), e uno studio a lei dedicato, Dossier Meira Delmar, pubblicato dalla Universidad del Norte.
L'Istituto Caro y Cuervo di Bogotà pubblicò Pasa el viento nel 2000, proprio nello stesso periodo in cui l'Università del Atlántico creava il Premio Poesia Meira Delmar.
Dal 2001 ad adesso Meira ha continuato a ricevere riconoscimenti e a essere invitata ai più famosi convegni letterari e alle più celebri fiere librarie della nazione colombiana. Nel 2003 il Congresso della Repubblica la insignì con la Orden de la Democracia Simón Bolívar durante un omaggio reso alla scrittrice dalla Unione Colombo-Araba.


La sua poetica

Meira Delmar ha riversato nella produzione letteraria non soltanto le tradizioni arabe della sua famiglia e degli amici ma anche l'esperienza diretta del Libano, conosciuto direttamente in un viaggio indimenticabile e ai confini della magia.
Il bled, parola che in arabo viene usata per indicare il paese e la patria, può essere incontrato lungo l'opera poetica di Meira Delmar. Le sfumature di questo termine, che indica il paese natale, la terra lontana, la speranza e il sogno, sono così complesse che la poetessa non ha voluto cercare un sinonimo in spagnolo. Il termine arabo, infatti, racchiude in sé tutta un'essenza che va ben aldilà del semplice significato dato nei vocabolari e per non essere sminuito o racchiuso entro termini che sarebbero, ovviamente, troppo stretti non può essere tradotto. È l'unico in grado di rappresentare l'insieme di concetti intrinseci che nel corso dei secoli ha acquisito la parola: la patria degli avi, l'importanza del Mare Mediterraneo e la presenza costante dei cedri: questo è il Libano per la poetessa. Storia, magia, colori, profumi, un'attenzione particolare per la poesia e per l'amore si mescolano in un così piccolo territorio. Meira, arrivando nella terra da dove giungevano i suoi genitori scoprì che in un ridotto spazio si potevano trovare non solo tante civiltà sviluppate ma anche tante differenze geografiche. Il Libano infatti ha vette altissime (Qurnat as Sawda' 3,088 m) ma si affaccia sul mare, dunque ha anche zone collinari e la flora e la fauna cambiano radicalmente a seconda del luogo in cui si trova l'osservatore. La neve sulla cima e il mare ai suoi piedi rendono il Monte Libano un paesaggio unico e spettacolare. I cedri completano il panorama.

L'intera opera poetica di Meira Delmar è ricolma di fiori. Se fosse accettabile stilare una statistica con le piante e i boccioli che più frequentemente ritroviamo nelle sue poesie, ai primi posti si troverebbero i gelsomini e le rose. Tuttavia, lungo i versi della poetessa si incontrano moltissime specie appartenenti tanto alla flora colombiana quanto al paesaggio mediorientale. L'amore per i giardini nasce nella sua infanzia, nella sua casa natale. Anche la sua grande conoscenza dei fiori e della loro cura è da ricercare nel patio della sua fanciullezza. Sua madre, infatti, seguendo le tradizioni arabe, si occupava amorevolmente del giardino intorno alla villa e riempiva di fiori ogni minimo spazio libero della casa. Il gelsomino, pianta tipicamente araba, era il più comune e preferito della famiglia Chams Eljach.
Tutta la vita della poetessa è stata accompagnata dai fiori, tanto a livello quotidiano, quanto sul piano lirico e dei significati profondi. Il gelsomino, nelle poesie, ricorda la madre e l'infanzia ed è simbolo della purezza. Ma è anche un fiore orientale, che regala un profumo talmente ricco e carico che quasi inebria come droga e riporta la mente alle terre calde mediorientali, dove il forte sole e gli acuti aromi provocano un senso di piacevole stordimento.
Nella poetica di Meira Delmar la rosa, invece, sarà dedicata all'amore e alla sensualità. Rappresenterà anche la perfezione tipica della tradizione mistica e sarà circondata da un'aura di mistero. Nella mistica, tanto cristiana quanto musulmana, la rosa indica la bellezza perfetta e l'essenza stessa della perfezione che è immagine del Divino.
l contrario dell'amore e la sua assenza saranno invece testimoniate nella poesia di Meira dalle spine: la delicatezza dei boccioli e dei petali lascia il posto all'elemento che punge e ferisce, anche inaspettatamente.

Nella raccolta Reencuentro c'è una poesia fuori dal coro. Non solo è strana per l'argomento di cui tratta ma è un unicum nell'intera opera letteraria di Meira Delmar; l'Elegia a Leyla Khaled presenta temi completamente estranei alla sua poetica. Prima di pubblicare questa poesia, Meira non si era interessata in modo particolare alla storia contemporanea del medio Oriente e non sembrava coinvolta nelle vicende in corso o, comunque, non aveva mai riversato nelle sue poesie accadimenti, persone o fatti storici. Con Elegia a Leyla Khaled, invece, esce dai suoi ricordi, dal intimismo profondo e passionale cantato nelle sue poesie, per narrare - per la prima volta - una vicenda reale e lontana. Leyla Khaled, nata ad Haifa nel 1944 in una famiglia di sette sorelle e cinque fratelli, è conosciuta come attivista contro l'occupazione dei coloni ebrei. All'età di quattro anni, fu costretta a lasciare la sua casa e divenne un'esiliata. Trovò rifugio presso dei parenti a Tiro ed evitò di finire in una tenda profughi. Il padre, che si era unito alle forze rivoluzionarie, raggiunse la famiglia soltanto un anno dopo. La madre di Leyla non accettò mai la sua condizione di esiliata e continuò a ripetere ai figli che la loro unica casa era ad Haifa e che il Libano era solo una sistemazione temporanea. Inoltre, ogni anno nel giorno in cui erano stati scacciati dalla loro casa, la madre vestiva a lutto e si rifiutava di cucinare come segno del suo dolore.
Leyla Khaled aveva soltanto otto anni quando partecipò alla prima manifestazione di protesta contro l'occupazione della Palestina. Era insieme ai suoi insegnanti, tutti palestinesi. Più tardi studiò all'Università Americana di Beirut ma non arrivò a laurearsi per problemi economici. Si era unita al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, del dottor George Habbash. Fu proprio lui a prospettare per primo la possibilità di compiere un dirottamento aereo per catturare l'attenzione dei media e mettere in risalto il problema palestinese. Leyla fu una delle prime a essere convinta del piano, che prevedeva un'azione non cruenta e soltanto dimostrativa.
Agli occhi dei palestinesi, infatti, il mondo si stava dimenticando di loro. Il primo dirottamento effettuato da Leyla Khaled avvenne il 29 agosto 1969; si trattava di un aereo della TWA sulla rotta Roma-Atene. Leyla e gli altri intimarono il pilota di deviare e atterrare a Tel Aviv. L'operazione non fu possibile a causa dell'intercettazione dell'aereo da parte di due Caccia israeliani. Il pilota allora fece rotta su Damasco, ma Leyla, che aveva sempre nel cuore la sua casa, gli chiese di sorvolare anche Haifa. E a quel punto scoppiò a piangere. Intervistata, dichiarò che in realtà di politica non sapeva niente e che il suo scopo era quello di sollevare l'opinione pubblica per riavere le loro case e far rilasciare i connazionali ingiustamente incarcerati. La volta successiva però venne arrestata a Londra mentre stava cercando di dirottare un altro aereo. Dal 1982, anno in cui l'OLP fu bandito dal Libano, Leyla vive in Giordania, dove si è trasferita con il marito palestinese e dove ha cresciuto due figli.

Meira Delmar non ha mai conosciuto Leyla Khaled. Quando la terrorista visitò Barranquilla, la poetessa non lo seppe per tempo e così non riuscì a incontrarla. Ma la sua storia la colpì al punto di risvegliare in lei dei sentimenti legati alla patria dei suoi antenati, il Libano, e a spingerla a scrivere sulla sua drammatica ed emblematica storia.
Da lì in poi la consapevolezza e la memoria - per quanto simbolica e ricostruita - dello sconosciuto ma determinante avo nomade non la lascerà mai.


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